Butterfly, ali da farfalla, racconta la sua storia olimpionica
Siriana, ventidue anni, lascia il suo Paese insieme con la sorella. Primo tentativo di fuga, infranto. Il secondo andrebbe meglio, se non fosse che il gommone fa acqua. Giù in mare, per tre ore trascina la “bagnarola” in salvo. Partecipa alla manifestazione dei “cinque cerchi”, la raggiunge il resto della famiglia.
«Eravamo in venti su un gommone, così piccolo che uno scricciolo come me, disteso per lungo, stava stretto, sacrificato: figurarsi tutti insieme; non potevamo farcela, ma la paura di essere intercettati e tornare in un porto turco come era già accaduto, ma anche in un altro Stato, ci mise le ali…». Per un attimo fermiamoci a questa porzione di racconto. Riprenderemo a breve, dalla stessa scena. Dalle stesse paure e dalle stesse emozioni.
Butterfly, ribattezzata così da connazionali e compagni di squadra, racconta la sua storia un po’ per volta. A lieto fine, anche questa. Le cerchiamo, le intercettiamo, ci documentiamo, queste storie finalmente belle. Ce le confermano colleghi cronisti, sportivi o di cronaca, esteri o qualcosa di simile, che queste avventure le hanno documentate. La ragazza di ventidue anni, fuggita dalla Siria, Asia occidentale, insieme con la sorella più grande Sarah, anche lei esperta nuotatrice, passa anche attraverso i nostri lidi.
«Il tempo di ammirarli in lontananza – dice – capisci che la terraferma è lì, che quella è la punta dell’Europa, arrivarci è il nostro sogno». Pensare che il solo mettere piede sul suolo europeo per poi proseguire il viaggio della speranza, oppure sbarcare in un’isola greca, per vedere come la vicenda può evolversi, sia un sogno, è qualcosa di impensabile.
E Butterfly, per via del suo modo di nuotare, simile a una farfalla, ammette che quello è già un sogno. «Disposta a cominciare, non ancora maggiorenne, da zero – sogna, appunto – per gettarmi alle spalle a generose bracciate una sofferenza che, ad essere buoni, dura da decenni: guerre continue per affermare potere e territori…».
Butterfly, un sogno. «Quello che una prima volta si infrange sul muso di una motovedetta turca, che ci intercetta e riconduce in porto: così il sogno si fa incubo! Io e Sarah non ci arrendiamo tanto facilmente, non vediamo altre strade per darci un futuro che sia lontano da colpi di arma da fuoco, stato d’allarme, lotte politiche in un Paese che ha continue emorragie».
BUTTERFLY, COME MADAMA…
Intanto, le due sorelle tornano indietro, sotto scorta. Non è finita. Come in tutte le gare, la ragazza cui hanno attribuito il nome della “Madama” di un’opera di Puccini, sa che dietro l’angolo c’è sempre una rivincita. Lo dice anche il suo tecnico, un allenatore che l’aiuterà ad alleggerirsi dei suoi pensieri e volare a pelo d’acqua.
«Prima dei salti di gioia – ricorda la ragazza siriana – la paura, tanta, per esempio il ritorno in Turchia, il Paese nel quale eravamo entrate io e Sarah, provando a fare da apripista ai nostri genitori e la terza sorellina, rimasta in patria con loro, passando per il Libano». Le intercettano, accidenti. «Quando vedi un’imbarcazione in lontananza – ricorda – comincia a batterti forte il cuore, un flash insegue l’altro: saranno amici o nemici, il pensiero alterno; non mi riconosco grande fortuna, tanto che quella motovedetta è turca: si accostano, ordinano senza mezze misure di seguirli; ci tengono d’occhio, sorridono fra loro, gli sguardi severi li riservano solo a noi che, eppure, al loro Paese non abbiamo dichiarato guerra. Ma è così che va il mondo: l’ho scoperto subito, a mie spese…».
Butterfly e Sarah, sorelle per la pelle, non si danno per vinte. «Dovevamo trovare un altro scafista – riprende – disposto a non chiederci cifre da capogiro e ad accompagnarci nella sponda di fronte, una delle isole del Mar Egeo, poi una volta lì avremmo trovato una seconda strada. Quello scafista che qualcuno ha contattato, in realtà non ha uno scafo veloce con il quale coprire quella distanza, da un porto all’altro: ha solo tanta buona volontà e incoscienza».
Quando arrivano nel porto alle prime luci dell’alba, quelle venti persone in fila e con bagaglio a mano, si imbattono in un canotto, più vicino alla grandezza di un salvagente, che non di un gommone. «Tutti si guardano in faccia, qualcuno vorrebbe rinunciare, troppo pericoloso: prendere il mare aperto con quell’“affare” è un’impresa, ma circola voce – che sia il padrone di quell’“arnese” che dà subito l’idea di fare acqua, o di uno dei possibili passeggeri a metterla in giro, è tutto da verificare – che il tempo per le ore a seguire sarà clemente, dunque, nessuna pioggia in arrivo e niente mare agitato: resta il fatto che venti lì dentro non possono starci, è contro ogni legge fisica…».
UN CORPO IMMERSO NELL’ACQUA…
In effetti, un corpo immerso nell’acqua dà grattacapi, figurarsi venti. «Ci siamo guardati fra noi – ricorda Butterfly – e atteso che uno, il più incosciente o coraggioso, a quel punto faceva lo stesso, compisse il primo passo verso quella bagnarola: tutti dentro, in piedi, niente posti a sedere, si parte!».
Torniamo al punto di partenza, una storia che rischia di fare acqua, nonostante Butterfly e la sorella Sarah, ce la mettano tutta. «Troppe venti persone per quei due, tre metri quadrati, ma proviamo a prendere il largo, direzione una delle isole greche nell’Egeo: le vediamo in lontananza, non cantiamo vittoria, proviamo ad essere scaramantiche, ci era accaduto nel viaggio precedente non appena in lontananza avevamo visto la prima costa…». Ma il pericolo stavolta non arriva da una motovedetta, da una nave ostile, giunge da quella stessa “bagnarola”: si spegne il motore e rischia di imbarcare acqua. E’ il momento di spiegare le ali. «Mi sono lanciata in mare con mia sorella e un’altra ragazza, insieme abbiamo nuotato per tre ore tirando quel gommone, che poi gommone non era, fino a quando dopo ore di interminabili bracciate non siamo arrivate a destinazione: eravamo in Grecia…».
Basterebbe questo per parlare di storia a lieto fine. Il più è fatto, la rotta balcanica, il viaggio infinito, a piedi e in treno, passando attraverso Macedonia, Serbia, Ungheria, Austria e, infine, Germania, Paese nel quale le due sorelle ottengono lo status di rifugiate. Prima della guerra, quella ragazza che al posto delle braccia aveva due ali, aveva rappresentato la Siria ai Campionati mondiali di nuoto in vasca corta 2012, in Turchia. Stavolta, partecipa ai 100 metri “farfalla” femminili, supera la prima fase. E tutto quello che per anni l’aveva mortificata.