Musa, nigeriano, oggetto di attenzioni da parte di una donna
«Mi è successo altre due volte, per fortuna dell’ultimo episodio è stato testimone un signore. La storia è più o meno la stessa, se non faccio il “bravo” lei potrebbe urlare, denunciarmi o, addirittura, farmi picchiare. Sono fidanzato da due anni con una ragazza di qui, in passato una rinunciò alla nostra storie: si vergognava di presentarmi ai suoi genitori perché ero nero…»
«Vieni qua, dove scappi, non fare il prezioso: non vuoi farti mettere le mani addosso? Sai che se non fai il bravo, posso anche urlare e dire che sei tu che mi stai mettendo le mani addosso e farti picchiare?». Il ragazzo, un nero, insieme con un amico, anche lui di colore, non crede alle sue orecchie. Due signore, fra i trenta e quarant’anni, l’aspetto fisico non conta, ci provano. Più intraprendente quella che, occhio e croce, appare più grande. Un signore sui sessanta, di passaggio in quel momento, si ferma. Ha sentito tutto, non può fare finta di niente. Con garbo convince le due donne a lasciare stare in pace i due ragazzi. L’uomo, testimone di quella molestia, promette alle donne di non dire niente, a patto che le due “stalker” non si facciano più vedere da quelle parti. Una decina di metri, il tempo che le due signore compiano pochi passi e che una delle urli all’indirizzo dell’uomo maturo: “Vecchi rimbambito, puoi pure farti un “cofano” di…fatti tuoi!”. Una frase violenta, come è stato il gesto della più intraprendente delle due nel mettere la mani addosso a uno dei due ragazzi, il più alto, quello più prestante fisicamente. E’ un nigeriano, il suo amico un connazionale. All’uomo, il ragazzo, rivela che non è la prima volta che subisce simili affronti. «Sono fidanzato con una ragazza di Taranto – spiega Musa, nigeriano, storia vera, ma nome di fantasia, per motivi di privacy – ci vogliamo molto bene, lavoro saltuariamente, come lei: se solo uno dei due avesse un impiego stabile saremmo già andati a vivere insieme…».
Quella della convivenza fra un africano e una ragazza italiana sta diventando una consuetudine. I sentimenti non hanno nazionalità, sono universali. Ma torniamo al disagio vissuto l’altro giorno sulla sua pelle. «Mi è successo altre due volte – dice – ma niente di importante, non appena ho consigliato di smetterla di seguirmi o di fermarmi, le ragazze hanno capito che con me c’era poco da fare…».
«SONO DI SANI PRINCIPI…»
Qualche suo connazionale, senegalese o, comunque, africano, è meno reticente. Diciamo che può capitare che fra “domanda” e “offerta”, alla fine i due possano trovare un punto d’incontro. «Parlo per me, io sono fedele alla mia ragazza: una storia che dura da due anni; miei connazionali hanno “storie” con ragazze del posto, stanno bene, si amano…». Sorride, Musa. Aggiusta il tiro. «Diciamo che si vogliono bene, se l’amore arriverà magari il rapporto sarà ancora più solido: a me è capitata una di queste storie, con una ragazza della provincia, ci eravamo innamorati: almeno io mi ero molto preso dal rapporto, solo che quando ho voluto conoscere i suoi genitori per manifestare intenzioni serie, lei ha prima inventato una scusa dopo l’altra, poi mi ha lasciato: non voleva dire ai suoi genitori che il fidanzato aveva un altro colore…».
Ma lo stalking? «Imbarazzante – dice Musa – di solito sono gli uomini a fare avance, a corteggiare una donna, non viceversa; invece, è successo l’esatto contrario: ma in questo caso, andando ad intuito, la tizia che stava provando a mettermi le mani addosso, non voleva solo conoscermi…». Si spiega meglio il ragazzo nigeriano. «Faccio sempre quello che mi dicono gli amici del posto – risponde – non prendo sul serio queste proposte e cerco in modo educato di evitare che quei pochi secondi prendano una brutta piega: del resto, come può testimoniare quel signore che ha assistito in quei pochi istanti alla scena, sono stato minacciato: se non avessi fatto il “bravo” – ho capito perfettamente cosa intendesse… – lei avrebbe potuto anche urlare e mettermi nei guai dicendo che ero io a metterle le mani addosso: certo, la gente avrebbe creduto più lei che me, ma per fortuna stavolta qualcuno è stato testimone dell’accaduto».
BASTA LA PAROLA, NON SEMPRE
C’era però il suo amico. «La parola del mio connazionale, ha lo stesso valore della mia: è difficile che qualcuno ti creda. Ma ad essere sincero fino in fondo, quella donna doveva essere sposata, aveva una fede al dito, quindi la cosa diventava doppiamente pericolosa: vai a spiegare al marito o al compagno, che tu – cioè io… – sono la vittima delle insistenze della donna; apriti cielo, già mi vedo sulle prime pagine dei giornali: “Nero aggredisce una donna, voleva avere un rapporto con lei!”. Per carità, sto bene così, felicemente fidanzato e con un lavoro del quale sono pienamente soddisfatto. Temo l’informazione. Spesso giornali, radio e tv, per motivi di spazio raccontano troppo velocemente un episodio e il più delle volte a rimetterci la faccia siamo noi: non vogliamo che i rapporti con gli italiani si indeboliscano a causa di incomprensioni o, come vogliamo chiamarle, a causa di certe storie…».
Musa sorride. Prova quasi sollievo che l’altra mattina l’episodio di molestie abbia avuto un testimone. E che un altro, l’autore dell’articolo, abbia in qualche modo registrato le due testimonianze.
«Che dire, spero che cose simili non accadano più – conclude Musa – anche se ho qualche dubbio: forse non dovrei fare footing alle sei del mattino sul Lungomare, non dovrei giocare al pallone, sport che amo tanto; insomma, dovrei trascurarmi, invece io – come molti miei connazionali – abbiamo il culto più che del fisico, del tenerci in forma: alleniamo i muscoli, ma anche mente; ecco perché è raro che qualcuno, oggetto di molestie, reagisca violentemente; abbiamo l’abitudine di pensarle certe cose, alleniamo corpo e anima». Dovesse avere una, due righe per lanciare un appello, Musa. «Amici, fate attenzione: non sempre la prima impressione è quella giusta!».