Dodici anni, la favola parte da Mottola, provincia di Taranto
«È stato un bellissimo esempio di sportività con tanti ragazzi di Paesi diversi». «Prima deve diventare “numero uno” fra i banchi di scuola». Il ragazzo sorride, è la prima lezione che ha imparato nella sua spedizione in terra di Spagna. Insieme con otto suoi giovani connazionali e giovani promesse arrivate da Germania, Francia e Belgio. Il provino, le parate, la visita al Bernabeu e al Museo fra trofei e Coppe dei Campioni
Dalla Polisportiva Mottola al Real Madrid, la favola di Emanuele Agrusti. Dodici anni, studente alle medie della “Manzoni”, il ragazzo di bello non ha solo una presa da fare invidia a “colleghi” più grandi di età che hanno scelto il non semplice ruolo di portiere, in assoluto il più complicato nel calcio, non solo moderno. Ci sta, infatti, che un attaccante sbagli uno, due gol in una partita di calcio: di solito, a fine gara, viene consolato dai compagni, dal tecnico, con un a pacca su una spalla e con il solito incoraggiamento: «Vedrai, ti rifarai alla prossima!»; diverso è l’errore del portiere, che talvolta sconfina in quella che, in gergo, si chiama “papera”, cioè uno strafalcione da copertina. In breve, l’attaccante può sbagliare, il portiere no. O comunque, il “numero uno” deve sbagliare il meno possibile.
Emanuele, enfant-prodige del nostro calcio, dicevamo, non ha di bello solo la presa ferrea, lo scatto di reni, il senso della posizione sui calci d’angolo o sui calci di punizione degli avversari, come hanno confermato gli osservatori del “Real” che lo hanno invitato, insieme con altre decine di coetanei (cinquanta in tutto) nel leggendario “Bernabeu” di Madrid: Emanuele, ha il sorriso. «E’ da questi particolari che si giudica un giocatore» in erba, come scrisse e cantò il poeta De Gregori (La leva calcistica). E’ da qui che Emanuele comincia: dal sorriso, dal primo sogno che ha accarezzato.

PICCOLO GRANDE TALENTO
C’è un bell’articolo di Andrea Carbotti sulla Gazzetta del Mezzogiorno, quotidiano diretto da Mimmo Mazza. Bravo, Carbotti, nello scovare la notizia, ma anche nello scrivere, come è giusto che sia, di un ragazzo di appena dodici anni, di una invidiabile esperienza, senza però enfatizzare, caricare di troppe responsabilità un giovanotto di belle speranze. Ovvio che tifiamo per Emanuele e gli auguriamo tutto il bene possibile. Ci avrà già pensato papà Francesco, anche lui un “portierino” mica male, che ha trasferito al figliolo la bellezza di questo ruolo, ma anche il tenere i piedi ben piantati al suolo, per non rischiare cadute dolorose. Nel giardino di casa o ai giardini della cittadina in provincia di Taranto, Francesco avrà allenato il proprio “allievo” a parare; gli avrà regalato il primo paio di guanti, i pantaloncini con tanto di imbottitura, la prima tuta con la quale Emanuele si sarà allenato con i colori della Polisportiva Mottola.
Francesco avrà spiegato ad Emanuele quanto sia importante lo studio, la cultura e, dunque, andare a scuola; magari non farsi frullare la testolina da personaggi, sensali che gravitano intorno al mondo del calcio e promettono provini prima, contratti poi, con le società italiane più prestigiose. Emanuele, lo studio prima di ogni cosa.

CAMISETA BLANCA, FASCINO “MUY GRANDE”
Emanuele, la “camiseta blanca” – come scrive Carbotti – non ha fatto in tempo a sognarla che l’ha già indossata, per prendere parte a uno stage formativo a Valdebebas, la città sportiva del Real; la sua squadra, la Polisportiva, aveva organizzato nella scorsa estate un camping con la “Fundación Real Madrid Clinics”, che a sua volta ha poi invitato Agrusti alla finale nazionale giocata a Roma. Il giovanissimo portiere ha mostrato le sue qualità anche nella capitale, producendosi in parate spettacolari, tanto che i tecnici dei blancos lo hanno voluto, unico pugliese, assieme ad altri otto promesse italiane per la finalissima in terra spagnola dal 9 all’11 febbraio scorso.
A Valdebebas, quartier generale del Real Madrid, insieme con Emanuele c’erano giovani calciatori da ogni angolo d’Europa: Germania, Francia, Belgio e via discorrendo. «Gran bella esperienza, una grande lezione di sportività ed organizzazione», ha detto Francesco, il papà del nostro piccolo-grande “numero uno”. Emanuele Agrusti era il solo portiere assieme a un compagno tedesco di qualche anno più grande. A fine premiazione ha visitato il museo del Real Madrid nel leggendario stadio Bernabéu, con le decine e decine di trofei vinti dai blancos: campionati, coppe, da quelle del Re a quelle Champion’s.
Il primo sogno di Emanuele è stato tirato fuori dal cassetto. Adesso c’è la scuola, i professori, i compagni a cui ha raccontato di questa sua bella esperienza, i numeri telefonici scambiati con i suoi giovani colleghi conosciuti nello stage “blanco”. Fra questi, potrebbe esserci un futuro campioncino. Magari lo stesso Emanuele, a cui gli insegnanti, e il papà per primo, ricorderanno che per essere una stella del calcio, occorre cominciare ad essere un “numero uno” fra i banchi di scuola.