Considerazioni sugli italiani assaliti dal coronavirus

Alessandro Barbero, ordinario di Storia, ha un suo punto di vista. «Questo Paese ha grandi uomini, ma anche tanti furbi. Non ha mai mostrato, al pari di Germania, Francia e Russia, di essere compatto. Se ne può uscire, ma con una classe politica praticata da sciacalli, diventa complicato»

«La caratteristica degli italiani che sta venendo fuori, di fronte all’emergenza del coronavirus, è la tendenza a muoversi in ordine sparso; anche in questa tremenda situazione, vediamo eroi e cialtroni: chi rischia la pelle e chi ne approfitta». Alessandro Barbero, ordinario di Storia medievale, in una intervista rilasciata a Huffpost, blog e aggregatore fra i più seguiti al mondo, non usa giri di parole. Insomma, come si dice, non le manda a dire.

L’Italia dal Dopoguerra in poi, ha dato spesso la sensazione che fosse un Paese a due marce. Un suolo sul quale c’è talmente spazio per tutti da legittimare anche il più furbo, il che significa non essere “il più intelligente”. Qualcuno diceva che per un uomo intelligente è molto più semplice fingersi scemo, che non per uno stupido fingersi intelligente: dare, cioè, l’impressione di avere testa, ragionamento, solo per qualche minuto; questione di pochi istanti, poi il bluff del soggetto che avrà provato ad elevarsi culturalmente cadrà miseramente a causa della mancanza di studio e, peggio, di sensibilità.

In questi giorni di coronavirus, il virus tristemente noto Covid-19, stiamo assistendo ancora una volta a una corsa a due andature: nella prima chi ci mette l’anima, rischia la vita; nella seconda, tristemente nota anche questa, chi segna il passo, finge – tanto per cambiare – di fare qualcosa. Per entrare subito in argomento, ci sono medici che al Nord non sapendo contro quale tipo di virus stessero combattendo, ci hanno rimesso la pelle. Altri colleghi, più a Sud, 249 pare, che si sarebbero messi in malattia. Tutti nello stesso ospedale, il “Cardarelli” di Napoli. Con tanto di «vada a farsi benedire» il Giuramento di Ippocrate, non più di qualche anno fa aggiornato. Uno dei cardini resta il  «prestare soccorso nei casi di urgenza e mettersi a disposizione dell’Autorità competente in caso di pubblica calamità». Quanto, cioè, sta accadendo.

CHI RISCHIA E CHI APPROFITTA

«C’è chi rischia la pelle e chi ne approfitta», dice Barbero. Esistono quanti si rimboccano le maniche, spiega in buona sostanza lo storico, e quanti fanno i furbi (non è una novità): è un atteggiamento che gli italiani hanno assunto anche durante la Seconda Guerra mondiale: noi italiani di oggi assomigliamo decisamente molto agli italiani di ieri.

«Pensiamo a come si sono comportati nell’ultimo conflitto mondiale tedeschi, russi, americani e inglesi – riprende lo storico – bene, ci rendiamo conto che, con ovvie eccezioni individuali, si sono mossi in maniera abbastanza compatta, tutti più o meno uniti nello stesso spirito di popolo». E l’Italia? La risposta va da sé: ha oscillato un estremo e l’altro, quasi facendo tesoro di esempi di una incredibile impreparazione, mascalzonaggine e incapacità. Come i disastri militari per i quali ancora oggi tutto il mondo ride alle nostre spalle.

Sia chiaro, qualche battaglia gloriosa qualcuno l’ha combattuta. Il popolo contadino, per esempio, ha dato prova di una forza di resistenza straordinaria; lo stesso dicasi per gli abitanti delle città bombardate, tenendo duro in circostanze drammatiche. Fino ad essere distrutto, ridotto alla fame, spaventato. Ma poi, ecco il miracolo, appena la guerra è finita, il colpo di reni con il quale il popolo italiano – non tutto, presente anche allora una percentuale di furbacchioni – è riuscito a rialzarsi. Nonostante incompetenza, sprovvedutezza, che pure ci sono state: la situazione, oggi, non sembra così diversa.

E il pensiero di Barbero, come anzidetto, va a medici e infermieri che lavorano giorno e notte negli ospedali. «Penso, però – dice lo studioso – a chi è fuggito da Codogno per andare a sciare; a quanti restano chiusi in casa per proteggere se stessi e gli altri; ai politici che, anche in questa situazione, cercano di ricavare un tornaconto elettorale, spingendosi fino al limite dello sciacallaggio; a chi ha posto i propri interessi in secondo piano, agli imprenditori che vedono i propri ricavi in caduta libera e devono tenere a bada – non sempre riuscendoci – la tentazione di dire: “Andiamo avanti lo stesso, anche se continuiamo così sarà potrà profilarsi un disastro per le nostre casse”».

NON E’ UN VIRUS PER VECCHI

Secondo qualcuno, agli inizi del contagio, qualcuno aveva detto cinicamente «Questo è un virus che uccide i vecchi», quasi legittimando che eliminare gli anziani, troppo costosi da mantenere, sia una soluzione per salvare il sistema. In effetti, questo è l’incubo della nostra società. «Non mi sorprende – dice Barbero – che in questa circostanza emerga una astratta ragione economica simile a un “Bene, d’ora in poi, avremo un costo in meno da sostenere”; la ragione umana, invece, non può prendere in considerazione una conclusione del genere, poiché dice: “Non è l’uomo che deve essere messo al servizio dell’economia, ma l’economia al servizio dell’uomo”». Un conflitto che avevano colto, nei loro romanzi avveniristici, certi scrittori di fantascienza negli Anni 50. Ma anche lo scrittore italiano Umberto Simonetta con il libro “I viaggiatori della sera”, nel quale uomini e donne maturi venivano prima isolati, poi cancellati in una sorta di bingo ante litteram.

Ma una conseguenza positiva potrebbe esserci, lo dice il bicchiere mezzo pieno: una svolta nella mentalità collettiva, per esempio, nel modo in cui concepiamo le cose. Abituati, come siamo, a pensare che il futuro sia prevedibile, con economisti e politici convinti di poter misurare fino al centesimo quanto crescerà il nostro Pil, il Prodotto interno lordo. Quando, invece, è stato sufficiente un virus sconosciuto, diffuso prima in Cina e tutto ciò su cui si basavano scelte politiche, economiche e sociali, frana nel giro di qualche settimana.

Ma ciò che lo Stato sta chiedendo agli italiani appare enorme: nessuna passeggiata, né a cena fuori. Per un popolo che ha vissuto gli ultimi settanta anni della sua vita in pace, questa è una rinuncia gigantesca. Poco, però, se paragonato a ciò che lo stato chiese al popolo italiano nel 1915. «Quando l’Italia – conclude Barbero nell’intervista rilasciata a Uffpost – chiamò tutti i maschi che potevano combattere per dire a ciascuno di loro: “Adesso tu lasci casa, moglie, figli, lavoro e vai a fare una vita da cane in trincea, dove puoi crepare dilaniato dalle ferite di una bomba, oppure fare una vita orrenda per anni: e lo fai, perché questo è un ordine!”». In buona sostanza, il parallelo con la guerra regge fino a un certo punto: chiederci di restare a casa per sopravvivere è diverso dal ricevere l’ordine di andare a morire per un ideale.