Mohammad, la famiglia e la cucina.
«Ricordo ancora quando i miei genitori mi dissero che non era giusto che un ragazzo buono rimanesse lì. Ricordo che mi dissero di andare via. E io lo feci». Inizia così il viaggio e il racconto di Mohammad. Ha 25 anni ed è cresciuto in Bangladesh patendo sulla sua pelle il violento scontro politico tra «Bnp» e «Awami Leage». Nell’aprile 2015 Mohammad la scia la moglie e il figlio e parte per la Libia: «Sento la mia famiglia una volta alla settimana: mia moglie non ha il cellulare e quindi aspetto che mio padre vada da lei per poter sentire la sua voce. Ho lasciato in Bangladesh anche i miei genitori e tre sorelle più piccole: è triste sapere che loro, proprio come mio figlio, stiano crescendo senza che io possa esserle accanto».
Suo padre era anziano e non poteva più lavorare e così a lui spettava sostenere tutta la famiglia. Mohammad lo ha fatto fino a quando è stato possibile: «la situazione era diventata insostenibile e quindi sono stato costretto a partire. Sono andato via per trovare un lavoro e aiutare la mia famiglia».
Per il viaggio ha chiesto i soldi a una persona del luo e ha dato in cambio le chiavi e i documenti della sua casa: «Ho avuto 500mila tagha che sono quasi 5mila euro e solo da poco ho iniziato a pagare il mio debito». Già perché dopo una viaggio terribile Mohammad ha trovato lavoro: a Taranto è stato assunto da un ristorante e con orgoglio mostra il suo contratto. Ha iniziato da lavapiatti, ma è riuscito a dimostrare di essere un bravo cuoco e così, da poco, ha iniziato a vestire i panni dello chef.
Mentre racconta sorride. Il viaggio per arrivare in Italia gli ha causato sofferenza: «ho lavorato per otto mesi in Libia, ma alla fine me ne hanno pagato solo tre. La cosa peggiore è che una notte entrarono in casa per derubarci, io provai a scappare e uno dei ladri lancio un coltello…». Mohammad mostra due grandi cicatrici sulla pianta del piede e sulla coscia, ma poi le copre e mostra il suo sorriso mite: «quando dissi ai miei amici che avevo deciso di partire con un barcone per l’Italia qualcuno disse che era pericolo e si poteva morire. Io risposi che era meglio morire che continuare a stare lì. Vabbè… adesso è passato, voglio solo lavorare tanto e portare qui la mia famiglia. Vorrei che scoprissero la bellezza di questa terra: la gentilezza che ho trovato a Costruiamo Insieme e a Taranto». Sta studiando la lingua per essere pronto quando un giorno arriverà la sua famiglia: «chissà forse quel giorno avrò un ristorante tutto mio».