Ndoli, operatore di “Costruiamo Insieme”

«Grande opportunità di lavoro. Ho conosciuto il pericolo e molti fratelli, oggi lavoro anche per questi. Esistono piccole regole da rispettare e i ragazzi, in questo, mi seguono. Felice di spendermi per il prossimo, le mie preghiere sono state esaudite…». 

«Un mare in tempesta, onde alte dieci, venti metri, chi può dirlo, poi una nave militare italiana  che ci trae in salvo!». «Arrivare in Italia, essere accolto con grande rispetto e, infine, trovare lavoro con la cooperativa sociale “Costruiamo Insieme”!». Dall’incubo al sogno, Ndoli, ivoriano di trentaquattro anni, ex militare, racconta come è sfuggito a un conflitto civile in Costa d’Avorio per coronare il suo sogno, una vita da costruire con un lavoro da operatore, tutelato da un regolare contratto sottoscritto con “Costruiamo”.

«Sono impegnato da due anni con la cooperativa – racconta Ndoli – è un’attività che mi arricchisce umanamente, il timore era che non ce la facessi a passare dall’essere assistito ad assistere “fratelli” che, come me, avevano scampato qualsiasi barbarie nel loro Paese, ma anche nel passaggio attraverso altre nazioni, rischiando più di una volta la vita».

Non solo un lavoro, Ndoli si aiuta a gesti, cerca di trovare la parola giusta senza inciampare in malintesi. Quasi stesse elaborando con le mani un’opera in creta. Alla fine è soddisfatto della parola trovata. «Ecco, la mia la vedo come una missione – sorride, soddisfatto – uno spendermi per il prossimo, cercare di capire quali siano i problemi che possono avere ragazzi scappati lontano dal oro Paese: in me trovano non solo l’operatore, ma anche un amico, un fratello con il quale confidarsi, del resto il lavoro che faccio all’interno di “Costruiamo insieme” è quello di far sentire i ragazzi come se fossero a casa loro e trovare insieme gli elementi per far ritrovare loro la serenità».NDOLI ARTICOLO - 1Amare il prossimo, Ndoli. Si accende il sorriso. «E’ una delle frasi a cui faccio spesso ricorso – spiega – la tengo sempre stampata in mente, sono cattolico e credo in Dio: spendersi, a costo di rinunce e sacrifici, perché il Cielo te ne sarà grato, ti ricompenserà». Occhi lucidi. Sistema il suo cartellino con foto che scivola sulla sua maglietta. Lo stringe fra le mani, è una conquista, tante volte quella certezza gli sfuggisse. Torna indietro di qualche anno. In Italia da quattro anni, in fuga dal lontano 2011, attraverso Burkina, Niger e Libia, da dove salperà per l’Italia. «Ero militare, in Costa d’Avorio era in atto un conflitto civile, non volevo sparare addosso ai miei connazionali, ammazzarli senza motivo: lamentavano la mancanza di democrazia, libertà, il dono più grande che un essere umano possa avere, non me la sentivo di aprire il fuoco contro i miei fratelli, gente disarmata!».

E’ il marzo del 2014, altro episodio in cui Ndoli viene soccorso dalla fede. «Centotrenta su un gommone, imbarcati alle cinque del mattino, navigavamo a vista, non era facile orientarsi, io avevo una certa dimestichezza con la bussola, ma in mare aperto puoi avere tutte le bussole che vuoi, ma la paura resta comunque tanta: onde alte dieci, venti metri, impauriti, quasi aspettassimo da un momento all’altro il nostro destino: in balia di un mare aperto che faceva paura, in attesa di un’onda più grande che ci avrebbe travolti: ricordo le urla, la disperazione della gente, tutti appesi a un filo di speranza; loro urlavano, io braccia e mani rivolte al cielo, pregavo, pregavo, pregavo: mi davano forza le preghiere, mi ero consegnato nelle mani del Signore, qualsiasi cosa avesse deciso Lui per me, sarebbe stata la cosa giusta».ufogxt9GRbKq6YusS9ezhA_thumb_53-1024x576Ecco un segno del destino. «Onde impazzite, scorgiamo in lontananza non una, ma tre enormi luci, staccate fra loro: non una, ma tre navi, ci avevano avvistati; ogni volta che le onde si alzavano, alte, davanti ai nostri occhi perdevamo di vista le navi: avevamo paura non ci vedessero, non ci soccorressero, invece ci avevano già visti e ci stavano venendo incontro, restava solo capire quale fosse la nave amica, quando con una scialuppa si avvicinarono i militari italiani; non ci avevano affiancati con la nave enorme, avevano già messo in mare una, due scialuppe per trarci in salvo: avevo gli occhi pieni di acqua di mare e lacrime di gioia, eravamo salvi. Di quei momenti ricordo urla, spinte, paura, la gente temeva di restare ancora su quel gommone in balia di una mare sempre più pericoloso: io aiutavo gli altri e pregavo, anche a voce alta, li tenevo fra le braccia, li sostenevo, spingevo sulle scialuppe di salvataggio; fui l’ultimo a salire a bordo, il Signore aveva voluto questo da me: aiutare il prossimo a costo della vita».

Ndoli e la sua attività con “Costruiamo insieme”. «Una grande avventura umana, grande esperienza e conoscenza: non sono arrivato subito qui, a “Costruiamo Insieme”: sono stato ospite di altre strutture, nessun controllo, stanze sporche… Qui è un’altra storia: ogni giorno controlliamo il numero degli ospiti, facciamo l’appello, pranza, ognuno di loro firma in quanto sotto la nostra responsabilità; esistono regole, piccole, ma che i ragazzi devono rispettare: in camera non si ospita altra gente, non si fuma, non si cucina. Tutelo i ragazzi e il mio posto di lavoro; anche far rispettare le regole è un atto d’amore, far comprendere che la libertà è un dono prezioso e puoi coltivarlo solo con rispetto e amore verso il prossimo».