Gianfranco D’Angelo, mattatore della commedia
«Siamo un popolo generoso, ma abbiamo bisogno di collaborazione, i politici amministrano “all’italiana”. Cinema e poi tv, da un successo all’altro. «Amo la libertà, non firmai un contratto decennale con Berlusconi. Il successo nelle sale: spensieratezza, pochi soldi e tanta gioia, generammo i “cinepanettoni”. Le tavole del palcoscenico e il contatto con il pubblico sono un elisir di lunga vita».
«L’Italia è un Paese generoso, personalmente sono per l’accoglienza, ma anche gli altri Stati devono intervenire, darci una mano a gestire un flusso così importante». Gianfranco D’Angelo, comico, protagonista di decine di film e trasmissioni televisive, dice la sua a proposito di extracomunitari e accoglienza. «I politici fanno il loro mestiere – riprende l’attore – privilegiano il cerchiobottismo, non vogliono scontentare nessuno, assumono decisioni “all’italiana”, ma se accoglienza deve essere fatta è bene farla in perfetta armonia».
E’ un D’Angelo motivato, in perfetta forma, non avverte i suoi ottantuno anni, è il palcoscenico a compiere il miracolo. Ospite con “Quattro donne e una canaglia” della rassegna teatrale dell’associazione culturale “Angela Casavola”, al teatro Orfeo di Taranto. Con lui, un cast “tuttestelle”: Barbara Bouchet, Corinne Clery e Marisa Laurito. «Il teatro è la mia seconda giovinezza – osserva il protagonista di decine di commedie all’italiana anni 70 e 80 – le tavole del palcoscenico sono uno straordinario ricostituente, anche se per fare questo lavoro occorrono due cose: passione ed entusiasmo; senza di queste puoi provare a fare quello che vuoi, ma difficile possa andare così lontano».
Protagonista di film fra “liceali” e “insegnanti”, un pretesto per raccontare storie leggere con sexy symbol dell’epoca, da Gloria Guida a Edwige Fenech, D’Angelo era il comico che polarizzava l’attenzione di un pubblico che non privilegiava le sole “curve”. «Ho qualche rimpianto per quei film, non erano opere d’arte, ma avevano di bello che attiravano un grande pubblico: la critica, che esercitava il suo mestiere, però, talvolta era ingenerosa; oggi, a distanza di trent’anni, la rivincita: le pellicole che funzionavano allora, funzionano ancora adesso, basti vedere gli ascolti in tv: domanda, vuoi vedere che non facevamo prodotti di seconda fascia?».
SPENSIERATEZZA ED ENTUSIASMO IL VALORE AGGIUNTO
L’arma vincente di quei film. «Spensieratezza, clima, entusiasmo che ci trasmettevamo vicendevolmente: l’affiatamento fra attori e registi era il valore aggiunto, si lavorava con pochi soldi, ma l’armonia era risolutiva; quei film non avevano i riconoscimenti che avrebbero meritato, ma va bene anche così, mi permetto di dire che gli italiani erano snob anche nei confronti di Totò…».
Totò, un grande. «Andavo a vedere tutti i suoi film, lo trovavo geniale, ma avevo una sorta di pudore nei confronti dei miei amici, non lo dicevo e quando se ne accorgevano mi dileggiavano quasi: filmetti di serie B, dicevano; il precedente illustre, Totò appunto, cancella di colpo qualsiasi rammarico».
Quando il cinema la richiedeva ancora, tanto da ritenerla uno dei “colonnelli” di quella lunga, stagione fortunata, insieme con Lino Banfi e Renzo Montagnani, lei lasciò. Ha ripiegato sulla tv, bella scommessa. «Amo mettermi in discussione, scommettere su cose nuove: molti si avvicinavano a quel cinema che in seguito avrebbe generato i “cinepanettoni”, bene, io lasciavo; non molti ricordano la prima edizione di “Striscia la notizia”, l’idea di Antonio Ricci, papà di “Drive in”, aebuttai con Ezio Greggio su Italia 1; venivo da “La sberla”, programma comico sulla Rai, diretto da Giancarlo Nicotra, che poi diresse la prima edizione di “Drive in”, lasciando successivamente a Beppe Recchia».
«RINGRAZIAI BERLUSCONI, RIFIUTAI UN CONTRATTO D’ORO»
Rifiutò anche un vagone di soldi. «Le cose andavano talmente bene – ricorda – che Silvio Berlusconi mi sottopose un contratto decennale: voleva diventassi uno dei volti delle sue tv; ma anche stavolta ringraziai, considerai che la libertà non avesse prezzo: dire oggi se ho fatto bene oppure male, magari me la sarei goduta con tutti quei soldi, non ha valore; di certo sto bene anche così, alla mia veneranda età che, francamente, non sento nemmeno un po’ addosso, mi diverto ancora tanto: il teatro mi fa sentire vivo, il contatto quotidiano con il pubblico è insostituibile; incontro gente che vedeva i miei film al cinema, giovani che mi hanno conosciuto con le repliche televisive: ecco, la tv ha questo di buono, se hai fatto cose divertenti e acchiappano ancora ascolti, non ti fa dimenticare, ti rivaluta.
Il rapporto con la Puglia. «Amo questa terra, cordiale, accogliente, calorosa: l’Italia è tutta bella, ma la Puglia ti prende per la sua bellezza e per la gola, tanto che quando passo da queste parti mi fermo per gustare la cucina pugliese che, credetemi, “nun se batte”; conosco a memoria strade, città e cittadine, dove per diverso tempo ho girato film: Taranto, Bari, Martina Franca, Alberobello, Trani…e chi si dimentica».
Nemmeno un po’ di nostalgia. «La vita va avanti – conclude Gianfranco D’Angelo – se il cielo mi darà forza, proseguirò ancora, per ora non penso neppure lontanamente di lasciare, il teatro ti rigenera un giorno dopo l’altro: tavole e polvere del palcoscenico sono l’elisir di lunga vita».