Intervista a Francesco De Vitis, vicedirettore del Radiogiornale Rai

Tarantino, sessantatré anni, giornalista a diciotto. Ha scritto per “Ciao 2001”, bibbia della musica negli anni Settanta e Ottanta. «Per me è come se esistesse solo quella musica, del Banco il mio album preferito…»

Tarantino, sessantatré anni, vicedirettore del Radiogiornale Rai. Francesco De Vitis, studi liceali, universitari fra Giurisprudenza e Lettere, cronista musicale fra i più celebrati, autore di reportage per gli storici Ciao 2001 e Music (80/85) con la direzione di Beppe Caporale. Grande esperienza prima di approdare nel cosmo Rai, fra Radiocorriere Tv, Rai International e Rainews 24, fino al radiogiornale, must dell’informazione radiofonica per chi vuole “viaggiare informato”.

Partiamo dalla riconferma a vicedirettore.

«Due mesi fa la nomina di Francesco Pionati a direttore del radiogiornale, che nel suo piano editoriale mi ha riposizionato nella squadra dei vicedirettori: una indicazione raccolta con somma soddisfazione, intanto perché arriva da un collega importante, esperto di politica e giornalismo: con lui subito grande empatia, presupposto fondamentale per lavorare in perfetta sintonia».

Dai tasti della Olivetti di Ciao 2001 a quelli dei pc, che strada è stata?

«Quella di un ragazzo appassionato che sognava di fare il musicista o lo scrittore, ma che di mestiere cominciò fare il giornalista; a Taranto era complicato coronare questo progetto, così a diciotto anni puntai al bersaglio grosso: insieme con la mia ambizione presi il primo treno per Roma; fortunato, incontrai le persone giuste che mi spinsero a fare subito esperienza: Beppe Caporale, Willy Molco e altri giornalisti dai quali ho imparato i primi rudimenti».

On the road, strada asfaltata, sterrata, sassi?

«Non esistono strade lisce come tavoli da biliardo, ma mi ritengo fortunato, sarei poco onesto se dicessi che è stato un percorso faticosissimo: ho cominciato subito registrando risultati immediati».

 

 

Ciao 2001, bibbia della musica. Un disco, un concerto recensito, altro.

«Periodo di grande entusiasmo fra i miei venti-venticinque anni, con i colleghi dell’epoca mi sono divertito tanto; fra i più belli, uno dei concerti seguiti all’estero, a Zurigo, quello degli Sky, band anglo-australiana con Francis Monkman, Herbie Flowers, Tristan Fry, John Williams e altri. Forse perché è stata la mia prima vera trasferta porto quel concerto nel cuore».

Una intervista ardita, azzardata, quella più riuscita.

«Da non crederci, quella con Dori Ghezzi, che veniva dalla brutta esperienza del rapimento con Fabrizio De André: la feci senza prendere un solo appunto, tanto che i discografici si preoccuparono; tornato in redazione, rassicurai Beppe: “nun te preoccupa’, c’ho tutto in testa”».

La reazione dei diretti interessati.

«Il pezzo uscì dopo un paio di settimane, una volta pubblicato, ricevetti una telefonata a casa: “France’, c’è Fabrizio De André al telefono…”, da non crederci. Il cantautore genovese mi ringraziò e mi dette appuntamento al suo concerto di Roma. Prima che salisse sul palco, andai a trovarlo in camerino: poco dopo arrivò Francesco De Gregori con una bottiglia di whiskey; morale della favola, mezzo bicchiere Francesco, due dita io, che nemmeno bevevo, il resto della bottiglia a Fabrizio».

Che musica era quella di cui parliamo?

«Parlarne al passato mi risulta difficile, perché è quella che continuo a sentire, targata Settanta e Ottanta; spesso scateno i miei figli in polemiche probabilmente giustificate: “Papà, qualcosa dei Novanta, non eh?”. Mi rendo conto, ma l’ultimo disco ascoltato stamattina, per esempio, è “4 Way Street”, live di Crosby, Stills, Nash e Young, che avevo già consumato ai tempi del “Quinto Ennio”, il mio liceo tarantino».

 

 

Bacchettate?

«Nel rileggere le mie recensioni di un tempo, mi riconosco molto severo, forse troppo. Per esempio, Vasco, che io ho amato tanto: “Questo pezzo troppo squadrato, poteva fare meglio…”. Oggi leggiamo troppe recensioni politicamente corrette, all’epoca invece mettevamo il lettore di fronte al gusto del critico musicale: buono o non buono…».

Il vinile preferito?

«Non ci penso su due volte: “Io sono nato libero”, Banco del Mutuo Soccorso, io e il mio caro amico, Egidio Bianchi, lo consumammo: tornato a Taranto, mi spedì la registrazione di quell’album, lo ricordavo a memoria, graffi compresi».

La svolta e l’avventura in Rai.

«Arrivai attraverso la carta stampata, con il Radiocorriere Tv: scoprii così radio e tv, partendo da Rai International, il canale Rai per gli italiani all’estero. Ero appena diventato papà di Arianna, così accettai con entusiasmo».

Riscrivesse la sua storia?

«Avrei provato a fare il musicista, poi lo scrittore, quello del giornalista era il Piano C. Le prime due scelte appartenevano alla sfera dei sogni, quella del cronista, invece, è stato subito un mestiere».