«Voglio fare tutti i passi necessari nel mondo del lavoro. Faticare per imparare, poi un domani se sarò stato bravo…». Maliano, diciotto anni, “fruttivendolo” col pallino del marketing, spende le mattinate anche a proporsi ai titolari di ristoranti per partire dai lavori più umili.

«Non mi dispiacerebbe tornare a casa, anche se in un momento di gravi conflitti civili nel mio Paese, il Mali, non sarebbe facile riprendere le abitudini di qualche tempo fa». Dramane, diciotto anni, ospite di un Centro di accoglienza di “Costruiamo insieme”, è combattuto fra il ritorno a casa, fra amici e familiari, pochi a dire il vero, oppure il continuare a sperare in un colpo di fortuna in un Paese che sia l’Italia o altro stato europeo. «Qui, a Taranto – dice Dramane – sto bene, mi muovo, cerco di entrare nel mondo del lavoro: non è semplice, in Italia c’è crisi occupazionale».

E, allora, il ragazzo arrivato dal Mali, non si dà per vinto. Da un anno e tre mesi in Italia, parla francese, lingua ufficiale nel suo Paese, ma già si esprime in un discreto italiano, non ha bisogno della costante presenza di un operatore della cooperativa che faccia da interprete. «Da noi, come qui, la saggezza popolare dice che le cose bisogna cercarsele, desiderarle con tutta la forza». Insomma, “volere è potere”, come dargli torto. «Faccio il fruttivendolo, diciamo: sposto casse, qualche volta espongo la frutta; sto imparando il sistema del commercio: frutta e ortaggi che si vendono di più vanno esposti a vista, la roba buona e bella a vedersi, va messa in bella mostra…».Fa anche marketing, Dramane. «Sono gli occhi i primi ad orientare la scelta, così il mio datore di “lavoro saltuario”, mi dà suggerimenti, cose – mi ripete – che potranno tornarmi utili in qualsiasi altra attività».

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A proposito di altra attività, Dramane conferma: non si ferma al primo ostacolo. «Quando non mi occupo di casse di frutta, le mattinate le trascorro andando in giro per ristoranti parlando con proprietari e personale: mi propongo, do la massima disponibilità, ad occuparmi della pulizia del locale, a lavare piatti e posate, smantellare tovaglie e tovaglioli da consegnare alle lavanderie; cose così, più avanti mi piacerebbe stabilire un rapporto più importante, stare in cucina a seguire lo chef, il cuoco che prepara antipasti, primi e secondi piatti; ma forse è un sogno, per ora anche un ristorante nel quale mi chiedono solo due, tre ore di collaborazione va bene, l’importante è mostrare la mia buona volontà».

Qualcuno gli ha fatto notare che il suo continuo candidarsi a questo piuttosto che a quel titolare, toglierebbe posti di lavoro a una piazza già in sofferenza. «Sto alle parole di quello che mi dicono i titolari delle attività di ristorazione, tarantini anche loro: non trovano ragazzi disposti a sparecchiare tavoli, mettere cose a posto, raccogliere e gettare la spazzatura; mi dicono che tutti vogliono fare gli aiuto-chef, imparare un lavoro che in futuro possa essere più utile di quello di un normale collaboratore con paletta e scopa; parlano di moda, tutti vogliono diventare star del fornello, partecipare in tv ai reality: io chiedo solo di essere impegnato, come meglio credono, in qualsiasi lavoro occorre cominciare dalle basi, poi ho ancora diciotto anni, mettere calli alle mani non mi spaventa, anzi, è quello che consiglia mio padre che sento ogni tanto, Seidou».

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La fuga dal Mali. «Anche a causa del rapporto con i familiari, non era più quello di una volta – spiega Dramane – i conflitti all’interno del mio Paese hanno lacerato anche affetto e rispetto fra famiglie, come se fosse una corsa al “si salvi chi può” – anche questa, diciamo, perla di saggezza simile alle nostre – nella quale a farne le spese come sempre sono i più deboli, chi non vuole farsi guerra, arrivare ad uccidere il prossimo, che può essere anche un parente». Così papà Seidou consiglia al figlio di andare via, scappare se necessario. «Sono arrivato in Libia, volevo rimanere lì, c’è lavoro, si guadagna il giusto, se non fosse che i miliziani, proprio perché sei nero, dunque riconoscibile dal colore della pelle, ti fermano e ti fanno vuotare le tasche; così un giorno, prima che rovesciassero ancora le tasche di quel poco denaro che avevo, ho pensato di andare via da quel Paese e pagarmi il viaggio per l’Italia».

Una volta su un gommone, sul quale erano stipati a decine, Dramane si imbarca per l’Italia. «Un viaggio della speranza – confessa – nel quale stare meglio dal punto di vista umano: la gente, qui, ha grande rispetto, non ti maltratta, non ti urla dietro qualsiasi offesa, per questo ho grande riconoscenza per l’Italia».

In mare, ha assistito a più di un dramma. «Ho visto cinque, sei cadaveri in mare – conclude Dramane – ero combattuto fra due sentimenti, forti entrambi: il dolore di quella gente che come me cercava un principio di libertà cui aggrapparsi, e la preghiera, affinché il cielo mi aiutasse ad arrivare sano e salvo su una costa sempre lontana, troppo: pregavo che il mare restasse calmo e, invece, quando meno te lo spettavi, si agitava e i minuti, le ore, passavano con una lentezza sconcertante; infine, l’Italia, la costa, la libertà, finalmente un po’ di serenità e tanta umanità».