Roby Facchinetti, fra passato e presente
Nel 1973 l’album della svolta con i Pooh, oggi l’opera omonima firmata con D’Orazio. «Tre anni di lavoro, Stefano autore straordinario. Poteva restare un’incompiuta, invece a luglio dello scorso anno abbiamo messo un punto esclamativo al progetto. Portare in scena questa storia la considero una missione e un impegno nei confronti del mio “amico per sempre”». Intanto nelle radio, nuovo singolo del popolare compositore: “Cosa lascio di me”.
Roby Facchinetti, grande amico. Al punto tale da rivelare in via ufficiosa un progetto in altra occasione appena accennato. «L’ultima cosa che io e Stefano avevamo in mente l’abbiamo condotta in porto: un porto sicuro, nel quale c’era grande empatia e voglia di lasciare traccia di un progetto che avevo in mente già cinquant’anni fa: Parsifal». Oggi, “quei cavalieri simili a dei”, come recitava lo spartiacque dei Pooh fra pop e rock, hanno nuova residenza. In due ore e più, fra musica, firmata Facchinetti, e parole, scritte da D’Orazio. “Parsifal” non è più solo un brano lungo dieci minuti fra cantato e suite, oppure il titolo di uno degli album più fortunati di Roby Facchinetti, Stefano D’Orazio, Dodi Battaglia e Red Canzian. Oggi “Parsifal” è anche un’opera. «Grazie all’insostituibile contributo di Stefano, autore di testi straordinari, “Parsifal” è diventata un’opera di due ore; l’abbiamo completata dopo circa tre anni di lavoro, riascoltata mille volte come si fa con una creatura che ti sei coccolata a lungo».
Tre anni di lavoro.
«Verso la fine di giugno, inizi di luglio dello scorso anno, una volta letto e riletto, corretto e limato gli angoli qua e là, io e Stefano ci siamo guardati negli occhi, senza dirci niente, per noi parlavano le espressioni di due persone ampiamente soddisfatte dell’intero lavoro, faticoso sì ma al quale avremmo potuto mettere finalmente un punto esclamativo».
Stefano, autore con lo stesso Facchinetti di “Rinascerò rinascerai”, più avanti sarà colpito proprio da quella “bestiaccia” (così D’Orazio aveva chiamato il virus dal quale era stato aggredito) che lo ha portato via all’affetto dei suoi cari, di amici e di milioni di fan.
«Non amo interpretare certi segnali: poteva restare un’incompiuta, qualcosa che non avrebbe avuto più senso, senza la storia e i testi di Stefano, invece, ecco che “Parsifal” è diventata una grande storia».
Una storia solida, pare di capire.
«Piena di energia: la Tavola rotonda, Re Artù, i Cavalieri, le Crociate, il Santo Gral; non ci siamo mossi più di tanto dalla storia e dalla mitologia che noi tutti conosciamo. Piccole licenze: Parsifal, il protagonista, lo abbiamo in qualche modo modernizzato, abbiamo impresso un colpo di scena che non anticipo, provato a trasmettere emozioni».
Facchinetti ha assunto un grande impegno.
«Assunto con me stesso e con lo stesso Stefano, la mia missione sarà quella di portare in scena “Parsifal” come io e lui lo avevamo immaginato nei tre anni di scrittura. Altro piccolo miracolo: ho già partner importantissimi che mi stanno affiancando per mettere in scena questa grande opera».
“Parsifal”, snodo importante anche per i Pooh.
«Da lì, parliamo del 1973, è nato tutto: venivamo da “Tanta voglia di lei” e “Pensiero”, ma avevamo bisogno di imprimere una svolta alla nostra produzione, ai nostri “live”: ci stavamo smarcando da locali e balere per produrre spettacoli che non sfigurassero nei teatri; da lì in poi, i Pooh hanno fatto teatri-tenda e stadi, qualcosa di impensabile a quei tempi».
Lasciamo per un attimo “Parsifal”, maestro. In questi giorni in radio circola “Cosa lascio di me”, terzo singolo estratto dall’album “Inseguendo la mia musica”.
«Canzone e video spiegano in cento scatti la mia vita: da mia madre in poi, i miei affetti più cari, gli amici, quelli “per sempre” cioè i Pooh, e tutte le persone che ho avuto la fortuna di incontrare e grazie alle quali, oggi, sono quello che sono».
Un brano che più di altri occupa un posto speciale nel cuore di Facchinetti?
«Sono tanti i brani scritti e portati al successo ai quali, per ragioni diverse, sono legato, anche per una sorta di riconoscenza. Non vorrei essere banale, ma da compositore non posso non citare “Parsifal”: per tutto quello che ha rappresentato e rappresenta ancora oggi. Ci sono le mie radici: mia madre ascoltava musica classica e operistica, devo a lei la mia formazione di musicista. Se non avessi avuto questi trascorsi fin da bambino, forse certi brani non li avrei mai scritti».
“Parsifal”, dunque, non si scappa.
«Corsi e ricorsi storici, qualcosa che alla fine mi rimanda proprio all’opera “Parsifal” di cui dicevo: qui dentro c’è tutto quello che di bello è giusto che ci sia. “Parsifal”, tutto è partito da lì».