Pace, parliamone…

Spiraglio per un “cessate il fuoco” fra Ucraina e Russia

Trump auspica un colloquio in Turchia. Da Mosca fanno sapere che Putin ci sta riflettendo, mentre Zelensky crede che lo “zar” prenda tempo. Sarebbe il caso di riporre l’odio e avviare la trattativa, che sarebbe comunque lenta e laboriosa. Insomma, massima prudenza, prima di dire che la strada giusta sia stata intrapresa. Le prime parole di papa Leone XIV mietono ottimismo

 

Pace, maneggiare con cura. Sono in molti a sostenerlo, la prudenza non è mai troppa. A volte si era intravisto uno spiraglio per mettere fine a un conflitto; spesso, però, si è stati sconfessati dai fatti: molti, per dirla tutta, predicano bene, ma razzolano male.

Predicare. Tutto nasce da lì. Non è banale pensare che l’elezione del nuovo papa, Leone XIV, abbia in qualche modo accelerato il processo di pace. De resto, il primo pontefice americano della storia, è stato chiaro fin dall’inizio; dalle prime parole pronunciate davanti alle decine e decine di migliaia di persone che avevano affollato piazza San Pietro, e le centinaia di milioni di fedeli collegate con tv, radio, social: pace. Pace, il primo forte segnale. Come a dire: la politica internazionale, i temi sul tavolo saranno diversi, ma quello centrale è sempre lo stesso: pace.

 

 

LE “ULTIME” NEWS…

Le ultime notizie diffuse dalle agenzie di stampa internazionali, “parlano” chiaro: la Russia continua a “prepararsi” alle trattative dirette con l’Ucraina, in programma domani (giovedì 15 maggio per chi ci legge) a Istanbul, ma il portavoce del Cremlino è prudente: chi sarà presente in rappresentanza di Mosca, lo deciderà personalmente Vladimir Putin.

Per contro, piuttosto che stemperare gli animi, Kiev fa trapelare che l’assenza di Putin dai colloqui in Turchia, dove è prevista la partecipazione di Zelensky, sarebbe il “segnale definitivo” che Mosca non vuole porre fine alla guerra. Ipotesi azzardata, considerando che in una posizione mediatica favorevole il governo ucraino, aveva dato addosso alla politica di Putin, facendo trapelare che le perdite inflitte all’esercito russo avevano messo in ginocchio il governo dello “zar”. Ora, ancora prima dell’incontro, dei temi che potrebbero essere affrontati, gli stessi avanzano l’ipotesi che sia proprio la Russia a non volere l’accordo, come se i due presidenti dovessero incontrarsi per firmare l’impegno di pace. Gli incontri, invece, servono per incontrarsi, confrontarsi, andare a fondo ai discorsi che hanno scatenato la guerra, e trovare punti di contatto. Infine, la riflessione, gli eventuali ritocchi, piccoli o significativi, prima la tregua, poi, finalmente, la pace.

 

 

PACE, MASSIMA PRUDENZA

Da qui la prudenza. Non solo. Da qui, anche l’interesse di Trump a prendere parte all’incontro, perché abbia notizie di prima mano e comprendere chi veramente voglia la pace e chi, invece, faccia finta. Nei giorni scorsi Zelensky aveva dichiarato che sarebbe andato a Istanbul per incontrare Putin, che domenica aveva proposto negoziati diretti tra Mosca e Kiev. Martedì il presidente americano, Donald Trump, aveva auspicato la presenza in Turchia di Zelensky e Putin. 

I leader europei, dal loro canto, fanno sapere, secondo fonti autorevoli, che sarebbero pronti ad attendere fino a dopo l’incontro tra Zelensky e Putin in Turchia, prima di “spingere” gli Stati Uniti ad annunciare nuove sanzioni contro Mosca. E’ quanto sostiene, scrive l’agenzia giornalistica Ansa, Bloomberg citando fonti a conoscenza della questione. A seguito dei colloqui tra funzionari statunitensi ed europei di lunedì, pare sia chiaro che la parte americana auspicava i colloqui tra Russia e Ucraina per domani (giovedì), prima di esercitare una eventuale, nuova pressione su Putin.

