Federica, tarantina, operatore di “Costruiamo Insieme”

«Conoscere mondi diversi ha sempre esercitato grande fascino. Ragazzi straordinari, imparano le nostre regole, ma ci insegnano anche tanto. Prima avvertivano smarrimento, oggi si sono integrati»FEDERICA 01«Se amo questo lavoro? Da morire!». Due brevi frasi, espressioni tipiche di chi a Sud ha la passione e risponde senza un minimo dubbio. Due colpi, dritti al bersaglio. Federica, operatore all’interno di “Costruiamo insieme”, li lascia partire senza pensarci due volte.

Federica, tarantina, ha da poco messo piede negli “enta”. Per molti dei ragazzi ospiti del Centro di accoglienza curati dalla cooperativa sociale, lei è la “mamma”. «Come fossero dei neonati – dice – è una delle prime parole in italiano che imparano e io sono orgogliosa di aver guadagnato sul campo questa loro fiducia; per loro, “mamma” non significa solo “genitore”, anche se ne avvertono, e tanto anche, la mancanza: è, invece,  il massimo valore che possano attribuire a una persona con cui aprirsi liberamente. Ti vedono come qualcuno disposto ad ascoltarli in qualsiasi momento, qualcosa a cui aggrapparsi – lontani migliaia di chilometri da casa – per risolvere un problema, talvolta piccolo, ma ingigantito dall’informazione che per chi non conosce bene l’italiano inevitabilmente  assume contorni a prima vista preoccupanti».

Così scatta la domanda e solo “mamma” può rispondere. «Per loro ogni operatore di “Costruiamo”  è un qualcosa cui fare riferimento ad ogni occasione e noi siamo qui, disponibili a spiegare problemi ed eventuali soluzioni che questi richiedono». Ma ci sono anche i contrattempi, fare da tutore a volte complica le cose. «Basta comprendere che non sei tu l’oggetto del loro disappunto; certo, raccogli il loro sfogo, ma le cose basta spiegarle con calma e tutto diventa più semplice; i disappunti: documentazione, domande, richieste d’asilo, carta d’identità, codice fiscale, tanto per intendersi; per loro arrivare in Italia è stato come fare un salto nel buio, tante cose – la burocrazia in primis – non le conoscevano; adesso stanno prendendo una certa familiarità con le documentazioni varie; e se prima a manifestare disagio erano in dieci – faccio un esempio – adesso sono solo un paio, per giunta aiutati dai loro connazionali che spiegano l’iter con il sorriso di chi con il burocratese oggi ha una certa confidenza».FEDERICA 02INSEGNIAMO L’ITALIANO, IMPARIAMO LA TOLLERANZA

«Quando posso – prosegue Federica – aiuto ad aggiornare documentazioni varie, faccio da responsabile di segreteria, tengo brevi corsi di alfabetizzazione; quest’ultimo compito lo assolvo come fossi una insegnante in tutto e per tutto: vedere i ragazzi prendere appunti sui loro quaderni, seguirti e, a volte, precederti nelle risposte, è una grande soddisfazione; capisco cosa possa significare per una insegnante a tempo pieno vedere sotto i propri occhi il miracolo della scrittura, delle prime parole in italiano, la spiegazione da parte dello “studente” che dimostra quanto la lezione sia andata a buon fine».

Cosa raccontano i ragazzi ospiti del Centro di accoglienza a Federica. «Tanti episodi, ho la pelle d’oca solo a pensare ad alcuni episodi che mi hanno raccontato: ma la prima cosa che mi viene in mente è la mortificazione: quello che qualcuno di loro prova nel camminare per strada o viaggiare su un bus e sentirsi oggetto di cattiverie gratuite; frasi ingiuriose, che i ragazzi oggetto di battutacce fanno finta di non capire, perché anche questo è il nostro compito insegnare loro ad essere tolleranti, a non accettare provocazioni, a sorvolare; ma, diciamola tutta, gran parte dei tarantini hanno un buon rapporto con i ragazzi, ovunque c’è la cosiddetta voce fuori dal coro, ma basta isolarla, non pensarci».FEDERICA 03GLI SPIRITOSI SI CHIAMANO “MONELLI”

Tra gli ospiti, qualcuno stecca? «In percentuale bassissima, vogliamo chiamarlo “monello”? Quello che mette a dura prova la pazienza risiede in ogni famiglia “normale”, di solito è quello  disposto a polemizzare a qualsiasi costo. Succede, ma tutto è sotto controllo, così se uno eccede in “spiritosaggini”, viene subito contenuto. E sapete da chi? Dai loro stessi connazionali, ma anche dai miei stessi colleghi africani!».

Mosche bianche. «Gran parte è gente adorabile, non sa come sdebitarsi per le attenzioni nei loro confronti, che poi fanno parte del tuo lavoro, perché la nostra è una missione: non puoi fare questo lavoro per un certo numero di ore e per il resto della giornata parcheggiare la tua coscienza; così accade che ogni giorno, all’ora di pranzo qualcuno di loro ti inviti a sederti al suo tavolo, a mangiare; oppure al mattino o nel pomeriggio ti offra un caffè: non pensate mai alla consuetudine, questi ragazzi arrivano da un altro mondo ed è come se qualcuno gli avesse detto: “Bene, metà di tutto quello che avete imparato fino ad oggi mettetelo da parte, da adesso siete in un altro Paese e le regole sono cambiate!”. E’ dura e io e i miei colleghi di “Costruiamo Insieme” aiutiamo i ragazzi ad inserirsi nel nostro tessuto sociale».