Per gli operatori Natale è tutti i giorni
Finisce un altro anno. E’ grande la voglia di festeggiamenti ma è anche tempo di bilanci. Tutto intorno le luci delle luminarie cercano di alimentare uno spirito di spensierata voglia di abbandonare la quotidianità per lasciarsi trascinare in un vortice temporaneo di condivisione, di vicinanza, di fratellanza.
Ma è anche tempo di bilanci, di riflessione. E’ uno spazio mentale dentro il quale segui un unico filo che ti riporta indietro con il pensiero a ciò che è stato e che, quasi fosse la molla tesa di una fionda, ti lancia a guardare al di là, a guardare oltre. Anche a dire che seppure le soddisfazioni sono state tante, non è mai abbastanza e non è mai troppo.
Il mio pensiero, in questi giorni, spesso si concentra su tutto il non detto, sul lavoro fondamentale ma nascosto svolto quotidianamente da quella che paradossalmente è nei fatti l’ultima ruota del sistema dell’accoglienza. Gli operatori, le migliaia di uomini e donne che nelle strutture o nei campi non timbrano un cartellino e non contano i pezzi prodotti a fine turno. Quelle persone che accettando un lavoro hanno accettato di svolgere una missione: quella di infondere speranza! Perché alla disperazione che rappresenta il baglio più grande che porta con se ogni migrante la prima fondamentale risposta non può essere che quella di infondere speranza: in una vita migliore, in un futuro migliore, in un mondo migliore da costruire insieme.
Si, insieme, sulla base di un unico principio che ci può unire che è quello del rispetto dell’umanità e della vita attraverso la mescolanza di storie ed esperienze, compenetrando la disperazione che, nel mondo globale, non è il pesante fardello dei fortunati che arrivano, ma è un macigno sospeso sulla testa di tutti noi perché questo è il mondo che stiamo vivendo e che stiamo consegnando ai nostri figli.
Allora, arriva il momento di guardare ai momenti belli racchiusi dentro il buco nero di una tragedia epocale. Momenti fatti di vicinanza, di condivisione delle sofferenze, di allegria, di costruzione di una tranquillità perduta, di festeggiamenti per traguardi raggiunti. Piccoli gesti, a volte. Poche parole. Un abbraccio. La capacità di ascolto. La voglia di contribuire a costruire un percorso di riscatto e di liberazione, l’ostinazione nel voler essere parte attiva nella restituzione della vita a chi è stata sottratta. Piccoli gesti, si potrebbe credere, ma fatti da uomini e donne che ogni giorno conducono la loro silenziosa battaglia contro quella manipolazione della religione che produce morti e contro le bombe dei potenti che distruggono interi Paesi incuranti del sangue versato. Piccoli gesti fatti da giganti che vogliono guardare oltre e che non accettano che l’accoglienza venga ridotta al mero garantire una risposta alle necessità primarie. Persone capaci di distruggere, con un sorriso, il concetto di “altro”, di “diverso”, di “ospite”. Persone capaci di guardare negli occhi di altre persone. Senza barriere, senza muri, senza pregiudizi. Questo è il senso di un Natale festeggiato tutti i giorni dell’anno dagli operatori dei Centri. Tutto il resto serve solo a creare una bella atmosfera temporanea.