Allevi racconta la sua grave malattia al Festival di Sanremo

Quella del grande musicista e compositore, non è l’unica emozione che regala il teatro Ariston: «Non potendo contare sul mio corpo suonerò con l’anima». C’è anche l’abbraccio di Amadeus, conduttore della rassegna, alla mamma di GiòGiò, il giovane musicista napoletano ucciso per un parcheggio: «Oggi suoni su questo palco, amore mio». Le note di “Tomorrow”: «Perché domani ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello». Non si finisce mai di imparare

 

«Non potendo più contare sul mio corpo suono con l’anima»; «Oggi suoni su questo palco, amore mio». La prima frase è del Maestro Giovanni Allevi, affetto da mieloma multiplo; la seconda, di Daniela Maggio, mamma di Giovanbattista Cutolo, giovane orchestrale ucciso a Napoli per una lite causata da un parcheggio. E’ partito così l’ultimo Sanremo di Amadeus alla sua quinta esperienza sul palco dell’Ariston, ultima nel ciclo di impegni assunti per la conduzione e la direzione artistica del Festival della canzone italiana.

Qualcuno non si è lasciato sfuggire l’occasione per scrivere: è un Festival che fa piangere. Ogni riferimento ad al paio di episodi registrati nelle due serate di apertura della rassegna, non è casuale. Fa male il pretesto, quel sarcasmo fatto passare per metafora – non tanto nascosta – per bacchettare, quasi, un Festival di Sanremo che si appoggerebbe ad ospitate forti dal punto di vista emotivo pur di fare ascolti. Non abbiamo la presunzione di far passare per inappellabile una nostra considerazione. Conoscendo Amadeus, però, pensiamo che il presentatore-art director non abbia fatto il ragionamento “dolore uguale ascolti”. Nonostante lo sforzo nel pensare in modo distaccato a questa equazione che rimandiamo al mittente, Amadeus non ce lo vediamo proprio nelle vesti di un farmacista che prepara una soluzione con tanto di questo, quell’altro, quest’altro ancora pur di ottenere una platea televisiva vastissima. Intanto perché nessuno ha la sfera magica per capire cosa faccia fare ascolti o flop.

 

 

PARLIAMO DI EMOZIONI…

Sarebbe stato sufficiente, però, e torniamo a giornalisti, conduttori e opinionisti, che passano con disinvoltura dall’orale allo scritto (ma quante radio a Sanremo, nonostante non siano in molte a programmare le canzoni festivaliere!), avessero fatto come altri, non necessariamente famosi, raccontassero invece di “emozioni”. Emozioni, sì. Quelle trasmesse al pubblico con un abbraccio sincero e commosso, fra Amadeus e la mamma di “Giò-Giò” (Giovanbattista Cutolo), si diceva, l’orchestrale napoletano di ventiquattro anni colpito a morte senza accorgersene, a causa di un parcheggio: «Oggi suoni su questo palco, amore mio!», la frase di Daniela Maggio che ha inchiodato il cuore di milioni di italiani seduti davanti alla tv durante la prima serata del Festival. Stessa emozione quella di Giovanni Allevi, affetto da un tumore che sta combattendo con grande coraggio: «Non potendo più contare sul mio corpo suono con l’anima», ha detto, fra le altre cose, uno dei più grandi pianisti e compositori più noti al mondo.  

Dunque, dalle lacrime alla commozione. Allevi ha portato a tutti un grande dono, quello di considerare la salute un dono del Cielo. Il compositore ha, dunque, portato la sua musica e la sua malattia sul palco. «All’improvviso mi è crollato tutto – la sua dichiarazione ripresa alle agenzie, fra queste, puntuale, l’Ansa – non suono più il pianoforte davanti ad un pubblico da quasi due anni. Nel mio ultimo concerto, alla Konzerthaus di Vienna, il dolore alla schiena era talmente forte che sull’applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello. Non sapevo ancora di essere malato, giorni dopo è arrivata la diagnosi: pesantissima».

 

 

«PERSO LAVORO, CAPELLI, CERTEZZE»

«Ho perso di colpo il mio lavoro, i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza e la voglia di immaginare – ha proseguito Allevi – che il dolore in quei momenti mi stesse porgendo doni inattesi». Essere felice, per esempio, suonando davanti a quindici persone, come accadeva agli inizi. «I numeri non contano: ognuno di noi è unico, irripetibile e a suo modo infinito». «Sono grato e riconoscente verso medici, infermieri e personale ospedaliero, per la ricerca scientifica senza la quale non sarei qui a parlarvi; il sostegno che ricevo dalla mia famiglia, la forza e l’esempio che ricevo dagli altri pazienti».

E per finire, l’ultimo dono. «Quando tutto crolla e resta in piedi solo l’essenziale, il giudizio che riceviamo dall’esterno non conta più. Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo”. Poi si toglie il cappello e lascia respirare la sua folta chioma riccia, ormai imbiancata. “Voglio accettare il nuovo Giovanni”».

«Per dare forza a tutti, suonerò, ma attenzione: ho due vertebre fratturate, tremore e formicolio alle dita; non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con tutta l’anima: eseguirò “Tomorrow”, domani, perché domani ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello». Grazie, è stata la tua opera più bella. Forza Giovanni!