Si, la Khùtbah (la preghiera) del venerdì l’hanno fatta all’aperto, senza vincoli di partecipazione, ricevendo il pieno rispetto degli altri ospiti della struttura non mussulmani e accettando di farsi fotografare.
Ieri mattina, come avevo preannunciato a Fabio, raggiungo la struttura per incontrare l’Imam e qualche ospite che aveva partecipato alla preghiera il giorno prima.
Al mio arrivo i soliti abbracci, ci conosciamo da tempo. Raccolgo anche qualche imbarazzante apprezzamento: “Tu scrivi cose buone, giuste! I giornali e la televisione dicono bugie!” . Fra quanti mi accolgono c’è Abbas, diventato, ormai il mio più stretto collaboratore soprattutto quanto mi muovo su sentieri che non so battere: non conosco l’Imam, è arrivato in Struttura quanto io già svolgevo un altro ruolo, quasi non so come comportarmi, non ho domande pronte né so da dove iniziare. Spinto dall’istinto a cercare e chiedere questo incontro mi sento come un idraulico senza la cassetta degli attrezzi.
Muhammad Akram, ospite del Cas, di solito poco disponibile al dialogo, ha compreso il motivo della mia visita e, forse, capisce il mio imbarazzo. Mentre altri operatori e ospiti si allontanano per cercare l’Imam, mi invita ad accomodarmi con lui nel salone e inizia a spiegarmi: “Io ieri ho partecipato alla preghiera ma, devi sapere, che la preghiera è una cosa, il sermone dell’Imam è un’altra. L’Imam parla in arabo, ma la lingua araba ha tante versioni, è come i vostri dialetti in Italia! Ma garantisco che, anche se io non capisco la lingua che parla, è un Imam buono. Tu lo sai, io vengo dal Pakistan. E’ come se tu andassi in una Chiesa cristiana in Africa: conosci il rituale, ma non capisci quello che dice il prete! L’importante è pregare e ringraziare Dio perché siamo ancora vivi e abbiamo avuto la fortuna di incontrare persone come voi che ci hanno accolti sempre con il volere di Dio”.
Mentre parlo con Muhammad, arriva Savane Alimane, data di nascita 29.04.1997.
Ventenne della Costa d’Avorio è l’Imam che cercavo, che aspettavo.
Un ragazzo dall’aria mite, garbato. Mi porge la mano e, come sempre succede, porta la sua mano sul cuore: siamo già amici.
Gli dico che sono felice di aver visto le fotografie della preghiera di venerdì e che mi interesserebbe sapere e far sapere quale è stato il tema del sermone.
Si guarda intorno, è circondato da un gruppo di persone che guarda negli occhi cercando una traduzione alla mia domanda.
E’ sempre Abbas ad avere una soluzione: attraverso una triangolazione riusciamo a comunicare, anche se in realtà capisco molto poco ma apprezzo la disponibilità al dialogo e all’incontro che mi dimostra l’Imam.
Mi mostrano due siti sul web dove posso trovare, come fossero i fogli domenicali distribuiti nelle nostre Chiese, la traduzione del tema da trattare settimanalmente durante il sermone.
Rimango basito. Non sapevo funzionasse così anche per loro!
Ridiamo insieme sulla questione e sulla mia ignoranza sul tema.
Usciamo e Savane, l’Imam si concede ad una fotografia al fianco di Abbas.
Indossa un giubottino giallo fluorescente ed un cappellino nero.
Tornerò a trovarlo presto.
La sua pacatezza e la sua disponibilità al dialogo sono fondamentali per l’incontro che cerchiamo, per costruire quel modello di convivenza che vogliamo.
Era questo il messaggio celato dietro le foto di Nicole?
“Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario, né relazionale, né storico definirà un non luogo”.