Tamara Wilson, il soprano delle polemiche alla vigilia dell’Aida

Non truccarsi il viso di nero per l’opera di Verdi all’Arena di Verona, è stata solo una provocazione. La cantante americana voleva segnalare l’impiego con il contagocce di artisti di colore nel mondo della lirica.

«Non voglio essere un ingranaggio in un meccanismo di razzismo istituzionalizzato». Parole forti, giunte quando meno te l’aspetti alla vigilia del debutto all’Arena di Verona. Città scaligera che si divide in due, anche se la maggior parte di questa riflette e si schiera con Tamara Wilson, soprano americano, che ha “tweettato” il suo punto di vista mediante uno dei social più veloci. Così il rimbalzo nelle redazioni di radio e tv, in quelle dei giornali. In Italia, dove apriamo dibattiti su qualunque cosa, dal cagnolino della Ricciarelli che “parla” e sui presunti furti di magliette del cantante Marco Carta, figurarsi se non c’è spazio per fare il punto su una provocazione così forte. In Italia, all’Arena di Verona, poi. Nella città dove talvolta si registra certa insofferenza per i “coloured” e la Lega il più delle volte vince a braccia alzate consultazioni elettorali.

Ma non spostiamo troppo il ragionamento, considerando che la provocazione, per così dire, provocata, merita una riflessione. Se non altro per il coraggio manifestato dalla Wilson. Altrimenti che li consultiamo a fare i social.  Dunque, «Non mi trucco, questo è razzismo istituzionalizzato». Detto che non osiamo pensare a un Gigi Proietti che riporta in scena “Otello” e alla vigilia della prima sbotta, il soprano imposta la voce e urla per farsi sentire, ma non per cambiare il colore della pelle alla protagonista dell’opera di Verdi, ma per portare a galla altro. Scandisce il messaggio forte con la sua voce perché la sentano ovunque.

In realtà, diciamo, anzi, scriviamo, qualcosa che altri – solo per questione di tempo e spazio, cosa andiamo a pensare… – la Wilson motiva il suo gesto con una protesta contro lo scarso impiego di persone di colore nel mondo della lirica. E qui la provocazione assume un altro aspetto. «Capisco che in molti non saranno d’accordo, ma devo convivere con me stessa». Intanto, Italia, terra di compromessi, qualcosa la Wilson la ottiene: ha ottenuto una gradazione più chiara per lo spettacolo di debutto.

CRONACA E CONCETTI

Per onore di cronaca, Aida. Lei è etiope, schiava degli egizi e da che Aida è Aida si sono sempre differenziati i due popoli in guerra dandoci parecchio consumando per le rappresentazioni liriche, tanto, ma tanto lucido da scarpe.

Dunque, Tamara Wilson non vuole ribaltare il “copione” verdiano, ma imprimere una decisa spallata al sistema lirico: giù qualsiasi ostacolo, più donne di colore nelle rappresentazioni sceniche. «Ho vinto una battaglia, ma non la guerra», ha scritto la cantante su Instragram alla vigilia della sua  Aida in Arena (stasera la sua ultima apparizione) annunciando in un primo momento di non voler essere truccata di nero, come prevede il personaggio (Aida, si diceva, schiava egizia).

Ma come ha reagito il popolo del web. Premesso che, in via generale, negli Stati Uniti truccarsi di nero per rappresentare persone di colore viene considerato poco rispettoso, il soprano ha insistito. «Spero che la mia voce serva ad aprire un dibattito», ha ribadito. Dibattito già cominciato, fra gli addetti ai lavori che sui social. «Grazie per il tuo coraggio e per aver aperto una discussione su questo tema»; «Sono queste le decisioni che cambiano il mondo»; «Il “blackface” è razzismo e non è colpa tua se il loro casting è razzista. Spero che il tuo gesto abbia fatto capire qualcosa a tutti loro».

Non sappiamo quanto durerà questo dibattito, di sicuro è ora di non schierarsi troppo spesso dalla parte del “politicamente corretto”. Essere social, fare sociale, significa dare voce a chiunque, anche a chi non ci trova d’accordo. Non esisteva Instagram o Tweet ai tempi di Voltaire, quando gli attribuirono una delle frasi più belle mai pronunciate dall’uomo: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire». Sarebbe stata Evelyn Beatrice Hall (pseudonimo S.G. Tallentyre) nel 1906 a scriverlo nel suo “The friends of Voltaire” (ecco la confusione).

Detto questo, se questa frase fosse stata ribattuta oggi, di sicuro l’avremmo “ritweettata” facendo il paio con «Apriamo il mondo della lirica a più gente “coloured”!», firmata da Tamara Wilson. Che non finiremo mai di ringraziare per aver spostato il dibattito dal salotto di casa Ricciarelli al palcoscenico dell’Arena di Verona.