Miggiano, la Polinesia a un passo

Frazione di San Cesareo Terme, in estate diventa attrattore irresistibile

A volte paragonate ai Caraibi, le nostre spiagge non temono confronti. Basta sapersi organizzare. E per chi viene da fuori, ecco il percorso in auto. E se uno arriva da più lontano, aeroporto, ferrovia e bus. Per sole e mare come in nessuna altra parte del mondo, se escludiamo…le isole dell’Oceania

 

Quella dei Caraibi è la regione che più di altre, riesce a richiamare turisti da tutto il mondo. La bellezza delle spiagge, Cuba, Repubblica Dominicana, Aruba, Giamaica, Bahamas: ovunque caschi, caschi bene. Abbiamo fatto più volte paragoni, in passato, perfino con Miami e la Florida, per accoglienza e serie di servizi, superati nel tempo da altri posti. Ma, c’è un ma, che, servizi a parte, non puoi trasformare a meno che non entrino in ballo le odiatissime trivelle o pale eoliche, perché ce ne sarebbero da farsele…girare, eccome: la bellezza di un posto, la suggestione di un angolo, di una spiaggia interminabile, la vegetazione a ridosso delle spiagge, l’acqua cristallina a perdita d’occhio.

Non più tardi di qualche giorno fa, un angolo della Puglia è stato paragonato, a ragione, dalla giornalista Annarita Faggioni (statodonna.it) alla Polinesia, una delle regioni in cui tradizionalmente viene divisa l’Oceania, compresa più o meno, in un triangolo di isole: Nuova Zelanda, di Pasqua e Hawaii.

 

 

INSENATURA DA SOGNO

E, allora, la località che mentalmente ci fa fare le valigie e disporre sulla battigia fatta di sabbia sottile, ombrellone e sdraio è in Puglia, perché dalle nostre parti c’è un angolo di sole che è stato ribattezzato “la Polinesia italiana”. Brava la curatrice dell’articolo a pareggiare i conti con uno dei posti, rispetto alla Puglia, più lontani al mondo, che con questa località costiera può avere similitudini (e lo diciamo senza vergognarci neanche un po’, perché è bella!): trattasi di Porto Miggiano, località costiera del comune di Santa Cesarea Terme, anche quest’ultima una bella e accogliente località.

Porto Miggiano, scrive statodonna.it, Porto Miggiano, scrive statodonna.it, «non sarebbe tra gli itinerari tradizionali e potresti trovare meno folla se prenoti con un certo anticipo: è una meravigliosa insenatura, il posto perfetto per chi cerca quiete: mare pulito e fondali da esplorare con maschera e boccaglio». Se preferisci, suggerisce il sito, non passare via terra: puoi arrivare in pedalò o in barca dal vicino porticciolo (notizia riportata da tuttonotizie.eu).

 

 

COME ARRIVARCI…

Miggiano, diciamolo senza giri di parole, è una località che si anima praticamente nel periodo estivo. Possiede un piccolo porto turistico e una torre (XVI secolo, a difesa dagli attacchi dei saraceni). Fino al 1913 Porto Miggiano era parte delle marine di Vignacastrisi. La nascita del comune di Santa Cesarea Terme, avvenuta proprio in quell’anno, ha fatto in modo che Porto Miggiano diventasse una sua frazione (come Vitigliano e Cerfignano).

Porto Miggiano in auto. Dalla SP358 in direzione Santa Cesarea Terme. Una volta lì, percorrere via Umberto I. Per chi giungesse in Puglia da località più lontane, può beneficiare dell’aeroporto di Brindisi, farsi accompagnare da un mezzo in stazione e prendere un treno per Lecce, proseguendo con le Ferrovie del Sud Est fino a Poggiardo. Una volta a Poggiardo, un autobus accompagnerà a destinazione. «Per goderti – scrive Faggioni – panorama, mare limpido e natura selvaggia». Ma, attenzione, il suggerimento: «il Salento è pieno anche di spiagge meno note o affollate: occorre ingegnarsi e cercare per risparmiare».

