Bakari, operatore di “Costruiamo Insieme”

«Per la prima volta ho avvertito la sensazione di gioia. Quando mi hanno chiesto di salire “a bordo” della cooperativa, ho capito di colpo cosa significassero libertà e serenità. Quattro anni lontano da casa, due anni di lavoro, Guinea, Libia e Italia, Taranto. Prima Gioia del Colle, poi il ritorno, il lavoro!»    

«Collaboro dall’aprile dello scorso anno con “Costruiamo Insieme”, mentirei se non dicessi che da allora è cambiata la mia vita: vedo tutto con occhi diversi, insomma sono sereno rispetto ai primi anni lontano da casa, tristi e pieni di nostalgia: perché se la mia vita è ricominciata nell’aprile 2017, la mia storia fatta di fughe, sempre da qualcosa, è cominciata nel 2014…».

Sorride Bakari, venticinque anni, gambiano, cinque fratelli rimasti a casa. Papà e mamma, purtroppo, non ci sono più. Capelli lunghi e ricci, dita lunghe e affusolate, le usa per sistemarsi il cartellino di cui va orgoglioso, quello con su scritto “operatore”. E’ un ragazzo solare, modalità che ha cominciato ad accarezzare, fino ad appropriarsene, a partire da quel giorno quando a “Costruiamo Insieme”, proprio come avevano fatto con lui militari italiani che gli avevano prestato soccorso, gli hanno dato il “Benvenuto a bordo!”. «“Bakari, sei uno di famiglia!”, ho gioito, ma per realizzare, rendermi conto che fosse tutto vero, ci ho messo un po’ di giorni, settimane: avevo un lavoro, da quel momento potevo cominciare a guardarmi intorno, provare a osservare il futuro con maggiore tranquillità, non avevo più la fretta di girare per città e paesi in cerca di un lavoro, anche saltuario: nel frattempo, qualche volta avevo sentito qualcuno lasciarsi sfuggire frasi non sempre ripetibili – mai risposto – nonostante le parole a volte facciano più male di un pugno sferrato allo stomaco».BAKARI articolo 1Bakari, è passata. Adesso è diverso, quel cartellino appeso a un laccetto è quasi un lasciapassare per la felicità, come ci spiegherà. Spegne per un attimo il sorriso, il discorso si fa serio, torna malinconico. «Lontano da casa – spiega – era già un tormento, come il girare a vuoto in cerca di futuro, ovunque andassi una volta fuggito dal Gambia, il lavoro non era per sempre: era per un giorno, una settimana. Nel 2014 sono arrivato in Guinea, dovevo darmi da fare, avevo messo a frutto un lavoro che a casa mia avevo soltanto visto eseguire: quello di falegname, così ho imparato presto a fare mobili, belli anche, ma non era un lavoro stabile, avevo la sensazione che quella storia finisse da un momento all’altro, tanto valeva darsi fretta e spezzarsi la schiena, tirare fuori soldi da quella attività e mettere insieme il denaro per pagarmi il viaggio per l’Italia…».

Passaggio obbligato, la Libia. «Un mese di attesa – ricorda – senza persecuzioni, senza che nessuno ci svuotasse le tasche o strappasse soldi dalle mani: con altri, interessati come me alla fuga dall’Africa, aspettavo pazientemente notizie per trovare un’imbarcazione per il viaggio; finalmente ci avvisarono e partimmo per l’avventura; non sapevamo dove quel lungo tratto di mare ci avrebbe condotti, chi poteva saperlo: potevamo trovare altre navi che ci avrebbero ricondotto al punto di partenza, scaricati chissà dove, usati come schiavi: un viaggio verso l’ignoto…».BAKARI articolo 2Imbarcati in novantatré. Novantaquattro con Bakari. «Un colpo di fortuna – racconta – era appena un giorno che viaggiavamo verso non sapevamo quale destinazione, quando incontrammo la nave giusta, una nave militare italiana che prestava soccorso nel Mediterraneo, che il Cielo l’assista: salimmo a bordo, altri tre giorni di mare, ma assistiti in tutto dall’equipaggio della nave».

L’arrivo a Taranto. «Sbarcammo direttamente in città: insieme ad altri fui assegnato al Centro di accoglienza di Gioia del Colle, stavo per compiere un primo passo verso un futuro meno complicato di quello che avevo conosciuto prima in Gambia, poi in giro per l’Africa, dalla Guinea alla Libia; parlo inglese, francese e italiano, mandinka, wolof, fula, tutte lingue del mio Paese, questo mi ha aiutato molto: infatti, hanno cominciato a chiamarmi come interprete, poi a conoscermi, fino a quando non sono arrivato a Taranto e a “Costruiamo Insieme”; è qui che mi hanno visto all’opera: non pensavo che la mia passione per le lingue potesse diventare un lavoro…».

Prima che incontrasse “Costruiamo Insieme”, Bakari aveva fatto altri lavori, non solo il falegname. «Lavoravo in campagna, facevo di tutto e non mi tiravo indietro davanti a niente. Piantavo e raccoglievo, caricavo e scaricavo il raccolto, ogni mattina sveglia alle cinque, in piedi e di corsa nei campi, chiunque a questo punto può immaginare quanto sia stato felice che la cooperativa che mi aveva prima accolto, mi stesse chiedendo di lavorare come operatore: ora che ricordo, quando mi è stato chiesto cosa provassi in quel preciso istante, ho usato per la prima volta una parola italiana: felicità; ecco, felicità: di colpo mi sono sentito bene, stavo assaporando in pieno il significato di libertà e serenità insieme, perché cosa sono serenità e libertà se non una grande felicità!».