Omran, collaboratore, rischia la vita

«Temo per la mia famiglia. I talebani stanno girando casa per casa. Vogliono giustiziare quanti hanno aiutato i governi a restituire normalità all’Afghanistan. Siamo un bersaglio, temo per i miei familiari, qualcuno in Italia faccia qualcosa»

 

Quanto dolore. E quanta rabbia, mista a delusione.  Ma anche preoccupazione, tanta preoccupazione per chi è ancora in Afghanistan. Sono alcuni dei sentimenti e delle testimonianze manifestati dalla cinquantina di italiani sbarcati a Fiumicino con uno dei primi voli organizzati dalla nostra Aeronautica. Voli  che stanno trasferendo in Italia connazionali e il maggior numero di collaboratori afgani insieme con le loro famiglie.

«Temo per chi ha lavorato con noi – la drammatica testimonianza di un medico che lavora per l’agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo – e ora rischia di morire; i talebani li stanno cercando casa per casa; lì, purtroppo, ci sono ancora migliaia e migliaia di persone che rischiano la vita: la situazione è gravissima, la comunità internazionale faccia qualcosa e alla svelta, ogni ora che passa diventa fatale per i nostri collaboratori, gente innocente che aveva in testa solo la libertà, la voglia di vivere senza pressioni, costrizioni, ridotte in schiavitù».

«Senza il sostegno dei contingenti militari stranieri – dice Omran, anni di attività con l’Agenzia governativa italiana in Afghanistan – esercito e polizia afghani, nulla possiamo contro gli Studenti coranici: è solo questione di giorni, di ore, la mia collaborazione con gli italiani sta mettendo  a rischio la mia vita e quella della mia famiglia: ti prego Italia, aiutaci!».

 

«PAURA DI RAPPRESAGLIE»

Omran ha lavorato nella cooperazione internazionale in Afghanistan. Fino al 2020 Herat era rimasta al riparo dalle minacce dei talebani, grazie anche alla presenza del nostro contingente militare di base nei pressi dell’aeroporto. Ora, dopo l’abbandono dell’Afghanistan, in alcuni casi frettoloso e senza sicurezza, Herat è praticamente nelle mani dei Talebani.

«Incredibili le rappresaglie a cui stiamo assistendo: quasi non volessero alcun beneficio dall’Occidente, le strade realizzate anche con il contributo della cooperazione italiana vengono fatte saltare; i Talebani cercano di bloccare ogni forma di comunicazione con l’esterno impedendo, per esempio, l’uso di internet. Trovare una connessione è sempre più complicato”. Prosegue il racconto disperato di Omran. “E’ un assedio, temo che le conseguenze saranno durissime. I simpatizzanti dei terroristi, specie di etnia pashtun, si stanno alleando con gli invasori. Mi conoscono, conoscono il mio lavoro e la collaborazione con gli italiani negli ultimi dieci anni: io e i miei familiari siamo in pericolo, a maggior ragione ora che tutti i contingenti stranieri sono andati via».

 

«CHIEDO UN “VISTO”»

E qui sta l’angoscia di un uomo da sempre fedele e operativo nei confronti della cooperazione italiana. Nel corso degli anni Rahgozar ha coordinato tantissimi progetti umanitari nella provincia di Herat collaborando con ong del calibro di Intersos, Cesvi e Gvc. Nel marzo del 2017 era all’opera con Gvc per un piano di rilancio della ruralità in alcuni villaggi poverissimi della provincia di Herat. Era stato lui a tenere le fila e i contatti tra le comunità e l’Aics.

«Grazie all’Italia eravamo riusciti a cambiare molte cose qui – prosegue Omran – quanto, purtroppo, sta per essere reso vano a causa dell’abbandono dei contingenti internazionali. Ho paura, mi considero un bersaglio. Ho provato a chiedere aiuto all’Aics di Herat, gestito afghani, ma senza tanti giri di parole mi hanno detto che per me, la mia famiglia, per chi ha collaborato con l’Italia non possono fare niente. Eppure chiediamo solo un visto per lasciare il Paese. Mio padre, molto religioso, che più volte mi aveva consigliato, insistito di non lasciare l’Afghanistan, adesso ha cambiato idea, ora mi esorta di mettermi in salvo con la mia famiglia: spero non sia troppo tardi».

«Con la mia famiglia sono nelle mani degli italiani – conclude Omran – fossi solo potrei provare a superare il confine, ma non è cosa semplice: unica soluzione è ottenere dall’Italia un visto con il quale espatriare a bordo di un aereo; per questo non smetto di fare appelli al vostro Paese: non è un atto di egoismo, mi rivolgo all’Italia anche a nome di quanti sono nelle mie stesse condizioni, non dimenticatevi di noi: aiutateci!».