«Inclusione per poveri e migranti»

Il nuovo papa è Robert Francis Prevost, Leone XIV

«Habemus Papam!». L’annuncio alle 19.13 di ieri, giovedì 8 maggio, dato dal cardinale Mamberti. «La pace sia con tutti voi, aiutateci a costruire ponti», le prime parole del primo papa americano. Avvicinarci gli uni agli altri, giammai allontanarci. Prevost, il nuovo papa, si distingue per aver aderito con profonda convinzione alla linea pastorale di Papa Francesco. Pertanto massima vicinanza alle persone

  

«Habemus Papam!». L’annuncio alle 19.13 di ieri, giovedì 8 maggio, è stato dato da protodiacono cardinal Mamberti. Il nuovo Papa è Robert Francis Prevost, per la Chiesa Leone XIV. Le prime parole pronunciate dal nuovo pontefice: «La pace sia con tutti voi, aiutateci a costruire ponti». Dunque, ad avvicinarci gli uni con gli altri, non ad allontanarci. Prevost, il nuovo papa, si distingue per aver aderito con profonda convinzione alla linea pastorale di Papa Francesco. Pertanto particolare attenzione a temi come «l’inclusione dei poveri, dei migranti e la massima vicinanza alle persone».

Naturalmente gli organi di informazione americani sono i primi a lanciare la notizia, ad avanzare ipotesi su quali potranno essere i temi sui quali Leone XIV interverrà. Infatti, «Il primo Papa americano», è quanto scrive l’autorevole New York Times. «Il nuovo Pontefice è lo statunitense Robert Prevost, il primo Papa americano nella storia», lancia nel suo primo notiziario la Cnn.

 

 

DONALD TRUMP: «CONGRATULATIONS!»

Sempre dagli Stati Uniti, nemmeno a dirlo, arrivano le congratulazioni di Donald Trump, il presidente USA. «Congratulazioni vivissime al cardinale Robert Francis Prevost, appena nominato Papa; è un grande onore sapere che è stato eletto il primo pontefice americano», ha riportato nel suo post su uno dei social dell’inquilino della Casa Bianca. «Non vedo l’ora – ha aggiunto Trump – d’incontrare Papa Leone XIV; sarà un momento molto significativo». Ce lo auguriamo tutti, ovviamente, anche se nel breve messaggio del presidente americano non si leggono commenti sul discorso con il quale LeoneXIV si è insediato, a proposito di «pace e uguaglianza». Magari il social in questione non raccoglieva più di un tot di caratteri.

«La pace sia con tutti voi, fratelli e sorelle carissimi – le prime parole del pontefice – questo è il primo saluto del Cristo risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio; anche io vorrei che questo saluto di pace raggiungesse le vostre famiglie, tutte le persone, a tutti i popoli, a tutta la terra: la pace sia con voi».

 

 

AGOSTINO, UN SANTO AFRICANO

Prevost, si diceva, si distingue per la sua adesione alla linea pastorale di Papa Francesco. Particolare l’attenzione a temi l’inclusione dei poveri e dei migranti, la promozione di un episcopato vicino alle persone. Leone XIV, come ha spiegato lo stesso papa nel suo primo discorso, è un agostiniano. Un americano di origini francesi, italiane, spagnole, come ha spiegato in una intervista resa di recente alla Rai. Sant’Agostino che unì civiltà classica e cristianesimo, un santo africano eppure romano, cattolico, ma onorato anche da protestanti e ortodossi; Leone, come Leone Magno che fermò Attila e obbligò Genserico a rispettare i civili e le chiese. Come Leone XIII che con la “Rerum Novarum” pose le fondamenta della dottrina sociale della Chiesa.

Robert Francis Prevost, grande e solida cultura, uomo di quell’Occidente che sa essere universale. Nelle sue e nelle premesse di chi spiega il suo punto di vista, la speranza di un’era nuova di pace, valori eterni, solidarietà fra gli uomini. «Auguri, Pontefice romano!», così su X, il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Lo riporta il sito “Orizzontescuola.it”, che puntualmente ha riportato i passaggi che hanno condotto in così breve tempo l’elezione del nuovo papa.

