Le mie bambole sono tutte morte
Ad Aleppo continua l’avanzata delle truppe governative supportate dai soldati russi attivi sul territorio. Il quartiere est, da quattro anni sotto il controllo dei ribelli, è stato quasi interamente riconquistato. Le immagini pubblicate restituiscono una narrazione terrificante di ciò che rimane della città. Macerie, uno scenario quasi lunare attraversato dai sopravissuti che vagano alla continua ricerca di un nuovo rifugio. Perché le bombe che piovono a centinaia dal cielo ad ogni ore del giorno non si fermano, continuano la loro opera di distruzione e morte nell’ultima battaglia per riconquistare un territorio che ormai è solo un ricordo lontano di quello che era la città.
E il mondo intero, soprattutto quello che governa i media, è concentrato sul racconto “in diretta” della quotidianità ad Aleppo regalato a tutti da una inviata speciale (quelli ufficiali si tengono a distanza di sicurezza dalla zona calda): una bambina di 7 anni che, con l’aiuto della mamma che le sta insegnando l’inglese nelle lunghe ore trascorse nei rifugi, con i suoi tweet continua a raccontare ogni giorno ciò che accade.
Alcuni tweet di Bana (questo è il suo nome) lasciano interdetti, senza parole al solo pensiero di essere di fronte ad una infanzia non solo negata ma in costante continuo pericolo di vita: “Stavamo leggendo Harry Potter. Ora non riesco a smettere di piangere: una mia amica è morta“; “Stanotte non ho più casa: distrutta dalle bombe. Io viva per un pelo. Le mie bambole morte”; “Ho una piccola ferita. E’ da ieri che non dormo. Ho fame. Voglio vivere, non voglio morire“.
Dopo qualche giorno di silenzio di Bana, la Cnn e il Washington Post sono riusciti a contattare telefonicamente la mamma che rassicura “Siamo sulla strada alla ricerca di un altro rifugio“.
Bana è il simbolo di una infanzia che non si arrende, che continua a sperare che un giorno il rumore delle bombe sarà sostituito dalle note di qualche bella canzone. Certo, il ricordo di questa tragedia resterà per sempre impresso nella sua mente, tatuato in maniera indelebile.
La storia di Bana rievoca il ricordo della storia di un’altra bambina, Nujeen Mustafa, scappata nel 2015 da Aleppo in sedia a rotelle. Ha percorso 5800 chilometri per sfuggire alla guerra e trovare salvezza in Germania attraversando, spinta dalla sorella, le strade di Macedonia, Serbia, Ungheria, Croazia, Slovenia, Austria. Con l’inglese imparato dalla televisione, faceva da portavoce del gruppo di profughi in viaggio con lei per comunicare con le guardie di frontiera.
La sua storia è diventata un’ autobiografia scritta in collaborazione con la giornalista Cristina Lamb dal titolo “Lo straordinario viaggio di Nujeen“.
Intervistata recentemente dal Corriere della Sera ha detto “Tutti quelli che conosco hanno lasciato Aleppo. Ripenso a quel che era la mia città, ne sono orgogliosa. Ma ora Aleppo vuol dire solo distruzione e miseria”. I genitori di Nujeen sono ancora bloccati in Turchia perché lei non ha ancora ottenuto la residenza. Deve aspettare di compiere 18 anni. Poi potrà avviare le procedure per il ricongiungimento in quella Germania che non fa sconti a nessuno.