Giobbe Covatta, l’impegno con Amref e Save the children

«E la mia Taranto, perché non tutti sanno che sono nato qui. Da circa due anni non posso viaggiare, sento cifre allarmanti sui vaccini per combattere il covid. Fra un anno saremo ancora sotto la soglia del 5%. Speriamo bene, anche se la buona volontà non basta. Amo il teatro, la tv un po’ meno…»

 

Ambasciatore di Amref e testimonial di Save the Children, Giobbe Covatta ha pubblicato “Parola di Giobbe” a “Dio li fa e poi li accoppa” fino a “Donna sapiens” in libreria, nel cinema ha recitato da “Pacco, doppio pacco e contropaccotto” di Nanni Loy ad “Anime borboniche” di Paolo Consorti e Guido Morra, proseguendo in teatro con “Parabole Iperboli”, “Corsi e ricorsi, ma non arrivai”, “Melanina e Varechina”, “Seven” fino alla “Divina Commediola”. Fatta la debita premessa, non tutti sanno che l’autore-attore è un napoletano “Made in Taranto”, praticamente un artista “fatto in casa”.

Detta così sembra una boutade, anzi lo stesso interessato corregge in “boutanade”, “sciocchezzuola” in senso largo. «Capisci a me!», aggiunge, Giobbe, Gianni all’anagrafe, quando entra in clima confidenziale. Dunque, che ci “azzecca” Napoli con Taranto. Semplice. O meglio, sarebbe semplice se qualcuno conoscesse le origini dell’attore napoletano o avesse consultato, per esempio, wikipedia. Insomma, una volta tanto la fantasia dei partenopei, maestri del “falso autentico” in opere cinematografiche e teatrali, è stata superata dalla realtà.

 

Napoletano purosangue, Covatta è nato proprio a Taranto. 

«Mio padre nella vostra città ha lavorato come sommergibilista per un po’, poi, una volta finito il lavoro tornammo a casa, a Napoli».

 

C’è, però, qualcosa che inevitabilmente lega l’attore alla Città dei Due mari.

«Certo, sarebbe sciocco nasconderlo: ogni volta che leggo o sento parlare di Taranto, penso alla città che mi ha dato i natali. Ci fosse Totò, a proposito dei “natali” direbbe: “…Ma qua’ Natale, Pasqua e Epifania…” – Covatta cita ‘A livella – invece qui mi sento davvero di casa: non faccio il ruffiano, ci ho pensato tante volte e sono giunto sempre alla medesima conclusione: Napoli e Taranto hanno similitudini, per esempio il porto, i pescherecci, la Città vecchia e suggestiva con quelle barche a schiera; l’ingresso, o l’uscita, dipende dai punti di vista, di quella “Porta Napoli”, che altro non era che la via mercantile che univa un tempo due città molto simili fra loro; cosa dire, quando passo da queste parti avverto il profumo della mia città e mi dico  “Finalmente a casa!”».

Fra i suoi spettacoli, “Melanina e Varechina” e “Seven”,  la grande comicità “sociale”. Il suo impegno, spesso ricampionato e riproposto in una chiave edita-inedita, una sorta di raccolta antologica. Il difficile rapporto, per esempio, tra mondo occidentale e continente africano; ma anche vizi e virtù del mondo occidentale, “grandi temi” Covatta affronta da tempo immemore e sempre con grande arguzia. Ma dibattere, dialogare con il pubblico, per esempio, su tematiche che a noi di “Costruiamo” stanno a cuore in modo particolare, non va certo a discapito del grande divertimento, dell’irresistibile serie di battute che coinvolge il pubblico per tutto lo spettacolo.

 

Quanto ti manca la tua Africa?

«Da un paio di anni non posso viaggiare e andare ne continente che amo, anche se l’attività nella quale sono impegnato da anni va avanti con l’entusiasmo di sempre. Poi questa sciagura del Covid ci invita ad uno sforzo ancora maggiore: vaccinare il maggior numero di persone nel più breve tempo possibile”.