 

 

CHI E’ PAPA LEONE XIV

Nato a Chicago il 14 settembre 1955, rappresenta una delle figure più influenti della Chiesa cattolica contemporanea. Dopo una lunga esperienza missionaria in Perù, dove ha guidato il seminario agostiniano di Trujillo e ricoperto incarichi pastorali e formativi, Prevost ha assunto ruoli di primo piano nell’Ordine degli Agostiniani, di cui è stato priore generale per due mandati. Nel 2014 Papa Francesco lo ha nominato amministratore apostolico della diocesi di Chiclayo, di cui è poi diventato vescovo, distinguendosi anche come vicepresidente della Conferenza Episcopale Peruviana in un periodo di forte instabilità politica nel Paese.

Tifoso picchiato davanti al figlio

Bari, stadio San Nicola, tanti contro uno

Indignato il sindaco del capoluogo pugliese, Vito Leccese. L’attore Paolo Sassanelli, più severo: «Non vado più allo stadio, gli altri facessero lo stesso…». L’invito alla collaborazione per individuare i colpevoli. Dal tifo organizzato ferma condanna: «ma giornalisti e social si informassero prima di darci addosso»

 

Sgombriamo subito il campo da equivoci. Non è una città che fa di un gruppo di “tifosi”, ammesso che lo siano e non prendano per pretesto una curva di calcio, per commettere qualsiasi atto di violenza, per giunta pensando di farla franca. Bari non c’entra, anche se il capoluogo pugliese, suo malgrado, ha trascinato in questa spirale di violenza una regione e il Sud. Come se la violenza abitasse solo da queste parti e, lo diciamo senza con questo volerci alleggerire la coscienza, a Bergamo o Brescia, per fare un paio di esempi, dove nelle scorse ore sono avvenuti tremendi fatti di cronaca, non accadesse nulla.

Ma è successo a Bari. Baresi e pugliesi tutti, intanto, devono indignarsi. Incazzarsi, se ci fate passare questa forte espressione alla quale raramente facciamo ricorso. Sorvoliamo sulla retorica del “Ma non sai che aveva detto l’uomo sul quale si è abbattuta la furia vendicativa”, oppure “Ci aveva offeso la mamma, aveva offeso la nostra città!”. Non sappiamo cosa abbia scatenato quell’indegno episodio consumato alla presenza di un bambino, che ne resterà traumatizzato, di sicuro il grande Eduardo, uno di noi, avrebbe esclamato: “Ma abbiate pazienza: non c’è proporzione!”. Da “Uomo e galantuomo”, la moglie vedendo una macchia di sugna sulla giacca si arrabbia talmente con il marito tanto da suggerirgli di farla finita: “Perché non ti ammazzi!”. Da qui: “Non c’è proporzione!”. Per farla breve: qualsiasi sia stata la scintilla che ha provocato l’episodio, dopo una calda risposta, doveva esserci uno stop. Invece, mattanza come se non ci fosse un domani.

 

 

QUEI “BRAVI RAGAZZI”

Quei tipi violenti li conosciamo. Conosciamo il loro senso di giustizia. Da piccoli, una volta, nel gioco “Guardie e ladri”, la maggior parte dei bambini sceglieva di essere guardia, perché agiva per bene di tutti. Oggi, ci dicono, la scelta non è più come un tempo, decisa. Anzi, dopo aver tentennato, il piccoletto di solito decide: “Il ladro lo faccio io”, pausa, “…tu, invece, fai lo sbirro!” (poliziotto in senso dispregiativo). Perché è questo che insegnano le cronache, la tv del pomeriggio che apre ai fatti di cronaca ancora con la pistola fumante al dibattito. E, la sera, a una delle tante serie nelle quali, ci spiegano, non c’è solo un “capo dei capi”, ma esiste anche un “patriarca”, una filosofia che eleva la figura del malavitoso: da manovale a capitano d’azienda.  E così sia.

Li conosciamo quei delinquenti che assalgono solo in compagnia, mai da soli, e che proteggono i loro piccoli e le loro mogli a costo della vita, salvo poi essere padre-padrone di quella e di altre vite. Ma non allontaniamoci troppo dalla cronaca, altrimenti anche noi corriamo il rischio di imbatterci nella retorica.

