Pierfranco Bruni, scrittore e operatore culturale

«Ragazzi da accogliere, formare, educare. Dobbiamo sforzarci a fare di più e non dare una parvenza di accoglienza umanitaria. Ospitare significa integrare». Come è cambiata la politica, gli studi e i saggi sul mondo popolare. L’impegno amministrativo ed economico per rilanciare un territorio ricco di beni culturali.

«Sono contrario al respingimento: questi ragazzi vanno accolti, formarli, educati, attraverso una stretta collaborazione con gli Stati da cui questi emigranti provengono». Pierfranco Bruni, operatore culturale, poeta e scrittore, autore di saggi, con un passato da politico, manifesta senza giri di parole il suo punto di vista sull’accoglienza. «Giovanni Pascoli soleva dire che la nostra cultura “frontaliera” rimane sempre il Nord Africa; e se lo diceva un poeta così grande, bisognava e bisogna credergli ancora oggi».

Sempre a proposito di accoglienza, Bruni. «Dobbiamo creare una cultura di accoglienza in termini positivi. Da venti anni mi impegno nei progetti sulle culture etniche. Noi abbiamo accolto malvolentieri, quasi a voler dare una parvenza di accoglienza umanitaria. Ci vorrebbe, invece, una ospitalità dettata da un respiro molto più ampio. Accogliere significa integrare: non solo quanti vengono da noi, ma provare a interagire con i loro Paesi di provenienza».

Bruni, operatore culturale prestato alla politica. Cosa è cambiato nella politica in questi anni?

«La dialettica e il modo di affrontare i problemi. Strutturalmente è crollato il sistema dei partiti: dal partito classico si è passati al movimento per provare a fare opinione, anche se in molti casi – a mio avviso – questi non solo non fanno opinione, ma non creano una vera e propria dialettica; alla base non hanno il pensiero forte, il confronto; non hanno la base culturale e, dunque, non sanno confrontarsi sui sistemi politici veri e propri.

I problemi non possono essere affrontati dall’oggi al domani senza una piattaforma di pensiero. Ogni problema, dalla legge Fornero – faccio un esempio – alla questione occupazionale, non può essere risolto senza avere alla base un pensiero culturale ben preciso; cosa vogliamo fare delle vecchie generazioni? Mandarle in pensione a settanta anni? Sembrano dettagli, ma credo che questi, alla fine, vadano a creare un tipo di società diversa»

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Italia, Europa.

«Commettiamo un grave errore intervenendo nel dibattito fra l’essere o non essere “europei”, uscire o non uscire dall’Europa o meno: è molto effimero, oggi dobbiamo parlare di internazionalizzazione di sistemi dal punto di vista del pensare; siamo più mediterranei che europei».

Industria e turismo.

«Ho fatto una grande battaglia come impresa intesa come economia e beni culturali, investimenti sulla cultura. Sono sfuggiti parametri, come sapere investire nella politica culturale, che non significa fare un convegno o una mostra. Significa investire in termine di eventi internazionali: se noi portiamo a taranto un evento già realizzato a Bologna o Catanzaro, per fare un esempio, non è un vero progetto culturale. Possiamo realizzare un progetto simile se alla base abbiamo un’economia che avverte l’importanza di investire sui beni culturali. Invece assistiamo a piccole operazioni di cabotaggio in cui economia politica o politica dell’economia e della cultura stiano insieme: non possono, però, reggere in quanto gli eventi di giro non portano ad una valorizzazione del territorio. Gli investimenti devono essere radicati in un territorio, in una città che ha risorse, vocazioni, ma che vengono masticate e fagocitate dalla mancanza di un vero investimento. In questo senso il Museo nazionale della Magna Grecia è una forza forza trainante per il territorio, dunque deve avere il coraggio di investire ancora più di quanto non abbia fatto finora».

Il progetto che ti ha entusiasmato quando ti sei speso per la cultura.

«Il Magna Grecia Festival. Organizzato per tre anni, è stato un esempio di come gli eventi poi rappresentati nascessero a Taranto: venivano realizzati per Taranto e poi cancellati per qualsiasi altro programma; non c’era un discorso di giro, chiunque avesse voluto vedere uno spettacolo in cartellone, avrebbe potuto vederlo solo qui; non solo assessore, ma anche direttore artistico: le performance volute per quel festival appartenevano solo alla manifestazione tarantina. A tale proposito, ricordo una polemica con Bari: Raffaele Paganini doveva fare uno spettacolo solo per Taranto, qualcuno chiese un bis per il capoluogo di regione incassando un no secco».

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A Taranto si torna a parlare di Leonida.

«Chi ne parla ha un punto di riferimento nel progetto che insieme con altri promotori sto portando avanti a proposito del Cinquantenario della scomparsa di Salvatore Quasimodo, vedere cioè l’influenza di Leonida nell’opera di Quasimodo; quanto un poeta che ha cantato le sponde di Taranto, ha influito sulle opere di un premio Nobel».

Saggi e libri, riflessioni su artisti come Battisti, De André, Califano e altri. Quali sono i punti di contatto fra il mondo del popolare e la cultura.

«Spesso, in modo errato, si è pensato che la musica leggera fosse elemento di serie B, sbagliato: la cultura popolare è parte integrante di una cultura nazionale, la prima non può esistere senza la seconda. Fra gli altri, mi hanno appassionato: Franco Califano, mi ha stupito il suo recuperare la romanità, i codici popolari che viviamo nei quartieri; De André che ha recuperato la cultura genovese, come Battiato ha fatto con la cultura del Mediterraneo, introducendo in quella islamica, positiva, il mondo arabo».

Progetti e studi che la stanno appassionando.

«Ovidio e il Mediterraneo. Credo che Ovidio sia ancora attuale, ha messo in rapporto il Mediterraneo greco con quello latino. Duemila anni fa aveva letto lo scontro tra Oriente e Occidente. In questi giorni è uscito un mio libro, “Nelle notti di Ovidio”: immagino le notti in esilio a raccontare la sua esistenza che passa dalla Sicilia, la Magna Grecia, Cartagine, il mondo egiziano e quello latino. Poi la cultura antropologica esistente in Pirandello che in Dannunzio. Può sembrare strano lo studio di due autori contemporanei, ma nei loro scritti non ci sono solo le grandi opere, ma anche una mediterraneità profonda anche dal punto di vista del linguaggio. Il nostro obiettivo sarà quello di portare questi due grandi autori nelle scuole».