Roby Facchinetti, in esclusiva, parla dalla sua Bergamo

La città lombarda la più colpita dal Covid-19. Rinuncia al collegamento con “Domenica in”, rilascia una intervista alla web radio di “Costruiamo Insieme”. «Barricati in casa, finestre chiuse. L’Eco di Bergamo, dodici pagine di necrologi! Ogni famiglia colpita da questo nemico invisibile. Ai tarantini: non uscite, ascoltate musica, usate internet»

«L’Eco di Bergamo, il quotidiano della nostra città, è un bollettino di guerra: da una media di una pagina al giorno dedicata ai necrologi, siamo passati di colpo a dodici!». Roby Facchinetti, interprete, autore e leader dei Pooh, la formazione musicale italiana più amata, ha rinunciato al collegamento da casa sua con Mara Venier e “Domenica in” su Raiuno. «Non me la sento, la mia città è moribonda, sta soffrendo decine di lutti al giorno, la gente non può avvicinarsi ai suoi cari per l’ultimo saluto: un disastro dopo l’altro». Il popolare artista accetta di parlare con la web-radio (passaggio e replica in queste ore) e con il sito di “Costruiamo Insieme”. Dalle sue parole si evince il dolore, Facchinetti dà la dimensione della sciagura abbattutasi sulla sua città, dove abita insieme con moglie e figli. Bergamo, punta avanzata di una regione, la Lombardia, martoriata dal Covid-19, tristemente noto come coronavirus.

Facchinetti e giorni tristissimi, scanditi da un virus che nella sua città semina terrore e morte.

«A Bergamo, la città più colpita da questo disastro, viviamo barricati in casa: abbiamo paura, ne ho tanta per i miei cari, moglie, figli, nipoti; per gli amici, i miei concittadini: magari hai parlato un paio di ore prima con uno di loro che ti ha rassicurato, ha detto che va tutto bene e, invece, ti richiama per dirti che il virus s’è portato via un amico, un parente…».

La sua Bergamo, non un grande comune. Le centinaia di morti da coronavirus danno una percezione ancora maggiore della sciagura.

«Una ragione che ci fa soffrire di più, ci conosciamo tutti e se la gente non la conosci direttamente, poco ci manca, sono persone che hai incontrato, sono vicini di casa con cui ti sei incrociato decine e decine di volte: il virus ha colpito gran parte delle famiglie; questo nemico invisibile fa paura, non apriamo nemmeno le finestre, tanto temiamo il contagio. La spesa la facciamo raggiungendo telefonicamente esercizi commerciali e personale; insieme con il personale medico dedito all’assistenza dei malati H24, sono loro i nostri eroi: lasciano l’ordine davanti al cancelletto riducendo al massimo il nostro contatto con l’esterno e con il rischio».

Chiusi in casa, in teoria ci sarebbe più tempo da dedicare ad altro.

«Mi rifugio nella musica, ma non è così semplice, mi sento perseguitato dallo stesso pensiero: un tarlo nella testa che non mi abbandona un solo attimo; difficile dedicarmi alla scrittura, a una lettura, manca la concentrazione…».

Le sue mattinate.

«Non dormo più di due, tre ore di fila; l’angoscia, la paura mi tengono sveglio, la serenità è ormai qualcosa di astratto. La mattina accendo il pc e vado su internet, passo in rassegna quei siti dei quali mi fido e che mi offrono l’esatta dimensione di quanto sta vivendo il mio Paese: purtroppo, da giorni, niente di nuovo, dunque niente di buono; passo, poi, alla tv, guardo i notiziari, il primo, il secondo e vado avanti così; infine tocca ai talk-show, quei programmi di aggiornamento con giornalisti e medici in collegamento; è un continuo susseguirsi di notizie, alla ricerca di una misera colonna su un giornale che ci dia speranza, che un virologo stia lavorando per debellare questo male!».

Nessuna contromisura, se non la quarantena.

«Invece di due settimane, per starcene sicuri, occorrerà restarsene in quarantena almeno tre settimane; magari servisse tutto questo nell’adottare contromisure in un momento in cui abbiamo netta la sensazione di vivere qualcosa di epocale».

Taranto è vicina alla sua città, martoriata dal coronavirus.

«E io, virtualmente, sono molto vicino a Taranto, città alla quale sono legato da grandissimi ricordi e non solo quando i Pooh hanno cominciato ad avere successo: eravamo un complesso musicale pressoché sconosciuto, appena entrato in classifica con “Piccola Katy”, e già avvertivamo l’affetto dei tarantini; poi i concerti all’Alfieri, al Mazzola e allo Iacovone, i ventimila spettatori sono arrivati quando le hit parade erano diventate casa nostra».

Questo disastro ha virtualmente riavvicinato fra loro gli italiani.

«Abbiamo fatto squadra. Come spesso accade la paura ricompatta i sentimenti, fra le mura di casa si riflette, si torna a parlare, a rivedere le priorità, spesso indirizzate più al benessere che non alla salute; dopo questo scossone penso che gli italiani presteranno più attenzione al valore della vita, al prossimo: questo momento difficilmente passerà in cavalleria; non era mai successo che il Paese si fermasse di colpo e si svuotassero strade, chiudessero attività, indossassimo tutti le mascherine, dentro e fuori casa: no, questa è una mazzata epocale».

A proposito di squadra, Facchinetti tifoso e autore dell’inno dell’Atalanta. Sul più bello, lo stop campionato e Champion’s. Questa stagione, unica per i successi della Dea (così denominata la squadra nerazzurra), sarà per sempre ricordata con un po’ di malinconia.

«Stop sacrosanto al campionato e alla Campion’s, la Dea stava disputando la più grande stagione della sua storia collezionando un’emozione dopo l’altra. Abbiamo fatto in tempo a gioire della vittoria esterna con il Valencia, a porte chiuse: giocare senza pubblico equivale a un allenamento e anche quello era un primo segnale, il calcio si stava fermando e noi lo avevamo perfettamente compreso e condiviso. Secondo qualcuno, proprio assistere nei bar, nei locali chiusi, festeggiare l’impresa sportiva, avrebbe accelerato il contagio fra gli anziani. Fosse così sarebbe un’altra sciagura, tanto che diventa anche superfluo parlare di calcio».

Detto dei concerti tarantini, una volta debellato il virus, potrebbe esserci un mega-evento, con i Pooh e altri artisti?

«Non escluderei nulla, ma con il coronavirus sull’uscio di casa, preferisco concentrarmi su altro: la musica mi aiuta molto, ne ascolto tanta, ma scriverla non solo è più complicato, ma stare concentrati è pressoché impossibile; il pensiero corre al prossimo tg, quello della speranza: ecco, sogno l’apertura di un notiziario che dica che l’incubo è finito, è stato trovato l’antivirus e gli italiani, poco per volta, possono tornare a riappropriarsi della propria vita».

Il cronista immagina la risposta, ma deve provarci. Una reunion con i Pooh, magari in questi giorni, fra i mille pensieri è balenata anche l’idea del “passata la bufera, perché no?”.

«Sono concentrato sul momento che sta attraversando la mia città e l’intero Paese; ai tarantini dico “restate in casa”, all’amico cronista “portiamo a casa la pelle”, poi ne riparliamo!».