Hassan, spiega come essere tolleranti
«Mio figlio Ali, nato in Italia, ogni tanto tornava da scuole in lacrime. Gli ho insegnato a sorvolare, tanto prima o poi si stancheranno gli dicevo. E’ andata così, due compagni gli hanno chiesto scusa, il più ostinato è diventato il suo miglior amico: sono ragazzi…»
«Marocchino, sei un marocchino!». Ali, dieci anni, figlio di Hassan, quarantuno anni, nigeriano, da una ventina in Italia, torna a casa e scoppia a piangere. Prova a non farsene accorgere dal papà. Sta piangendo, ma nonostante la sua giovane età, il piccolo studente, che parla correntemente l’italiano e il francese, ha un moto d’orgoglio. “Non voleva farsene accorgere – spiega Hassan – anche se non nascondo che quando cercai di confortarlo stringendolo al mio petto e spiegandogli che si trattava solo di ragazzate, lui cercò di liberarsi con uno strattone violento: lo capisco, ci sono passato anche io, chiunque abbia un colore di pelle vicino al nero, per qualche ragazzetto è “marocchino”».
Non è sempre così. «Vero, adesso la storia sta cambiando, nel tempo io e i miei connazionali, ma in buona sostanza i miei fratelli venuti dall’Africa con la voglia di lavorare e inserirsi nella società, accettando regole e usanze del Paese, abbiamo avuto modo di farci apprezzare; certo venti anni fa, con le prime folate e i primi ingressi in Europa era complicato spiegarci che le nostre intenzioni era miti e non avevamo nessuna intenzione di rubare loro lavoro e donne…».
SEMPRE LA SOLITA STORIA…
Solita storia, Hassan. «Un tempo – puntualizza – ora tutto è passato, non dobbiamo dimostrare più niente: abbiamo voglia di lavorare e, se il caso, lo richiedesse, anche qualche sacrificio; io stesso, una volta arrivato in Italia, per un tozzo di pane, raccoglievo pomodori e angurie: gratis, in cambio di un giaciglio sul quale dormire e una razione di cibo».
Quel tempo, per fortuna, è passato. «Non è più così, gli episodi che vanno sui giornali sono isolati, lo stesso quelle vicende che mettono di fronte i ragazzini che si offendono pesantemente e, talvolta, se le danno di santa ragione: succede dappertutto, qui si dice “Sono ragazzi…”, ecco sono ragazzi, ovunque i bambini prima, i giovanotti poi, ovunque, se le sono suonate di santa ragione, così è bene non generare odio su odio: è successo, basta, magari gli stessi ragazzi che oggi offendono, domani si pentiranno di aver pronunciato quelle frasi».
Bravo Hassan, lo sa Ali, che sei un genitore modello? «Quello che ho sofferto io non voglio che accada anche a mio figlio sotto forma di altra sofferenza: io partii a venti anni da casa, la mia Nigeria, il dolore nel cuore, su un gommone: con me, in un mare in tempesta, un centinaio di ragazzi, chi nigeriano, chi maliano, chi marocchino; da dieci anni non torno nel mio Paese, ho sempre la sensazione che sia pericoloso, mia moglie e i miei figli, perché nel frattempo ne ho avuto un altro, Samuel, otto anni, non vogliono che parta: ho una parte del mio cuore lì, quel che resta della mia famiglia, una mamma che si dibatte fra mille problemi, con un marito che non ha più, perso tre anni fa, dopo una lunga malattia».
«ALLA FINE SI STANCANO…»
Tutto spiegato ad Ali. «Sì, non è stato facile spiegarglielo – dice Hassan – come non è stato semplice farlo capire a uno dei professori con cui sono andato a parlare: gli insegnanti provano a mettere pace, a spiegare: la soluzione che suggeriscono il più delle volte è una sola: non farci caso. Certo, dovrebbero sapere che ad un ragazzino certe frasi fanno più male che ad uno in età, ma è così che va, non mi preoccupo più di tanto, vedo sempre il bicchiere mezzo pieno: la tolleranza a lungo andare paga, chi gioca a sentirsi superiore alla fine si stanza e comprende che siamo tutti uguali, che qualcuno è nato nel posto sbagliato, fra una caccia alle streghe e una guerra civile».
«Ali è cresciuto nella testa, io e la sua mamma siamo orgogliosi di lui; i compagni di scuola hanno capito che con quella frase offendevano più se stessi, la loro intelligenza che non un ragazzo indifeso che aveva il solo “torto” – vogliamo chiamarlo così? – di avere una pelle di un altro colore. Un paio gli hanno chiesto scusa, il terzo, quello che sembrava il più ostinato, è diventato uno degli amici più cari di Ali, meglio di così. Ci vuole tolleranza, basta insistere, come fosse un loop, hai presente, un martello, alla fine uno abituato a dare sberle si stancherà nel versi porgere l’altra guancia: sono cristiano, come l’intera famiglia, il Signore ci ha lasciato un grande insegnamento e noi siamo felici di averne fatto una ragione di vita».