Giuseppe Pambieri, attore, regista a teatro con “Quartet”
«Ogni giorno è quello buono per imparare ancora, dalla farsa al teatro greco. Scappato via dal “Piccolo” di Streheler, ho debuttato con Enriquez, in scena con la splendida Valeria Moriconi. I giovani sono attenti, basta fare le cose con coscienza, la tv ha laureato come attori di successo un sacco di gente…». Altro spettacolo promosso da “Costruiamo Insieme”
«Mi scusi, ma ch’è per caso “Er Tapparella”?». Potenza del cinema popolare replicato in tv all’infinito. Giuseppe Pambieri, una vita per il teatro, ma anche per la tv e il cinema, ancora oggi viene riconosciuto per uno dei personaggi-culto imbucati nelle inchieste dell’ispettore Giraldi, quel Tomas Milian doppiato da Ferruccio Amendola con tipico accento romano. “Squadra antifurto” di Bruno Corbucci, anno di grazia 1976. «Ero in taxi, a Roma, quando il conducente ha fissato per un paio di volte lo specchietto retrovisore, al terzo tentativo non ce l’ha fatto più: “A’ dotto’, ma ch’è per caso lei è “Er Tapparella”?”. Confermo. Come confermo che nella vita si può fare tutto, un attore che vuole crescere, misurarsi con i propri mezzi deve provare qualsiasi cosa: teatro, tv o cinema che sia».
Pambieri in giro per teatri. Centinaia di chilometri in un giorno. Circola con “Quartet” di Harwood, partner Paola Quattrini, Cochi Ponzoni, Erica Blanc, titolo all’interno della Stagione teatrale “Angela Casavola” promossa dalla cooperativa “Costruiamo Insieme” e in programma al teatro Orfeo di Taranto con la direzione artistica di Renato Forte. Non esistono più le stagioni teatrali di una volta. Se ami questo lavoro, prendere o lasciare, spiega Pambieri. «Il teatro è cambiato, difficile sostare due giorni di seguito in provincia e spostarsi al massimo di cinquanta, cento chilometri, un tempo gli impegni erano spalmati in modo ragionato: oggi non è più così. Ma non siamo cambiati noi “teatranti”, quanto le strutture intorno a noi: una volta esistevano poche compagnie primarie, c’era una maggiore cura nel mettere in scena uno spettacolo, si sostava all’Eliseo di Roma, al Manzoni di Milano, adesso c’è una pletora di compagnie: la tv ha laureato nuovi attori di successo che si sono imbarcati in situazioni teatrali».DEVO TUTTO ALLA TV, MA…
Situazioni è bella. Pambieri ha il sorriso di chi preferisce non insistere sull’argomento. Del resto, anche lui ha fatto molta tv. «Devo tutto alla tv – dice serio, l’attore – “Le sorelle Materassi” con la regia di Mario Ferrero, “La scuola delle mogli” e “Sotto il placido Don” di Vittorio Cottafavi, poi tutto l’Anton Giulio Majano disponibile, gli sceneggiati “Il signore di Ballantrae”, “Quell’antico amore” e “Strada senza uscita”. Poi daccapo il teatro, dove mi trovo a mio agio. Ma la tv non l’ho mai abbandonata del tutto, ha fatto dieci anni di “Incantesimo” io, e anche questa tv mi è servita».
E’ sincero quando dice che ama qualsiasi forma di espressione artistica, teatro, tv, cinema. «Mi chiamano molto spesso, ma di traverso – ma, dico, anche per fortuna – ci sono i contratti, che vanno rispettati: ti propongono cose molto belle, in qualche modo attese, ma devi ringraziare e declinare l’invito dei produttori, perché stai facendo altro; non sempre si può fare quello che si vuole, ma va benissimo così».
La sua formazione viene da lontano. «Ho avuto l’onore di lavorare con i più grandi: Strehler, Zeffirelli, Ronconi, dopo aver studiato al “Piccolo” di Milano, ho avuto un ruolo nell’“Arlecchino servitore di due padroni”; più cose fai, più ti completi: a ventitré anni ho interpretato “Le mosche” di Sartre diretto da Franco Enriquez, per me fondamentale, accanto a Valeria Moriconi, nel suo momento di massimo splendore, e Renzo Montagnani: vinsi la “Noce d’Oro”, assegnata all’“attor giovane” più bravo in quel momento; sono scappato dal “Piccolo”: fossi rimasto lì, mi sarebbe toccata una battuta all’anno, invece volevo crescere, fare altre esperienze».GIOVANI, AMANO I CLASSICI
Teatro e pubblico, chi dei due è cambiato di più in questi anni. «E’ cambiato all’esterno, ma il prodotto funziona solo se sei onesto, fai una cosa importante, ci credi e ti diverti a farla; se funziona, arriva al pubblico; non è vero che i giovani hanno preso le distanze dal teatro, tutt’altro: se fai i classici, e ve lo dice uno che ha fatto “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello, “La coscienza di Zeno” di Svevo, i giovani impazziscono; sto girando anche con un mio spettacolo su Leopardi, “Infinito Giacomo”: funziona per il pubblico “normale”, ma anche per gli studenti».
Una volta, però, c’era una liturgia, l’attore, il baule, gli strumenti del mestiere. «Vero, si viaggiava col baule: io ne ho uno della Premiata fabbrica “Cavallotti” che mi ha venduto Enrico Rame, appartenuto a Wanda Osiris; una volta si partiva con questo “benedetto” baule, lo scaricavi in camerino, oppure te lo portavi in albergo, come previsto da regolamento; Manfredi, con il quale ha lavorato mia moglie, Lia Tanzi, il suo baule se lo faceva portare sempre in albergo».
Teatro, serio, comico, brillante. «Amo far tutto, l’attore deve essere eclettico, sennò non ha senso farlo: deve saper passare dalla tragedia greca alla farsa, fino a “Quartet” di Harwood; provi maggior soddisfazione, altrimenti questo lavoro diventa una noia mortale; questa estate rifarò “Antigone, cronache da un teatro di guerra”, rappresentazioni a Segesta, Tindari; per la prossima stagione riprenderemo “Quartet”, poi altri progetti: mai fermarsi, ogni giorno impari cose nuove, c’è tempo per invecchiare…».