 

 

SINDACO DI BARI: SCONCERTATO

Fra i primi quotidiani a commentare, riprendere la notizia di quanto accaduto lunedì a Bari, il quotidiano La Gazzetta dello sport, che riporta un coro fatto di grave sdegno, dal sindaco di Bari, Vito Leccese, all’attore barese Paolo Sassanelli. Posizioni forti, che ci piace condividere con quanti ci leggono.

Il pestaggio del tifoso avvenuto fuori dallo stadio San Nicola di Bari da parte di cinque persone lascia sgomento il sindaco del capoluogo pugliese, Vito Leccese, che affida il proprio pensiero a un comunicato, scrive la Rosea: «Sono sconcertato dalla brutalità dell’aggressione perpetrata ai danni di un tifoso all’esterno dello stadio San Nicola; niente può giustificare la violenza, mai, a maggior ragione in contesti di aggregazione e sport; questi bruti, capaci di accanirsi con violenza e totale sprezzo di ogni regola del vivere civile contro un uomo solo, per giunta in compagnia di un bambino, sono nient’altro che ignobili».

La violenza dell’aggressione non ha lasciato indifferente Paolo Sassanelli, attore barese e tifoso biancorosso, il quale ha postato un video su Facebook: «Io, da oggi e per il futuro – riporta la Gazzetta dello sport – non metterò più piede allo stadio San Nicola di Bari; quello che è accaduto è qualcosa di terribile, contro ogni logica: un padre picchiato da più persone contemporaneamente, quando andare allo stadio è una festa; ricordo la prima volta quando allo stadio sono andato con il mio papà, mio mito, a sostenere il Bari. Posso solo immaginare il dolore che deve aver provato quel bambino e quella roba gli rimarrà tutta la vita».

 

 

SASSANELLI: «BASTA ANDARE ALLO STADIO!»

Poi l’invito a «tutte le persone di buona coscienza e di buon senso a fare la stessa cosa». E ancora, conclude la Gazzetta a proposito del pensiero di Sassanelli. «Queste persone devono essere identificate e denunciate e anche la società deve partecipare alla ricerca dei colpevoli, perché è accaduto all’interno e all’esterno dello stadio: basta girarsi dall’altra parte, tanto che finché non si risolverà questa situazione io non metterò più piede allo stadio di Bari».

Sull’episodio anche l’intervento del tifo organizzato barese: «Esprimiamo ferma condanna, teniamo a rimarcare la nostra totale estraneità ai fatti: giornalisti e fruitori dei social farebbero meglio ad accertarsi dei fatti, prima di puntare il dito contro i gruppi organizzati che, nel momento dell’accaduto, erano intenti a protestare sotto la porta numero 1 dello stadio». Ferma condanna. Di collaborazione con le forze dell’ordine per individuare gli aggressori, che non saranno tifosi occasionali, e che hanno gettato violenza e fango su una città – magari lo pensano anche – non se ne parla.

«Papa io? No, grazie…»

Francesco, il pontefice in una biografia di Fabio Marchese Ragona

Da ieri il libro “Life: La mia storia nella Storia, (HarperCollins) anche in edicola, presto un film. I retroscena, le anticipazioni in una bella intervista di Virginia Piccolillo per il Corriere della sera. «Inconsciamente non volevo essere eletto, il mio pensiero andò a mia nonna ai poveri in Argentina», spiega il vaticanista di Mediaset

 

Simpatico, catturato dalla battuta, tanto era il senso dell’ironia che aveva, ma anche determinato. Carattere forte, quando c’era da tirare fuori la grinta e non ci riferiamo al pugno che mostrò a un giornalista quando confessò che se gli avessero offeso la mamma avrebbe risposto con un “cassotto, con quel suo tipico accento argentino. Jorge Mario Bergoglio, per tutti Papa Francesco, il pontefice amato da tutti e scomparso il 21 aprile scorso, farà parlare ancora per tanti anni di sé. Ieri, sabato 3 maggio, per esempio, grande iniziativa del Corriere della sera e della Gazzetta dello sport. Insieme con una copia dei due giornali, ad un prezzo contenuto, in edicola è stato pubblicato il libro “Life: la mia storia nella Storia” di Fabio Marchese Ragona. Un testo dal quale sarà tratto un film prodotto dalla Casa di produzione Lucky Red.

