Duvan Zapata, stella dell’Atalanta, fermato all’ingresso di una banca

Due vigilanti ingannati dall’abbigliamento sportivo del calciatore. Poi le scuse, dell’istituto bancario e di quello della vigilanza. Succede, anche se l’episodio spiega come ci siano ancora ancora pregiudizi su chi ha la pelle nera. Quasi rappresentasse sempre una minaccia

696x522_ingresso_banca_02«Dove pensa di andare? Questo non è un posto per lei, vada da un’altra parte». Potrebbero aver potuto pronunciare una frase simili i due agenti all’ingresso di una banca bergamasca all’indirizzo del giocatore Duvan Zapata, attaccante dell’Atalanta. Lo scrive Donatella Tiraboschi, giornalista del Corriere della sera in un articolo pubblicato nella cronaca di Bergamo. La giornalista scrive di un’esclamazione “più o meno simile” a quella con cui abbiamo dato il “la” all’articolo. Bisogna vedere quanto fosse “più” o “meno” simile. Espressione, tono, postura degli agenti. Se questi, in un eccesso di potere non abbiano anche trattenuto o allontanato con spintoni il malcapitato calciatore. Se così fosse, i due all’ingresso della banca dovrebbero essere segnalati dall’istituto di credito alla società di vigilanza per una diffida.

Se, però, i due vigilanti, all’ingresso della banca, avessero solo fermato Zapata, chiedendogli con educazione i documenti, avrebbero fatto solo il loro dovere. Nonostante si viva immersi nei social e si sia un po’ tutti ostaggio di messaggi (e di fake), non è detto che tutti possano riconoscere un calciatore. Un agente non è tenuto a riconoscere chiunque, ad andare allo stadio, a vedere le trasmissioni sportive. Da qui, la prudenza nel dare giudizi sul lavoro.

«SUCCEDE, DAI…»

Magari lo stesso Duvan, ragazzo generoso e sempre disponibile, avrà commentato l’accaduto con un sorriso e con una frase, del tipo, adesso lo diciamo anche noi, «Può succedere, a ognuno il suo mestiere…».

L’accaduto, però, lo spiega Donatella Tiraboschi, sul “Corriere”. Piazza Matteotti, Bergamo, sede Fideuram. E’ lì che il bomber colombiano, scrive la giornalista, è incappato in un piccolo incidente diplomatico. Abbigliato in modo sportivo, con una tuta ed una felpa con cappuccio, Zapata aveva cercato di entrare in banca come un normale cliente. All’ingresso della banca, due vigilanti lo avrebbero fermato. Nero, abbigliamento sportivo, felpa con cappuccio, il calciatore sembrava uno “normale”, ammesso che le star del pallone facciano di tutto per essere qualcosa di diverso rispetto alla gente comune.

«Dove pensa di andare? Questo non è un posto per lei, vada da un’altra parte», questo sarebbe stato più o meno il senso delle parole che gli sarebbero state rivolte – scrive il Corsera – mentre il giocatore rivendicava la sua identità: «Sono Zapata, sono Zapata, fatemi entrare». Zapata, chi? In sostanza, tutto deve essere sembrato alla security, fuorché un personaggio famoso oltre che, un cliente della banca.

guardia-giurata«DUVAN, NOSTRO CLIENTE!»

«Zapata è un nostro cliente — conferma un responsabile della filiale bergamasca di Fideuram, sentito dalla brava cronista — ma banca e security sono due cose diverse. Quest’ultima garantisce un servizio di vigilanza in pianta stabile, sia mattina che pomeriggio, in un interspazio tra l’ingresso e la strada. Quanto alla nostra operatività, generalmente, ogni cliente ha un suo personale consulente finanziario con cui si interfaccia previo appuntamento».

Dopo il contrattempo, il chiarimento. Zapata è stato assistito da un operatore, la banca nel bene e nel male ha avuto la sua visibilità, i due vigilanti – immaginiamo – una reprimenda (ammesso che siano stati bruschi nei modi, altrimenti resettiamo lo spiacevole fraintendimento). Se proprio dobbiamo fare una considerazione, non sull’articolo, tantomeno sulla professionalità di banca e vigilanti, diciamo che la cosa che ci colpisce è lo stereotipo che ci siamo fatti dei neri. Quel colore della pelle sembra una minaccia. Insomma, un nero viene visto come qualcuno che rappresenta un pericolo e questo non ci sta bene. Bisogna fare attenzione, lavorare sulla nostra testa, fare il possibile che certi meccanismi, certe similitudini non funzionino più automaticamente. Più semplice scriverlo che attuarlo. E, allora, cominciamo dall’educazione, dal rispetto. Ci vuole tempo, lo sappiamo, ma la buona educazione ci invita ad usare toni e modi misurati. Dobbiamo comportarci come vorremmo che gli altri si comportassero con noi. Ci vorrà qualche anno, ma l’importante è cominciare questo processo di avvicinamento. Episodi come quello accaduto al calciatore dell’Atalanta devono insegnarci che c’è ancora un po’ di strada da compiere. E questo già lo sapevamo.