Sule, nigeriano, parla del pasticcio-Suarez e passaporti facili

«Tifo Juventus, ma a noi africani, se tutto va bene, tocca aspettare mesi e mesi. Ma non è solo in Italia che qualcuno aiuta i poteri forti. Altrove è peggio, molto peggio. Alla fine mi sto convincendo che avere quei documenti sia solo un sogno…».

«Passaporto? L’ho solo sognato, non so che forma abbia, comincio a pensare che sia una parola astratta e non concreta, cioè che il passaporto sia un sostantivo di fantasia». Usa aggettivi e sostantivi in modo puntuale, Sule, un cellulare per amico, che agita come fosse un’abitudine. Come se la sua conoscenza, il suo borsello con il quale spostarsi, sia tutto là dentro. «Lo usavo quattro anni fa, quando sbarcai in Italia: non conoscevo una parola, sfioravo un tasto ed ecco il significato della parola: poi seguendo, quando era possibile le tv e le partite giocate in Italia, avevo già imparato qualcosa». Ecco, il calcio e il passaporto. Come se non bastasse è tifoso anche della Juventus, la squadra italiana che avrebbe voluto rinforzarsi mettendo sotto un profumato contratto Luis Suarez. «Il Pistolero, come no…». La frase è accompagnata con una espressione locale. Della serie, «Come se non sapessi di chi stiamo parlando».

Difende i bianconeri, Sule. Potrebbe essere un buon consulente dello studio legale della Juventus che sarebbe stato intercettato in una conversazione con personale docente dell’Università di Perugia. «Una faccenda all’italiana? Non credo che queste cose succedano solo qui, tutto il mondo è Paese: fidatevi di me, ho davvero girato…».

A qualcuno potrebbe essere sfuggito, non a Sule, così informato e così informatizzato. Dunque, veniamo ai fatti. L’esame sostenuto a Perugia, giovedì scorso, da Luis Suarez per ottenere la cittadinanza italiana diventa di colpo un caso giudiziario, con l’accusa di rivelazioni di segreto d’ufficio e falsità ideologica per i cinque indagati: le domande sarebbero state anticipate al candidato dalla stessa Università per Stranieri del capoluogo umbro. La procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone, ritiene che quello del Pistolero sia stato un «esame farsa» in una seduta fatta «ad hoc», racconta, per filo e per segno, la Gazzetta dello Sport.

Non sai se ridere o piangere, scriveva l’altro giorno Valerio Piccioni, interpretando i nostri sentimenti. Noi che conosciamo e abbiamo scritto storie sui nostri ragazzi straordinari che di strada (e mare) ne hanno fatta tanta. Insomma, questo sentimento del ridere o piangere, si scatena quando ti arriva addosso una storia così, come quella del pasticciaccio brutto, appunto, dell’esame di italiano di Luis Suarez. Un episodio che tira giù dalla soffitta altre vicende di un bel po’ di anni fa che legarono pallone e passaporti (la Juventus viene menzionata in questa occasione, ma in passato altre squadre avevano gradito scorciatoie…).

PASSAPORTO FACILE, NON PER TUTTI

Passaporti italiani, passaporti facili, preceduti dall’esame-farsa presso l’Università per stranieri di Perugia dello scorso 17 settembre, di cui scrive nella sua ordinanza per autorizzare i decreti di perquisizione, Raffaele Cantone, ora capo della procura di Perugia dopo aver guidato l’Autorità anticorruzione. I reati per cui si indaga in questi giorni sono quelli di falsità ideologica e rivelazione di segreti d’ufficio, ma nello spettro dell’inchiesta spunta l’ipotesi corruzione. «Di gente disposta a farsi corrompere ne ho incontrata – dice Sule – ma non in Italia: soldi per farti rilasciare, non farti far male, tagliare la gola, soldi per imbarcarti, soldi per fare i primi documenti per avere un permesso di soggiorno, possibilmente con vista su un passaporto: un sogno; non so se esista davvero, dicevo e confermo. Insomma, ne avessi trovato uno disposto ad “aiutarmi”…». Lo abbiamo aiutato noi, nel suo italiano invidiabile aveva usato un termine, per così dire, improprio. Scivoliamo noi, figurarsi un ragazzo straniero.

Certe chiacchierate intercettate dalla Procura per caso nell’ambito di un procedimento precedente, certi post su Facebook fanno pensare a una botta di provincialismo fantozziano, scriveva Piccioni. L’incontro con un padreterno del pallone che manda in tilt i protagonisti della vicenda. La storia, purtroppo, è maledettamente seria. Perché il passaporto è una di quelle cose in cui anche il divo milionario dovrebbe condividere almeno un po’ delle ansie dei comuni mortali, quelli per i quali i giorni diventano settimane e i mesi addirittura anni per conquistare un traguardo che vale una vita: diventare italiano. «Mi farò la tessera della Juventus, intanto per vedere le partite della Signora poi per chiedere a qualche legale se c’è la possibilità di arrivare al passaporto: sono disposto ad attendere tutto il tempo che ci vuole!». Adorabile Sule, a conoscenza che la squadra bianconera è chiamata anche «La Signora del calcio italiano» e per la pazienza olimpica in fatto di attesa.

«NON DICE UNA SOLA PAROLA…»

Gli investigatori, intanto, ricostruiscono i vari passaggi ma non è emerso nessun tipo di pressione da parte della società, come dice il tenente colonnello che ha guidato le indagini della Guardia di Finanza. Le intercettazioni, per gli indagati, però, forniscono uno spaccato che evidenzia un contesto originale. Come quando una professoressa che conduce i corsi di preparazione a distanza, dice in vista dell’esame che Suarez «non spiccica una parola». O un «ti pare che lo bocciamo?», che non annuncia particolare severità degli esaminatori di fronte al Pistolero.

In pratica, gli indagati sono accusati di avere organizzato una sessione straordinaria «ad hoc», su misura, per Suarez citando «esigenze logistiche» (lo sdoppiamento dell’appello) che non sussistevano, di aver detto a Suarez su che cosa sarebbe stato interrogato e di aver dato un via libera, il livello B1, che non corrispondeva alla conoscenza della lingua italiana da parte del calciatore.

Michael, anche lui nigeriano, laureato in geologia proprio a Perugia, ha rilasciato una battuta. «Non ci giriamo intorno, è una cosa brutta molto brutta; personalmente ci ho messo tanti anni per diventare italiano, ce l’ho fatta dopo la laurea, ma non credete che la laurea abbia spostato qualcosa. Contano le carte della burocrazia, non si finisce mai».

Per dirla con parole di Sule, filosofo della vita e appassionato bianconero, «Il passaporto sarebbe lo stesso, ma la strada per arrivarci non è la stessa per tutti».