Bernardo Lanzetti, cantante della PFM, videointervista esclusiva
«Me lo confessò Steve Hackett, una sera…». Icona degli Anni 70 e 80, prima con Acqua Fragile poi con la Premiata Forneria Marconi e una carriera solistica di successo. «Dal lockdown è nato il mio ultimo album: canto con David Jackson dei Van der Graaf, David Cross dei King Crimson e Tony Levin del gruppo di Peter Gabriel. Ci sarà da divertirsi». E il passato. «Godevamo di grande considerazione all’estero, oggi non è più così, purtroppo. Meglio i Beatles che…»
Voce storica del rock italiano, prima con Acqua Fragile, poi con la Premiata Forneria Marconi, per tutti PFM. Album che hanno fatto la storia del rock italiano e internazionale e del gruppo più amato dalla metà degli Anni 70 in poi: Chocolate Kings, Jet Lag e Passpartù.
Che periodo è stato quel periodo?
«Magico, la musica era importante e quella prodotta in Italia aveva autorevoli riconoscimenti all’estero che, nel tempo, purtroppo non ha più avuto».
Uno dei tuoi ispiratori, Demetrio Stratos degli Area, autore fra l’altro dello sperimentale “Cantare la voce”. Anche tu, in quanto a “maestro della voce”, non sei da meno.
«Sono un totale autodidatta. Credo che un cantante per imparare debba sapere ascoltare altri cantanti, più bravi possibilmente, in grado di insegnarti sempre qualcosa».
Che effetto fa ritrovarsi a scrivere come fosse il primo giorno di scuola?
«Dischi o album che siano, video, concerti: sono solo un elemento della musica del tuo lavoro. Come fossero, insieme, un book fotografico; come per un attore, la foto non è l’istantanea del complesso lavoro di un interprete: allo stesso modo una canzone, pure interpretata magistralmente, è solo un documento di quel preciso momento».
Bernardo, quando ti riascolti…
«Ho un atteggiamento a volte compiaciuto, a volte critico. Mi spiego: quando riascolto delle mie cose mi dico “Cavoli, ma come avrò fatto ad ottenere quel risultato?”, altre volte “Accidenti, avrei potuto far meglio!”, perché evidentemente nel frattempo ti sei aggiornato. In studio, ecco il lavoro. E’ importante che ci sia qualcuno, oltre il vetro, che scelga per te le versioni, i passaggi migliori della canzone che stai interpretando. Per me è una cosa molto bella che in quel momento qualcuno ti incoraggi, ti sproni a migliorare certi aspetti di una canzone: “Questa parola, prova a “spingerla” meno…”, oppure “Quando arrivi a questa “a”, cerca di aprirla un po’ di più!”. E ancora, “Quella strofa buttala via, passa subito alla frase successiva!”. Ecco, a me piace sentire qualcuno che mi indichi la strada…».
Album con Acqua Fragile e PFM, poi da solista. Qual è stato il momento più importante nella tua carriera?
«Tanti, a cominciare dal debutto con Acqua Fragile, la mia prima volta in una sala di registrazione. La mia esperienza con la PFM: nel gruppo sono entrato appena tre giorni prima che entrassimo in studio a registrare “Chocolate Kings”: ho avuto pochissimo tempo per calarmi nel mio nuovo impegno; oppure quando ho realizzato un album di ricerca come “I sing the voice impossible”, i miei esperimenti vocali; oppure l’ultimo album dell’Acqua Fragile, il terzo: grande soddisfazione nel vedere che la critica mondiale, non solo quella italiana, abbia recepito l’operazione, che non era riproporre brani degli Anni 70, ma riprendere quel senso musicale e svilupparlo…».
Storia o leggenda, per dirla con le Orme: quando è andato via Peter Gabriel dai Genesis, è vero che il gruppo aveva una intenzione di chiamarti a sostituirlo?
«Di questa storia ne sono venuto a conoscenza tempo dopo. Ho avuto la fortuna di diventare amico di Steve Hackett dei Genesis. Un giorno ero ad un suo concerto, mi chiamò sul palco, per poi confessarmi – dichiarazioni riportate in una sua intervista rilasciata tre anni fa… – che il mio nome era saltato fuori in occasione dei saluti al gruppo da parte di Peter Gabriel. Evidentemente non se ne fece niente a causa di un conflitto di interessi: il manager contattato, Franco Mamone, era anche manager della PFM e lui, il consenso, non lo avrebbe mai dato… Comunque, Hackett questo episodio lo ha ricordato in una intervista tre anni fa».
Conservi un buon rapporto con il tuo passato?
«Alti e bassi, c’è stato un periodo in cui pensavo che la mia voce avesse “elementi di disturbo” per un certo pubblico, altre volte, al contrario, mi dicevo, invece, che questa era la mia strada ed era giusto che continuassi a fare quello che facevo: magari in salita, ma questo era il mio destino…».
Quanto era avanti la musica italiana a quei tempi e quanto è indietro, ora, quella attuale?
«Quando c’è una proposta, un contenuto musicale, strumentale, un arrangiamento, deve essere sempre bilanciato con quella che è la melodia vocale, un mix calibrato fra tutte queste componenti. Faccio un esempio: prendi un pezzo dei Beatles, vai da un ragazzo che studia la chitarra, gli dici di ascoltarlo ed eseguirlo: intanto non troverà difficoltà nell’apprezzarlo ed eseguirlo e, nello stesso tempo, ti ringrazierà perché ha imparato qualcosa di concreto. Viceversa, prendi un brano italiano e chiedi allo stesso ragazzo di impararlo: lo farà, ma a malavoglia e, alla fine, ti dirà che ha imparato un bel nulla».
Lanzetti ieri e oggi. Domani?
«Dunque, durante il lockdown ho sentito diversi messaggi a proposito della musica: prima del 2021, dicevano, niente musica; così mi sono dedicato alla ricerca, alla composizione. Una volta realizzato tutto questo, ho ricevuto proposte di vari lavori, dal vecchio materiale a quello appena realizzato: dunque, ho un album nuovo, appena completato con ospiti artisti internazionali, da David Jackson dei Van der Graaf a David Cross dei King Crimson, poi Tony Levin del gruppo di Peter Gabriel. Dunque, si è aperto un ventaglio di possibilità che oltre ad inorgoglirmi, mi metteranno in condizione di vederne delle belle…».