RAZZISMO/Lo svedese provoca, il belga reagisce

Zlatan offende, dà dell’asino all’avversario e lo invita a tornarsene in Africa a fare i vodoo. Il belga risponde a muso duro che la mamma dello svedese non è “immacolata”. Condanna unanime del giornalismo. Luigi Garlando, già intervistato dalla nostra cooperativa: «Il bullismo del milanista è irritante, ma sbaglia anche l’interista»; Paolo Condò: «Quello del rossonero è trash-talking, un espediente sleale e vigliacco»

 

Inter-Milan, derby ad alta tensione per Zlatan Ibrahimovic  e Romelu Lukaku. Negli ultimi minuti del primo tempo della sfida di Coppa Italia, i due attaccanti si sono scontrati in occasione di un calcio di punizione per i nerazzurri: un testa a testa in cui alcune parole dello svedese hanno scatenato la reazione del belga interista, trattenuto a fatica dai compagni.

Ibra ha giocato nelle tre principali squadre italiane, Juventus, Inter e, ora, Milan, dunque non è un’accusa o una difesa di parte. Grande giocatore, ma peperino incontrollabile era in bianconero e nerazzurro, lo stesso dicasi in rossonero. Ciò detto, Ibra l’altra sera si è lasciato andare a frasi infelici rivolte all’indirizzo di Lukaku, giocatore che veste la maglia nerazzurra e che prima di allora, nonostante fosse da un anno e mezzo in Italia, non aveva mai dato segni di reazione così feroci. Le frasi, del tipo «Asino, tornatene in Africa con mamma a fare i vodoo!», con risposta eccessiva anche dell’attaccante interista, «Tua madre è una p…!» e così via. Ibra poteva risparmiarsela, Lukaku poteva evitare la replica.

Il calciatore svedese ha tentato anche una difesa blanda di quanto accaduto in campo, provocazione, grave, compresa, parlando come spesso gli accade di se stesso in terza persona. «Nel mondo di Zlatan non c’è posto per il razzismo», ha scritto lo svedese in riferimento alle accuse sul significato delle frasi da lui pronunciate e dirette all’attaccante belga.

Luigi Garlando, prima firma della Gazzetta dello sport, da “Costruiamo Insieme” intervistato nei giorni scorsi, dalle pagine del quotidiano sportivo più letto ha detto detto la sua: «Il bullismo di Ibra è irritante, ma sbaglia anche Lukaku. E non facciamo ome Conte, il tecnico nerazzurro».

 

«COSA INSEGNATE AI RAGAZZI?»

Questo il commento di Luigi Garlando sulla Gazzetta dello Sport in relazione alla rissa sfiorata tra Ibrahimovic e Lukaku. «Cos’hanno imparato i ragazzi dalla didattica a distanza del derby di Milano?», s’interroga Luigi Garlando. «Che insultare – prosegue – minacciare, rincorrere un avversario, mettersi faccia a faccia, infamare madri e mogli è punibile con un cartellino giallo, come uno sgambetto. Quindi, tutto sommato, si può fare. A poco prezzo. Cosa dovevano fare di più Ibrahimovic e Lukaku per farsi cacciare? Espellere già nel primo tempo i due eroi della sfida avrebbe guastato il derby? Un arbitro è tenuto a tutelare anche la qualità dello spettacolo? L’unico modo per tutelare la qualità dello spettacolo è garantire che siano difesi i valori di legalità, sportività e rispetto dell’avversario sui quali si fonda. E invece a San Siro sono stati trascurati anche banali principi di civiltà».

«Il giorno dopo – continua Garlando – ci saremmo aspettati una tuonata del capo degli arbitri, tipo: “Valeri ha sbagliato. Doveva cacciarli. Mai più scene tanto vergognose in campo! Tolleranza zero!”. E invece è arrivata la solita, deludente, difesa di casta. E dai giocatori, dai loro eroi, che seguono quotidianamente, cosa hanno imparato nella didattica a distanza di San Siro? Nulla di cui essere fieri e che serva a crescere bene. Tutto è partito da un fallo duro di Romagnoli, cui Lukaku ha reagito a muso duro. Qui si è inserito Ibra: “Rilassati”. Risposta di Romelu: “Perché, se no?”. Come fanno i bambini, insomma. E su queste scintille infantili hanno versato benzina adulta».

«Non c’è razzismo – sottolinea il giornalista – perché Zlatan è cresciuto nel ghetto multirazziale di Malmoe, tutta la sua vita nel calcio e fuori è stata aperta, inclusiva. Spesso si è sentito chiamare zingaro. Ma è irritante il suo bullismo sfottente, la mistica muscolare, il superomismo che riduce ogni confronto a una sfida. Zlatan ha il diritto di sentirsi Dio, ma il dovere di rispettare le leggi dei mortali. Si può essere leader in altro modo. Lukaku è stato toccato nell’affetto più caro e sensibile, la madre, di cui non ha mai dimenticato sacrifici e sofferenze. Legittimo il risentimento, ma non può mai diventare l’alibi per minacciare spari in testa, violenze alle mogli altrui e per dimenarsi alla ricerca della giustizia sommaria. Vale per entrambi: nelle regole d’ingaggio è compreso l’autocontrollo. Occhio a giustificare con leggerezza, come Conte: “Ibra ha cattiveria da vincente. Mi piace se Lukaku si arrabbia. Io ho fatto il calciatore, so che può capitare”. Complicità da caserma, dove si trattiene tutto all’interno. Meglio invece aprire le finestre e cambiare aria», conclude Garlando.

 

«ESPEDIENTE SLEALE E VIGLIACCO»

Sulla vicenda è intervenuto anche Paolo Condò, giornalista nel salotto di Sky e commentatore sulle pagine di Repubblica. «Quello di Ibra è trash-talking, un espediente sleale e vigliacco», ha scritto Condò. «Quello che Ibra ha fatto a Lukaku nel derby di coppa Italia – ha proseguito il giornalista di Sky e Repubblica – ha un nome molto preciso: si chiama trash-talking, ed è un metodo – largamente diffuso nelle competizioni di vertice, e spesso anche nella partite di calcetto fra colleghi – per innervosire l’avversario portandolo a sbagliare, a reagire, a farsi espellere. I professionisti del settore, e Ibra certamente lo è, memorizzano le informazioni che possono tornare utili, quelle che rivelano i punti deboli degli avversari: la storia dei riti voodoo è una cretinata tirata fuori dal proprietario dell’Everton per giustificare agli azionisti il fatto che Lukaku all’epoca se ne fosse andato anziché prolungare il suo contratto – spiega Condò – Romelu si adirò molto per la falsità, e di quella rabbia ovviamente è rimasta traccia in rete: chi vuole provocarlo, sa dove colpire. Oltre a questa “carineria”, Ibra gli ha tirato addosso pure la storia dell’asino (“donkey”) che a Manchester tormentava il belga in due sensi: uno riguardava i suoi limiti tecnici, l’altro era appunto un doppio senso. Ce n’era d’avanzo per farlo reagire (e infatti Lukaku è partito con insulti e minacce) fidando nel fatto che l’arbitro non conoscesse l’intera storia, e dunque notasse la reazione assai più della provocazione: che poi è l’esatto obiettivo degli “artisti” del trash-talking».