La coscienza non ha turni
Il Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS) di Modugno ha compiuto il suo primo anno di attività. A ricordare questa scadenza sono stati gli ospiti del Centro che hanno voluto, quasi si dovesse celebrare un rito, che si festeggiasse: una strana rielaborazione della festa del Ringraziamento. Una festa per festeggiare l’accoglienza e per distinguere chi la fa da chi fa finta di farla. Una festa pensata e voluta per ringraziare gli operatori della struttura, i Responsabili, tutte le persone che, anche in situazioni difficili, hanno creduto e credono che accogliere non è mai sbagliato. Un anno è tanto tempo e pensare che sia già passato fa ripercorrere una storia che sembra essere stata compressa, vissuta troppo velocemente per pensare che sia trascorso solo un anno. Per chi vive quotidianamente le dinamiche quotidiane di una struttura il tempo si moltiplica o si perde la percezione del tempo per lasciare spazio alle vicende umane, alle necessità dei singoli o dei gruppi: è quasi come avere una famiglia di 120 figli da proteggere, da accudire, ai quali dare risposte a esigenze spesso legittime. All’inizio si approcciano all’operatore con diffidenza, altre volte con una prepotenza che rivela l’espressione di una debolezza che devi comprendere, devi avere la pazienza di tradurre partendo dal vissuto di chi ti è di fronte. Operare in una struttura di accoglienza non è facile: ci vuole stomaco, cuore e una capacità estrema di relazionarsi con persone che arrivano da un’altra parte del mondo con false aspettative alle quali devi dare risposte. Solo con il tempo, la pazienza e la capacità di dialogare si instaura un rapporto nel quale si comprende che l’operatore non è l’altro carnefice che hai incontrato, non è il terminale di una rete criminale che hai pagato per arrivare qua. E’ semplicemente una persona che ti accoglie nel migliore dei modi possibili, che ha scelto di prendersi cura di te perché crede in quello che fa. E lo fa con passione, non solo per mestiere! E assume responsabilità che potrebbe evitare. Piange quando qualcuno va via e, allo stesso tempo, gioisce sapendo che ha trovato una sistemazione migliore. Non tutti reggono alla gestione di emozioni che devi ingoiare tutti i giorni perché, per quanto debba essere professionale e distaccato il rapporto, è difficile non farsi coinvolgere e compenetrarsi in storie e vicende umane difficili anche da ascoltare. La coscienza non è una valigetta che lasci sul posto di lavoro quando hai finito il turno: ti porti dietro e dentro ogni storia, ogni tragedia che ti è stata raccontata che ti rimane addosso come un tatuaggio. E non puoi non pensare a quanto la vita a dato a te e a quanto è stato negato agli altri. Lavorare sul fronte nel sistema dell’accoglienza dei migranti ti mette di fronte ad uno specchio, ti impone di ragionare con te stesso, di dare un valore a tutto quello che la vita ti ha dato e che ad altre persone ha negato. La coscienza non fa i turni, non esistono orari. Agli operatori che hanno retto e reggono va fatto un grande plauso soprattutto per quanto sono riusciti a costruire nel rapporto con gli ospiti del Centro che li hanno voluti festeggiare. A loro il merito dei risultati raggiunti.