Mamme che piangono
Oggi si festeggiano le mamme di tutto il mondo, per tutto quello che hanno dato e per tutto quello che danno. Tante, troppe mamme, hanno poco da festeggiare per tutto quello che è stato loro tolto.
Non la dignità e la bellezza dell’essere donne, non il mancato riconoscimento dei sacrifici di tutti i giorni e, neanche, le discriminazioni che ancora persistono anche nei Paesi che si autodefiniscono civilizzati.
Tante, troppe mamme non piangono per questo. Piangono per la cosa più grande che è stata strappata, derubata, brutalizzata, vituperata: la maternità, l’essere madre.
Il mio primo pensiero va a una donna che qualche giorno fa ha partorito su una spiaggia libica prima di salire su un gommone. Lo portava in pancia quel bambino e già per lui pensava ad una vita diversa dalla sua, pensava a un futuro, pensava al destino di quella vita che stava generando.
È morta su quella spiaggia. Non ha neanche visto quel figlio che ha generato e che, fra le braccia del padre, appena nato è salito su un gommone alla ricerca di una vita possibile.
Lei non può neanche piangere più!
Piange, invece, la mamma delle tre bambine-ragazze morte dentro un camper dato alle fiamme sempre qualche giorno fa. Quel camper era la loro casa ed è stata divorata dalle fiamme appiccate da qualcuno. Sono morte arse per scontare la colpa di essere rom.
Piangono, in questi giorni, le mamme delle 250 persone annegate e risucchiate dal cimitero liquido che è diventato il Mediterraneo.
Questa volta, nessuna ONG ha fatto in tempo a salvarle. Come tante altre volte succede.
E quel mare che per secoli è stato la strada degli incontri e degli scambi, della crescita e dello sviluppo, oggi è diventato una bacinella nella quale si riversano le lacrime di tante, troppe mamme.
Ascoltando e leggendo le storie di tanti migranti che, almeno durante il viaggio, hanno sfidato e vinto la battaglia contro la morte, non riesco a togliere dai pensieri l’immagine di Maria, la madre di tutte le madri, l’esempio vero di quanta sofferenza sia capace di sopportare una madre per amore del proprio figlio. Lasciandolo libero al suo destino o sacrificandosi perché abbia un destino.
Quanto avrà sofferto Maria durante i giorni della Passione di suo figlio? Pur sapendo che non era suo, per il solo fatto di averlo generato ha visto il frutto del suo grembo subire e sopportare una violenza corporale che nessuna mamma avrebbe potuto sopportare pur consapevole del destino, già scritto, del proprio figlio.
Ed è il futuro, oggi, a spaventare tante potenziali mamme e a produrre sofferenza in quelle donne che, al contrario, hanno scelto di essere mamme.
Preoccupazione per i propri figli, per quello che non smetterà mai di essere sangue del proprio sangue, perché le prospettive per stare al di sopra della sopravvivenza sono offuscate, grigie.
Mamme che lavorano e che, timbrato il cartellino, tornano a lavorare e non smettono mai.
Spinte dall’amore e da un estremo senso di responsabilità che non finisce mai, neanche quando i figli hanno quasi 50 anni. E che soffrono quando i figli, a quasi 50 anni, sono costretti a vivere nell’unico posto accessibile: la casa di mamma!
Mamme separate da padri privi di qualsiasi senso di responsabilità, costrette a fare salti mortali per non far ricadere sui figli gli errori degli adulti.
Mia madre che, almeno Maria sapeva fin da subito qual’era il destino di suo figlio, e lei non sa ancora qual è quello del suo.
A tutte le madri che, in quanto madri, non hanno mai staccato il cordone ombelicale, perché è impossibile, senza negare libertà ai propri figli, va un abbraccio forte che vale più di un mazzo di fiori.
Un pensiero anche a quanti hanno la possibilità di dare un bacio alla mamma e non lo fanno e a tutte le persone che questa fortuna non ce l’hanno.
Grazie mamme, tutti i giorni dell’anno, per essere mamme, lavoratrici e nonne.
Non solo oggi: perché siete mamme, mogli e nonne che senza di voi…