 

Leggiamo numeri disastrosi.

«In Africa sono solo quindici milioni i vaccinati su un miliardo e mezzo di persone. Di questo passo, lo dicono gli studiosi, alla fine del 2022 soltanto il 5% della popolazione totale sarà vaccinata. Amref, come sempre ci mette la buona volontà, ma ci rendiamo conto che ogni giorno che passa l’impegno non basta».

 

A proposito di Covid quanto gli manca il contatto diretto con il pubblico.

«Una cifra. L’intero settore dello spettacolo è in ginocchio, anche aprire alla metà dei posti in un teatro da cinquecento, seicento posti a sedere, significa avere sempre gli stessi costi con ricavi e guadagni dimezzati. Da una parte, però, bisognerà pur cominciare». Una della massime che Covatta riprende tanto nelle chiacchierate con la stampa, quanto nei suoi spettacoli è la seguente: «Fatevi una domanda e datevi una risposta: ma secondo voi, la missione di un comico non può essere quella di divertire il pubblico senza impedire a questo di pensare?».

 

Proviamo a conoscerci meglio, allora, italiani: virtù e vizi.

«Non volendo abbiamo dimenticato la convivenza, sia con gli uni che con gli altri, cioè vizi e virtù. Con questi conviviamo da una vita, tanto che abbiamo una certa confidenza: li conosciamo bene, tutti sanno di che si tratta, io uso le parole con gioia. Descrivo quello che sta proprio dentro lo stesso vizio: una genesi e un suo sviluppo, un modulo applicato altrove».

 

Diceva un grande attore a difesa del suo lavoro. “Un cantante più ricanta un successo, più applausi raccoglie; un attore: una battuta, una barzelletta, una volta fatta o raccontata, perde il suo effetto. E, allora, Covatta ci svela il segreto di una battuta collaudata. 

«E’ il pubblico a promuoverla, rimandarla, bocciarla. Lo stesso spettatore comincia a farti sentire a tuo agio e quasi ti invita a “esagerare”: rifletto un attimo, poi infilo la battuta non senza un certo timore; se funziona, la memorizzo e ci lavoro sopra anche il giorno dopo e l’altro ancora, fino ad avere invece dell’idea di partenza, di una sorta di canovaccio, il “copione” definitivo cui attenermi».

 

Che rapporto ha con la televisione?

«Buono, come con un qualsiasi altro elettrodomestico, come definiva la tv il grande Eduardo. La guardo un po’, poi l’accendo, ma giusto per vedere se funziona. La tv di oggi, sinceramente, non mi affascina, tranne poche trasmissioni. Magari in uno di questi programmi, più avanti, ci farò un saltino anch’io. Mai fatto polemiche sui programmi televisivi, ma molto più semplicemente dico che tornerò a lavorarci se dovessero chiedermelo amici come Fabio Fazio o la Gialappa’s, se dovessero tornare a fare uno dei loro format di successo: loro sanno mettere insieme ironia e voglia di far riflettere. Mi diverte proprio l’idea di un programma con loro…».

 

Nel frattempo nessuno l’ha mai chiamata, invitata?

«Ogni tanto mi chiama qualcuno, mi propone di partecipare o intervenire in trasmissione, ma fino ad ora ho sempre educatamente rifiutato. Non me la tiro, sia chiaro, ma la scelta è precisa: faccio teatro e non tv perché mi piace guardare la gente in faccia, non entro abusivamente nelle case degli italiani, ma sono loro a venire a teatro a cercarmi: il pubblico compie una scelta precisa. E poi, negli spettacoli, ho tutto il tempo di fare e dire quello che voglio, la gente si diverte e, soprattutto, non sono costretto ad andare di corsa e restare nel recinto dei tre minuti».

 

Parola di napoletano o di tarantino?

«Parola di Giobbe».