Donne al fronte

L’elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti e le sue simpatie per due Capi di Stato come Putin ed Erdogan non può non concentrare il pensiero su quello che potrà essere il destino delle donne combattenti curde dell’Ypj impegnate sul fronte per liberare non solo un territorio ed una città simbolo come Raqqa, eletta a capitale del Califfato, ma e soprattutto le migliaia di donne rimaste prigioniere del fondamentalismo jihadista dell’ISIS.
Fino a ieri lo schieramento curdo-siriano contava sull’appoggio militare statunitense deciso da Obama contro il grande disappunto di Erdogan e Putin. Con l’elezione di Trump il rischio vero è che questa coalizione formata da ribelli siriani e miliziane curde venga abbandonata a se stessa in quella che tutti considerano la battaglia definitiva contro l’ISIS. Questo isolamento, con la conseguente delegittimazione, farebbe piacere a tutti per motivi diversi. Ai miliziani del Califfato che considerano la maggiore delle onte essere uccisi da una donna. Al Governo dittatoriale turco impegnato a scongiurare il rischio di un possibile ruolo di primo piano curdo su quell’area geo politica.
Intanto, l’operazione “Ira dell’Eufrate” per la liberazione di Raqqa è partita e non a caso a darne la comunicazione ufficiale è stata una donna, Cihan Seikh Ahmed, comandante delle truppe dell’Ypj che, con grande fermezza ha dichiarato “Libereremo tutte le donne di Raqqa e le vendicheremo”.
Nell’esercito curdo le donne hanno pari diritti e pari doveri degli uomini. Dall’altra parte del fronte, quella dell’ISIS, le donne, nel migliore dei casi, sono ridotte a spie o impegnate a controllare e seviziare altre donne ridotte in schiavitù e costrette alla completa sottomissione.
Nel frattempo, dall’Europa la voce autorevole di un’altra donna vibra per denunciare una situazione che è palesemente nota a tutti. E’ la voce di Emma Bonino, ex Ministra degli Esteri italiana, che denuncia: “I segnali della svolta autoritaria in Turchia si accumulano da anni, ma certamente l’ultima escalation, con l’arresto dei leader del principale partito curdo, suggerisce che Erdogan taglia i ponti con l’Europa e l’Occidente. Preso da due guerre, una interna e l’altra esterna ma entrambe collegate alla questione curda, egli sceglie una strada in fondo alla quale c’è un regime dittatoriale. La situazione è preoccupante anche perché la Turchia è membro della NATO e ospita testate nucleari, mentre l’Europa ha perso ogni leva di pressione dal momento in cui si è deciso, sbagliando, che la nostra priorità nei confronti di Ankara era che si tenessero rifugiati e migranti e tutto il resto è diventato secondario”.
Intanto, le strade di New York sono invase da donne che nutrono serie preoccupazioni sul loro futuro. Zina, una ragazza di soli 23 anni, sembra sintetizzare lo stato d’animo diffuso: “sono nera, mussulmana, immigrata. Rappresento tutto quello che Trump odia”.