Diventa difficile capire se è più pericoloso il ragazzino che si diverte a lanciare missili in Corea o il Presidente degli Stati Uniti d’America che entra a “gamba tesa” in una regione destabilizzata riaccendendo la miccia di una bomba mai disinnescata.

Dentro uno scenario complicato che ha impegnato per decenni la comunità mondiale nella ricerca di una soluzione politico-diplomatica, arriva il super eroe tinto di biondo con un atteggiamento deplorevole quanto borioso a rompere quei deboli equilibri che fino a ieri tenevano ancora aperta la strada per un dialogo.

Quegli equilibri che, seppure flebili, hanno evitato o limitato attentati, morti, stragi sempre nel tentativo di superare l’idea di usurpazione di un territorio partorita sul tavolo della spartizione all’indomani della seconda guerra mondiale.

Lo Stato di Israele è, infatti, una invenzione moderna, una sorta di “lavatrice delle coscienze” in risposta all’olocausto.

La scena vista in televisione che riprende il Presidente Trump mentre, orgoglioso, appone e mostra al mondo la sua firma il calce al Decreto con il quale decide di riconoscere Gerusalemme Capitale dello Stato di Israele disponendo lo spostamento della propria Ambasciata inorridisce non solo per il contenuto e le conseguenze del Decreto ma anche per la boriosità con la quale ha voluto aggiungere una cornice all’altro Decreto che vieta a cittadini provenienti da Paesi a maggioranza musulmana l’ingresso negli Stati Uniti d’America.

Per dirla con Troisi, non ci resta che piangere!
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Siamo di fronte ad un processo di “carcerazione delle libertà” inaccettabile che avvalora la teoria che la globalizzazione è una dimensione valida solo per la finanza, per gli interessi economici, per consentire ai ricchi di diventare sempre più ricchi a scapito dei poveri che diventano sempre più poveri: le persone non hanno più un peso specifico negli USA votati alla pratica dell’USA e getta.

Un colpo di spugna sulla propria storia ed uno sputo nel piatto nel quale si è mangiato: gli Stati Uniti attuali, la potenza sviluppata, affonda le radici su manodopera e competenze di importazione.

Di contro, quanto si nutre l’economia statunitense dal Continente africano e quanti rapporti intrattiene con Governi dittatoriali che, anche delle persone non solo del petrolio, fanno merce e alimentano il mercato?

Dichiarare unilateralmente Gerusalemme capitale di Israele con l’azione simbolica e devastante dello spostamento dell’Ambasciata serve a Trump per rimarcare da che parte sta a costo di far saltare qualsiasi tavolo diplomatico e riaccendendo i fuochi di una guerra.

Nel gioco del Risiko, che è la vera questione al centro delle politiche economiche internazionali, torna utile avere un avamposto consolidato come Israele.

Le guerre, inoltre, come abbiamo detto più volte, producono altra economia: nelle guerre non si contano solo i morti, si contano soprattutto i soldi!

Il fatto che Trump sia stato isolato dalla comunità internazionale non asciuga le lacrime dei bambini palestinesi né fermerà l’inizio di una nuova, lunga intifada.

A festeggiare, in questo momento, c’è solo l’Iran che, all’indomani dell’operazione in Siria, ritorna ad essere un importante punto di riferimento per il mondo arabo non senza conseguenze nella continua evoluzione dei rapporti in una regione che non trova pace.