Giornata internazionale delle vittime di sparizioni forzate

In Turchia anche chiedere giustizia è reato.

In piazza Galatasaray a Istanbul da anni i manifestanti si ritrovano per chiedere verità e giustizia con in mano le foto dei parenti scomparsi. Lo hanno fatto ininterrottamente dal 1995 al 1999, quando i continui arresti li costrinsero a sospendere l’evento per dieci anni. Hanno ripreso nel 2009 e da allora non si sono mai fermati. Chiedono giustizia, di riavere indietro i corpi dei loro cari e l’apertura degli archivi di Stato.

Emine Ocak, fondatrice del movimento, ha 82 anni. Da 700 sabati si ritrova in piazza Galatasaray a Istanbul per chiedere conto dei figli rapiti dallo Stato turco e scomparsi, tra gli anni Ottanta e Novanta. Il volto di Emine è tornato sulle pagine dei giornali di tutto il mondo: la sua foto mentre veniva trascinata via dalla polizia, sabato scorso, è il simbolo di una nuova ondata repressiva del movimento.

Per la 700ma volta portava alta la fotografia  del figlio Hasan scomparso 23 anni fa, e ritrovato lo stesso anno, il 1995: il suo cadavere era pieno di segni di brutali torture. 

Come le »madri della Plaza de Mayo« a Buenos Aires in Argentina, conosciute internazionalmente, le manifestanti chiedono la verità sul destino dei loro parenti, l’accertamento dei responsabili e la punizione giuridica dei crimini.

Si stima che in Turchia siano 17.000 i civili, politici, giornalisti, attivisti per i diritti umani e sindacalisti “spariti” negli anni ‘90. I loro cadaveri vennero gettati in fosse comuni segrete all’interno di basi militari, ma anche in discariche o nei pozzi.

Nessuno ha mai risposto di questi crimini che continuano a reiterarsi, soprattutto nelle città e nei piccoli centri a maggioranza curda.

E un filo conduttore esiste: colui che negli anni novanta ricopriva l’incarico di Ministro degli interni, oggi è Presidente della Turchia e interlocutore politico dell’Italia quanto dell’Europa.

Nonostante il divieto imposto dal Governo, il movimento continuerà a scendere in piazza.

Lo scorso giovedì 30 agosto si è celebrata in tutto il mondo la Giornata delle vittime delle sparizioni forzate indetta nel 2010 dalle Nazioni Unite.

Metodo efficace per diffondere un clima di paura e terrore, secondo la definizione contenuta nell’articolo 2 della Convenzione Onu del 20 dicembre 2006, con il termine “sparizione forzata” si identifica “l’arresto, la detenzione, il sequestro e ogni altra forma di privazione della libertà condotta da agenti dello Stato o da persone o gruppi di persone che agiscono con l’autorizzazione, il sostegno o l’acquiescenza dello Stato”. Un sistema che implica anche “il silenzio riguardo la sorte o il luogo in cui si trovi la persona sparita”. Entrata in vigore nel dicembre 2010, la Convenzione è stata firmata da 97 Stati, 58 dei quali hanno anche proceduto a ratificarla.

Ne suggerisco la lettura.

https://www.ohchr.org/EN/HRBodies/CED/Pages/ConventionCED.aspx