Il sogno della piccola Buteina: “un computer e una casa, ma sono una bambina fortunata”.

Buteina è nata in Marocco 10 anni fa ma, dopo la morte del padre, si è trasferita all’età di un anno in Libia con la madre che aveva trovato lavoro come domestica presso una famiglia benestante. Adesso è ospite del Cas di Bitonto dove l’ho incontrata per raccogliere la sua storia all’indomani della tragedia, l’ennesima, che si è consumata in mare e che ha fatto strage di bambini migranti.

“In Libia stavamo bene, la famiglia che mi dava lavoro ci voleva bene e la bambina andava a scuola” racconta la mamma. Ma io insisto per parlare con Buteina, voglio conoscere la sua storia raccontata da lei senza filtri perché ho capito subito di avere di fronte una bambina dotata di una straordinaria intelligenza e tanta voglia di dire, raccontare, parlare che traspare dai suoi grandi occhi neri e dal suo sguardo duro e tenero allo stesso tempo.

“Sono arrivata in Italia 6 mesi fa con un barcone ma, dopo due giorni di viaggio, lasciati alla deriva, siamo stati soccorsi da una nave, una dei soccorsi umanitari, e su quella nave siamo rimasti altri 4 giorni prima di raggiungere l’Italia. In mare ho avuto paura, non all’inizio, ma quando ho visto che le persone grandi che erano su quella barca avevano paura di morire”.

E continua “In Italia da quattro mesi vado a scuola. Mi piace andare a scuola anche se nei primi giorni gli altri bambini giocavano con me, ora non vogliono più giocare con me e non lo so perché”. Le chiedo se ne ha parlato con la maestra o con qualcun altro e lei mi risponde di no, che sono la prima persona a cui rivela questa cosa. Il mediatore che mi affianca, Karim, che conosce bene Buteina rimane stupito e conferma che è vero, non ha mai parlato con nessuno di questa cosa e, con lo sguardo rivolto alla mamma sembra chiederle se ne sapesse qualcosa.

“Quando è tornata da scuola oggi e le ho detto che sarebbe venuta una persona per farle delle domande è stata felice e mi ha risposto che finalmente poteva parlare. Io mi aspettavo una reazione diversa, invece…”. E infatti, ho trovato Buteina che mi aspettava seduta alla postazione degli operatori. In attesa che ci raggiungesse karim, ci siamo presentati. Ed è arrivata un’altra sorpresa: Buteina parla in Italiano, certo stentato, ma comprende tutto ciò le dico. E risponde in maniera appropriata dopo solo 6 mesi dal suo arrivo in Italia.

Quando arriva Karim, Buteina era già un fiume in piena e io facevo fatica ad appuntare quale passaggio del suo racconto sul taccuino. “In Libia sparavano tutti i giorni e io tremavo sempre per la paura –racconta- e le bombe iniziavano a cadere a pochi metri dalla casa dove abitavamo. Un giorno sono entrati in casa dei soldati che ci hanno picchiate e ci hanno rubato tutto quello che avevamo e, qualche giorno dopo, una bomba ha distrutto anche la casa”. La mamma, sempre presente, racconta che grazie all’aiuto economico della famiglia presso la quale lavorava e con l’aiuto di qualche amico hanno racimolato la somma necessaria per salire su quel barcone che sembrava, ormai, l’unica via di fuga. Mille euro a testa per essere abbandonati a poche miglia dalla costa libica.

“Non conosco il Marocco che è il Paese dove sono nata, ma studio sempre sui libri il mio Paese e mi faccio raccontare da mia madre e da mia zia sempre la storia del mio Paese. Mio fratello, che ha 23 anni, è arrivato in Italia quindici giorni fa. Anche lui, finalmente, è riuscito a scappare dalla Libia”. Con uno sforzo enorme, chiedo a Buteina se aveva saputo della tragedia avvenuta in mare due giorni prima nella quale hanno perso la vita tanti bambini. “Si –ha risposto- me lo ha detto mamma quando sono tornata da scuola. Non voleva dirmelo, ma lo ha fatto perché lo stesso lo avrei saputo. E la barca che si è girata era uguale a quella sulla quale eravamo noi. Io mi sento davvero una bambina fortunata”. La mamma stringe a se la bambina e racconta che, di fronte a quelle immagini e a quella notizia ha pianto, ha pianto tanto ripensando alla loro storia e a quei bambini.

E ha continuato “Noi siamo mussulmani. Anche l’altro giorno un ragazzo si è fatto esplodere a Manchester e ha ammazzato tanti bambini. Ma questo non c’entra niente con la religione. Uccidere è un peccato, l’Islam non uccide. Noi mussulmani continuiamo a scappare da chi uccide”. Torno a parlare con Buteina per chiederle cosa fa durante il giorno dopo la scuola: “Gioco con le bambole e la favola che mi piace di più è Biancaneve perché è la prima favola che ho ascoltato a scuola da quando sono in Italia. Oggi sono triste perché dovevamo fare una gita per visitare un sito perché stiamo studiando il neolitico ma pioveva e non ci siamo andati più. Io e mia madre non usciamo spesso, stiamo quasi sempre qua in struttura e i miei compagni di classe non li vedo il pomeriggio perché, l’ho detto, non vogliono giocare con me”.

La mamma chiede a Karim di spiegarmi che evita di andare in giro perché Buteina le chiede di comprare cose che non si possono permettere di comprare. Allora, chiedo a Buteina (che ha sentito tutto!) cosa le piacerebbe avere in regalo. La risposta è pronta, quasi si aspettasse quella domanda: “Un computer e una casa. Questo è il mio sogno!”.