Economia italiana in crisi, il Prodotto interno lordo rischia flessioni dolorose

Rischiamo un conto salato. L’epidemia starebbe provocando perdite tra i nove e ventisette miliardi di euro. E siamo solo all’inizio. Danno di immagine molto pesante. Settori produttivi allo stremo delle forze. Invocate misure più snelle di accesso al credito. Invito alla Pubblica amministrazione perché saldi i debiti contratti con i propri fornitori.

Che non ci fosse da stare tanto allegri con il coronavirus che dilaga a vista d’occhio in molti Paesi europei e, in particolare in Italia, era previsto. Idem per ciò che attiene la Sicurezza sanitaria, con un comparto che non sempre brilla per competitività. Anzi, negli ultimi anni sono stati cancellati migliaia e migliaia di posti-letto: la Sanità italiana, si diceva, non godeva di buona salute.

Ciò detto, con il diffondersi di un virus che, dicono gli studiosi, è molto meno dannoso di una normale influenza (e qui cominciano i primi dubbi…), la Sanità non ha gli strumenti per combattere energicamente una crisi simile. A tutto questo vanno aggiunte misure precauzionali per evitare che si ammalino di botto venti milioni di italiani, dunque primo obiettivo è spalmare l’emergenza. Dilatare i tempi di contagio e, dunque, consentire al Ministero della Sanità di trovare contromisure.

Ma, non previsto (o previsto, chi può dirlo), sfugge il controllo della comunicazione e così scoppia il panico e l’Italia, principale attrattore del turismo internazionale, perde colpi ed entra in crisi nelle strutture di ricezione e quanto legato all’intero comparto (alberghi, musei, stabilimenti balneari, stazioni sciistiche e via di questo passo). In Europa, dove non aspettano altro, cominciano con il suggerire ai propri connazionali che andare di questi tempi (ma anche nell’immediato futuro) non sia più cosa buona e giusta. Ed ecco servita la crisi economica.

E’ così che l’economia italiana rischia di dover pagare un prezzo salato. Secondo valutazioni degli esperti, l’epidemia del coronavirus e, si diceva, in special modo le misure adottate per contenerla stanno provocando un pil di “segno meno” compreso tra i nove e ventisette miliardi di euro (un’oscillazione che tiene conto l’entità di perdite e guadagni nei diversi settori).

La stima svolta da esperti della ricerca, considera l’impatto diretto della diffusione del virus nelle regioni italiane, con effetti immediati e di più lunga durata, a seconda del settore considerato. Lombardia e Veneto, per esempio, le due regioni dove per primi sono stati registrati i primi casi, per il nostro Paese rappresentano qualcosa come il 31% del Prodotto interno lordo (Pil) italiano. Se la matematica non è un’opinione, sempre secondo gli studiosi, rischiamo di andare incontro a una contrazione del 10% del Pil in sole queste due regioni significa una diminuzione del 3% di quello dell’intero Paese. La flessione per l’intera economia stimata, pertanto, va da un -1% a un -3%. Variazioni cumulate nel primo e nel secondo trimestre 2020. La scoperta dei primi casi, infatti, insieme con le misure di contenimento e la diffusione della paura tra la popolazione, sono avvenuti nell’ultima decade di febbraio e, quindi, incideranno solo su una parte del primo trimestre, mentre sostanzieranno i loro effetti nel secondo.

La stima si basa su una valutazione degli effetti sui singoli settori, raggruppati in quattro categorie in base al range di probabile variazione del rispettivo valore aggiunto e poi calcolando il peso di tali categorie sul Pil totale. Il primo gruppo comprende quei settori che vedono aumentare tra il 2% e il 6% la loro attività in conseguenza dell’epidemia virale (farmaceutica, cura della casa, servizi connessi allo smart working e alle video conferenze); il suo peso è dell’8,5%. Secondo gruppo, di gran lunga il più importante, vale il 54,6% dell’intera economia e non patisce sostanziali variazioni di attività a causa del virus. Il terzo gruppo incide per il 25,1% e patisce una contrazione produttiva limitata (al più del 4%. Infine, l’insieme dei settori che stanno subendo contraccolpi molto forti (tra -10% e -40%) ma che hanno un peso contenuto (11,7%; dalla filiera del turismo, a tutte le attività legate a centri di aggregazione).

Fra i tanti, lancia l’allarme anche la Cgia, la Confederazione generale italiana degli artigiani. Se l’emergenza coronavirus dovesse diffondersi a dismisura in tutte le regioni del Nord – sostiene – e durasse qualche mese, come ipotizzato da molti esperti di virologia, il rischio che una buona parte dell’economia nazionale si fermi è più di una ipotesi. Dall’Ufficio studi della Cgia segnalano, inoltre, che in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Liguria viene generata la metà del Pil nazionale e del gettito fiscale che finisce nelle casse dell’erario. Qui vi lavorano oltre 9 milioni di addetti occupati nelle imprese private (pari al 53 per cento del totale nazionale); da questi territori partono per l’estero i 2/3 delle esportazioni italiane e si concentra il 53% degli investimenti fissi lordi.

Oltre alle misure urgenti che interessano le attività e i contribuenti che rientrano nei comuni ubicati nella cosiddetta zona rossa, è necessario che l’esecutivo metta a punto una misura strutturale che interessi tutta l’economia e, quindi, rifinanziare in particolare Cigo e Cigs, ridare credito alle Piccole e medie imprese e fare in modo che la Pubblica amministrazione paghi i suoi debiti.

Il danno di immagine provocato al nostro Paese dal coronavirus è pesante. Molti settori produttivi sono già allo stremo delle forze. Anche per questo viene chiesto a più voci al governo di approvare subito un intervento a medio-lungo termine che preveda il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e l’estensione degli stessi ai settori che oggi ne sono sprovvisti. Ciò detto, andrebbero rafforzate le misure di accesso al credito delle Piccole e medie imprese, facendo in modo che la Pubblica amministrazione saldi i debiti contratti con i propri fornitori.