Ismaila, nigeriano, l’episodio scomodo per il governo di Malta

«Negare un soccorso e lasciare uomini in mare, mai sentita una cosa del genere». Centodieci africani respinti, lasciati in mare con giubbini e carburante. «Gli italiani hanno un altro stile. Su una chat la storia di Zliten, un porto di Tripoli, da dove un giorno anche io presi il mare, ma avevo in mente solo il vostro Paese…»

«A Malta c’è il coronavirus, siamo tutti malati e non possiamo accogliervi!». La notizia riportata da quotidiani e siti italiani, scatena subito centinaia di commenti. L’episodio risale allo scorso 11 aprile, ma è venuto alla ribalta solo nelle ultime ore, grazie a una testimonianza riportata da un migrante ad “Alarm Phone”, il network telefonico gestito da Don Zerai, che a sua volta rilancia su Twitter le “allerte” ricevute direttamente dalle imbarcazioni in difficoltà.

Ismaila, nigeriano incontrato per caso, un titolo di scuola superiore, mostra di saperne più dei giornalisti che hanno documentato a braccio una vicenda che, se fosse vera, assumerebbe i tratti di una storiaccia. Una delle tante nelle quali l’Italia, alla fine, ne esce in modo elegante. Da Paese accogliente, benché qualche politico provi a dare una immagine contraria, per qualche “like” in più.

Ismaila, mascherina dal naso al mento, è seduto davanti a una scrivania di un patronato. «Voglio fare domanda per il permesso di soggiorno, sapere se potete in qualche modo aiutarmi e quanto mi costerebbe…». «Duecento euro – spiega il responsabile del patronato, onesto al punto tale da suggerirgli una strada per risparmiare quei soldi, tanti per Ismaila – ma ti consiglio di provare a farlo da solo, recarti tu stesso nei vari uffici dove è necessario esibire i documenti: diversamente, fra una cosa e l’altra arriveresti a spendere anche quasi trecento euro, troppi secondo me: sai, in Italia facciamo accoglienza a parole, e poi chiediamo dai duecento ai trecento euro per istruire una pratica che potrebbe essere respinta, senza rimborsarti un solo euro…».

Ismaila, mani giunte, ringrazia il responsabile del patronato per il suggerimento. «Trecento euro sono troppi, in questo momento non posso permettermeli, di soldi ne ho spesi, tanti, per pagarmi il viaggio da Tripoli per arrivare sulle coste italiane…». Si ferma qualche minuto, non è molto pratico di Taranto, ripassa mentalmente le strade principali insieme con un amico, che non si separa un solo istante da uno zainetto. «Qui c’è tutta la nostra storia, casa nostra: le poche cose che siamo riusciti a portarci durante il viaggio…».

«NELLA MENTE UNA SOLA DESTINAZIONE»

Tripoli, fa accendere una spia, riporta all’episodio nelle acque maltesi. «Anche io sono partito dalla Libia per arrivare in Italia: nella testa avevo in mente solo una destinazione, il vostro Paese; mi sono confrontato con miei connazionali e, comunque, con gente che ha vissuto quella brutta esperienza lo scorso aprile; loro sono partiti da Zliten, scritto così… – lo scrive, ma lo precediamo consultando velocemente Google, per evitare inesattezze – una località lungo la costa libica ad est di Tripoli, non molto lontano da dove anche io ho preso il largo, a bordo di una imbarcazione insieme con una decina di miei connazionali…».

Erano in centodieci lo scorso aprile, salvi per fortuna. «Abbiamo chat con le quali molti ragazzi, come me – spiega Ismaila – in cerca di speranza si collegano, non conosco personalmente i ragazzi protagonisti di questa sfortunata vicenda, ma amici che hanno fatto conoscenza con qualcuno di loro, mi hanno spiegato come è andata…». Dunque, Ismaila. «Ho avvertito il dolore che hanno provato i ragazzi, in mare, convinti che il loro viaggio fosse finito, cioè che sarebbero stati soccorsi da una imbarcazione amica, in questo caso con a bordo militari maltesi: invece no, sono rimasti in acqua, chi li aveva accompagnati fino a quel momento ha pensato che la sua missione fosse finita, così è andato via; invece, tutti lì, a sbattersi in mare aperto: non sono stati presi a bordo, ad ognuno è stato lanciato un giubbotto, di quelli che ti tengono a galla, comunque, di più non hanno fatto».

Il giovane nigeriano si pone la nostra stessa domanda. «Ma si può lasciare gente in balia delle onde? Lanciare loro un salvagente e dire a chi li aveva accompagnati fino a quel momento “Se sei a corto di carburante – questo avrebbe detto un militare – te lo diamo noi, purché vi allontaniate, nel nostro Paese?”. E ancora, “…a Malta, la maggior parte è infetta dal coronavirus che sta costando la vita a migliaia di persone…”».

Altra versione, non c’è da stare allegri. «Qualcuno ha raccontato che la nave militare maltese si è avvicinata agli uomini in mare minacciandoli con le armi, dicendo che dovevamo tornarsene in Libia, da dove cioè erano arrivati: per questo motivo molti, sfiniti dal viaggio e scoraggiati, si sono lanciati in acqua: nessuno voleva tornare indietro…».

«E SE FOSSE STATO DI NOTTE…»

Ismaila non vuole crederci. «Ma un uomo, può arrivare a tanto?», si domanda. «Non voglio colpevolizzare un intero Paese – riprende – per frasi simili, dette comunque da uno o più militari; se così fosse, potrebbero avere solo eseguito un ordine: non prendere persone a bordo e assicurare loro assistenza minima, con carburante – per proseguire il viaggio sulle coste italiane – e salvagente per tenersi a galla, lanciare un SOS e farsi soccorrere da imbarcazioni italiane, pescatori, nave mercantile o militare…».

Una brutta pagina. «Voglio solo augurarmi che se fosse stato di notte e il mare fosse stato agitato, i militari maltesi avrebbero agito diversamente: so solo che gli italiani, come sempre, si sono distinti per generosità e rispetto; è per questo motivo che voglio fare richiesta di soggiorno, voglio trovarmi un lavoro, anche se occasionale, infine provare a stabilizzarmi e restare qui, in Italia: è questo il Paese che avevo in mente quando sono andato via dalla Nigeria, partendo poi dalla Libia per sbarcare in Sicilia e baciare il suolo italiano; l’ho fatto davvero, ho ringraziato il Cielo, per essere arrivato a destinazione, come fossi Cristoforo Colombo al suo arrivo in America…».

Conoscenti che hanno vissuto l’esperienza maltese? «Un po’ di giorni fa – conclude Ismaila – ho sentito ancora amici di amici, tutto è finito più o meno bene: parte di questi sono in Centri accoglienza, aspettano che l’emergenza provocata dal coronavirus passi e possano riprendere il cammino, chi andando al Nord, chi in un altro Paese europeo; io il mio primo sogno l’ho realizzato: sono qui ed è un buon inizio». E’ davvero felice, Ismaila. Non fosse così, non starebbe a compilare moduli, chiedere la strada più breve per avere un permesso di soggiorno, anche a costo di rimetterci duecento euro, se tutto andasse bene.