Rispetto al resto d’Italia, la Puglia registra il numero maggiore di casi.
Le mutazioni del genoma generano nuovi contagi. Il ceppo è finlandese, ma anche la Gran Bretagna ha sottovalutato la pandemia. Non abbassiamo la guardia, le vaccinazioni funzionano, difendono, ma non perdiamo la sana abitudine di usare mascherine (e disinfettante) nelle zone affollate.
Coronavirus, attenzione non è finita. Specie per chi vive in Puglia. C’è la “Variante Delta” (in arrivo dall’India) da cui stare alla lontana per evitare, con quei sistemi che purtroppo abbiamo dovuto imparare a nostre spese, per evitare un secondo e lungo lockdown che sarebbe una vera sciagura. Ad un secondo periodo di tempo, così lungo e con gran parte delle attività chiuse e i riflessi di un’economia a pezzi cadrebbero sul commercio e le aziende. Non vogliamo fare allarmismi, ma riteniamo sia importante, fare molta attenzione e trattare questa “variante delta” con le pinze.
Dunque, secondo uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità, la regione nella quale la suddetta “variante” sta circolando e compiendo più danni è la nostra Puglia. Dallo Sperone al Tacco, vale a dire dal Gargano al Salento. Il virus starebbe colpendo esattamente un terzo degli interessati dai nuovi contagi. Sono dati che potrebbero testimoniare l’elevata diffusione del ceppo finlandese. Si parla di un 35%, anche se queste percentuali non sono ancora affidabili sul piano statistico, in quanto farebbero riferimento a focolai localizzati.
Detto della Puglia (35%), per quanto riguarda le altre regioni, la maggior parte delle segnalazioni che corrispondono alla “Variante Delta” arrivano dal Trentino-Alto Adige (26%), Veneto (18%), Umbria (10%), Sardegna (5%), Campania (3%), Lazio, Sicilia e Lombardia (1%).
VARIANTI E MUTAZIONI
Fatto tristemente noto, i virus, in particolare quelli come il coronavirus, evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma. Mutazioni osservate in tutto il mondo fin dall’inizio della pandemia. Come spiegato dall’Istituto Superiore di Sanità, mentre la maggior parte delle mutazioni non ha un impatto significativo, qualcuna può dare al virus alcune caratteristiche, come ad esempio un vantaggio selettivo o la possibilità di aggirare l’immunità precedentemente acquisita da un individuo o per infezione naturale o per vaccinazione.
Se qualcuno ha assistito all’incontro di calcio fra Italia ed Austria, avrà notato quanti e quali siano i controlli esercitati in Inghilterra, dove si è svolta la suddetta gara valevole per i quarti di finale degli Europei di calcio, per quanti erano interessati ad assistere alla gare nello stadio Wembley. Se qualcosa è andato storto nel contenimento del coronavirus, questo lo si deve al cosiddetto ceppo inglese, poi diventato predominante in Europa. Stessa cosa pare stia avvenendo con la “Delta”, la variante indiana, che ha iniziato a diffondersi rapidamente in Gran Bretagna provocando una nuova crescita dei contagi.
Sulla diffusione della variante del virus, si sarebbe espresso il Financial Times. Secondo un’analisi del popolare organo di informazione, la “Variante Delta” in Italia sarebbe presente addirittura nel 26% dei casi, facendo del nostro Paese il quinto al mondo per la diffusione di questa mutazione del Coronavirus.
Prima dell’Italia ci sarebbero Gran Bretagna e Portogallo, dove la Delta sarebbe dominante rispettivamente con il 98% e il 96% dei casi, poi Russia e Stati Uniti con il 31%. In questa particolare classifica, dopo il nostro Paese, seguono il Belgio (16%), la Germania (15%) e la Francia (6,9%).
DELTA, SOTTO OSSERVAZIONE
“Variante Delta”, dunque, da respingere attraverso quelle precauzioni assunte in questi lunghi mesi. Non è ancora semplice stabilire se questa sia anche più violenta. Sempre secondo alcuni dati diffusi a inizio giugno questa variante sarebbe associata anche ad un rischio di ospedalizzazione fino a 2,6 volte superiore rispetto alla “inglese”.
Tra i sintomi più frequenti vengono segnalati invece mal di stomaco, nausea, vomito, mal di testa, raffreddore, febbre, perdita di appetito e dolori articolari. Non più dunque tosse, perdita di gusto oppure olfatto, come avveniva nella prima fase della pandemia.
Chiudiamo però con una buona notizia: i vaccini funzionano. E molto. Il 68% dei casi di variante indiana in Gran Bretagna è stato registrato tra persone non vaccinate, il 6,2% tra vaccinati con doppia dose e il 18,7% tra i vaccinati con una dose a più di 21 giorni dall’inoculazione. Per quando riguarda l’efficacia, due dosi di vaccino Pfizer avrebbero una probabilità del 96% nel contrastare gli effetti gravi del Covid che portano all’ospedalizzazione. Del 92% quella di AstraZeneca.