Abbass, pakistano, rivolge il suo “grazie” a “Costruiamo Insieme”
«Un contratto di lavoro, una prospettiva diversa rispetto al caos che ho lasciato alle mie spalle. Operatori di un Centro di accoglienza mi hanno segnalato, il colloquio, la firma. Ho cominciato a vivere, in un solo colpo avevo cancellato paure e delusioni. Ho imparato l’italiano senza andare a scuola, ma scrivo e leggo anche greco e arabo, due lingue complicate». Un viaggio fra Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria e Austria, poi finalmente l’Italia.
Abbass, pakistano, ventisette anni, musulmano, professione operatore della cooperativa “Costruiamo insieme”, racconta il suo viaggio non semplice. Dal suo paese all’Italia, prima di avere, come ama definirla lui, «L’occasione della vita: un contratto da operatore con “Costruiamo”!». Accenna al viaggio. «Tutto sommato tranquillo, rispetto a quanto stava accadendo nel periodo in cui presi la decisione di andare via da Gujrat», racconta lo stesso Abbass. Quella regione è un incrocio di molti dei mali che affliggono l’intero Paese. «Conflitti etnici, rapporti tesi fra famiglie, focolai di qualsiasi genere, come se bastasse un pretesto per impugnare o imbracciare un’arma».
Ma un bel giorno, Abbass, giovane dal sorriso scolpito sul viso e la generosità nel cuore, imprime una svolta alla sua vita. «E’ il giugno del 2016, arrivato in Italia un anno prima, senza frequentare scuole ho già imparato l’italiano: parlo urdu, la mia lingua, poi indy, greco e arabo, due lingue complicate, ma che capisco perfettamente e trascrivo perfettamente, la capacità di apprendimento è un dono del Cielo, che mi ha messo in relazione con “Costruiamo Insieme”».
Il viaggio comincia da solo. «Nel 2009, non potevo più reggere quelle tensioni giornaliere, avevo appena diciotto anni, tutti trascorsi in momenti di pericolo indescrivibili: uscivi di casa e non sapevo come potesse andarti la giornata, se saresti riuscito a portare la pelle a casa; fra noi ragazzi e anche con i più grandi si parlava di andare via…». Non usa il verbo “fuggire” Abbass, gli sembrerebbe dare l’idea di uno che scappa, quando invece l’idea di lasciare la sua famiglia, a malincuore, gli balena nella testa ormai da tempo. «Il viaggio è lungo, lo compio da solo, strada facendo incontro altri miei connazionali e altri “fratelli”, di altri Paesi, che hanno in mente lo stesso scopo: andare a trovare altrove una vita più umana, senza sentire più proiettili che fischiano e tritolo che ti esplode a vista d’occhio. È questo il quadro che mi si presentava davanti ogni giorno, qualcosa di indescrivibile, una macedonia di tutti i malesseri insieme».
VIA DAL PAKISTAN A DICIOTTO ANNI…
Diciotto anni, il 2009, Abbass, poco più di un ragazzino, saluta casa. «Non è una fuga, ma una sconfitta dal punto di vista umano: lascio i luoghi che mi hanno visto nascere, crescere e maturare come uomo, proprio a causa di quelle brutte vicende dalle mie parti si cresce in fretta; ho lasciato il liceo, che mi è servito per studiare principalmente matematica e inglese, tanto che non escluso un giorno di tornare fra i banchi di scuola; ho lasciato mio padre e mia madre che sento ogni giorno, i miei tre fratelli e le mie due sorelle, anche loro hanno scelto l’estero; due miei fratelli risiedono a Dubai, uno impegnato come autista di camion, l’altro come tecnico e specialista di computer, anche le mie due sorelle si sono rifatte una nuova vita, ora tocca a me, ho avuto questa grande opportunità di lavoro, provo a tenermela stretta con tutte le mie forze».
Da un Paese all’altro. «Sono stato in Grecia, poi Macedonia, Serbia, Ungheria, Austria, ma il mio chiodo fisso era l’Italia, un Paese ospitale come pochi e dai princìpi democratici; guardavamo tutti alla Siria, costantemente tenuta sotto controllo, a causa dei continui conflitti: durante i trasferimenti non è successo niente, da non crederci: qualcuno mi chiede se non avvertissi paura in quei momenti, per esempio ai confini; certo, qualsiasi cosa, come a Gujrat, poteva accadere in qualsiasi momento, ma grazie al Cielo è andata bene: ai confini i controlli erano severi, ma chi come me e i miei compagni di viaggio che non vedevamo di arrivare a destinazione, non avevamo niente da temere; controllo documenti e bagagli e via, fino a quando dall’Austria non arrivai in Italia».
FINALMENTE L’ITALIA E “COSTRUIAMO INSIEME”!
L’arrivo in Italia. «Mi diressi a Milano, città bella, laboriosa, magari avrei voluto provare a cercarne di lavoro, ma mi indirizzarono in Sicilia, a Caltanissetta, quella città è considerata un avamposto di confine fra l’Italia e l’Africa per intenderci: quindi Messina, diciotto giorni per la richiesta d’asilo e finalmente fra le mani un documento che riconoscesse il mio stato di profugo; fui trasferito al Centro di accoglienza di Modugno, lì cominciai ad imparare velocemente l’italiano, una lingua non semplice, ma anche in questo caso ho imparato l’alfabeto e a scrivere; non solo l’italiano, ho imparato velocemente che per essere accettato senza riserve devi anche renderti utile, cercare un lavoro: una volta padrone della lingua, anche se qualche scivolone in italiano suscitava qualche risata, ho cominciato a girare; ho trovato una pizzeria e un locale disposto a farmi fare pratica; come se avessi avuto le chiavi di quell’esercizio, ero lì da mattina a sera inoltrata, pulivo, lavavo, strigliavo il pavimento, poi la sera dietro al banco della pizzeria, a fare il pizzaiolo».
Primo giugno 2016. «Una data che non dimenticherò mai; a Modugno avevo fatto amicizia con operatori, da loro avevo imparato rispetto e rigore nel fare questa attività che richiede un codice: l’intransigenza; esistono regole che vanno rispettate alla regola». Nella nostra chiacchierata, la successiva passeggiata, Abbass vede un ragazzo ospite del Centro di accoglienza seduto su uno scooter. «Amico – dice all’indirizzo del giovane – non è roba nostra, non va bene che stia seduto lì, evitiamo che qualcuno ci riprenda, forza: un po’ di buona volontà, dobbiamo stare in pace con tutti, se vogliamo rispetto dobbiamo cominciare a rispettare noi gli altri…». Ha una parola, un concetto per ogni cosa Abbass. “Devo questo lavoro a quanti mi hanno segnalato alla cooperativa sociale: bontà loro, sono stato ritenuto una persona affidabile, degna di un contratto: da quel momento è cominciata la mia vita, ho ripreso a sorriderle, a tirare un sospiro di sollievo che mi portavo dentro da quasi dieci anni, da quando avevo preso le mie poche cose e mi ero avventurato nel viaggio della vita».