Proprio il Corriere della sera, in un bell’articolo di Virginia Piccolillo, riporta alcune impressioni dello scrittore e autore della biografia di Papa Francesco. Marchese Ragona racconta di un pontefice sempre pronto alla battuta, buono sì, ma non ingenuo.

 

 

«SENSIBILE, IRONICO, DETERMINATO»

«Sensibile, ironico e determinato», dice il vaticanista Mediaset Fabio Marchese Ragona.Sulle prime Papa Francesco era restio nel rilasciare una biografia. Forse gli sembrava un atto di presunzione, o forse pensava che non fosse il caso di farlo per via di qualche questione, sia chiaro non a causa sua, rimasta irrisolta. Eppure l’autore di “Life: la mia storia nella Storia”, è riuscito nell’impresa. «Gli dissi che sarebbe stato bello ascoltare la sua storia attraverso i grandi eventi – rivela alla Piccolillo – ma accettò in quanto, da anziano, gli interessava che fossero i giovani a leggerlo, ascoltarlo: a loro, Sua Santità, voleva lasciare un messaggio». Un bilancio, anticipa per quanti ancora non avessero fra le mani il libro appena pubblicato ieri, fatto di gioie, dolori, successi e anche sconfitte.

Senza tanto anticipare i temi, trattati con puntualità e competenza nel libro, la giornalista del Corsera, ricava il titolo della sua intervista ripresa dalle agenzie e dai siti di tutto il mondo. Un “retroscena del Conclave”, domanda Virginia Piccolillo. «Mi ha detto di aver capito – le risponde Fabio Marchese Ragonasubito dopo pranzo, quel giorno, che sarebbe stato eletto; non voleva entrare nella cappella Sistina: si soffermò con il cardinaleRavasi a discutere di libri sapienziali, tanto che li richiamarono: “Inconsciamente – ammette Bergoglio – non volevo essere eletto”».

 

 

LA GUERRA, LA PACE, L’ELEZIONE

Papa Francesco e lo scoppio della guerra. «Aveva solo tre anni, gli ho chiesto come facesse a ricordare – dice il vaticanista al quotidiano edito da Cairo – si apriva e confessava di avere dei flash: “Mamma e papà urlavano: ‘Hitler è un mostro’; Margherita Musonero, amica di nonna, ci raccontava cosa succedesse ai parenti in Italia; a noi bambini ci mandavano via, ma origliavamo e sentivamo di storie di piccoli separati dalle mamme: un trauma”». Poila fine della guerra e la pace. «Ricordava una vicina che gridava a sua mamma: “Signora Regina, esca, è finita la guerra”. Vedere quelle donne semplici piangere, felici, per la pace, diceva, lo ha segnato e convinto a lottare sempre contro le guerre».

Virginia Piccolillo domanda se Papa Francesco si sia mai commosso nel suo racconto. «Sì, della dittatura in Argentina: “Un genocidio generazionale”. Ha detto di aver fatto tutto ciò che poteva». Le accuse di complicità con il regime. «Andò da Videla – dice Marchese Ragona – a celebrare messa, per liberare due confratelli gesuiti; ci riuscì ma non poténemmeno salvare la sua amica Esther».

E per concludere, anche se l’intervista è molto più lunga (da recuperare, lo stesso il libro pubblicato ieri, ma ancora in edicola), a proposito degli scherzi che gli piaceva fare e il primo pensiero davanti alla folla che lo acclamava alla sua elezione a pontefice. «Una volta mi chiamò dicendo: “Sono el Coco che significa l’Uomo nero – anche se mi vesto di bianco”; una volta eletto il suo pensiero lo rivolse alla nonna, alla mamma e ai poveri di Buenos Aires che non avrebbe rivisto».

«Stipendio da fame, non ce la faccio più!» 

Giovanni, milleduecento euro al mese, confessa la condizione

“Lavoratore povero”, ecco l’ultima categoria. Secondo l’Istat rientra nella categoria “occupati”, ma nell’Italia degli stipendi bloccati da venti anni lavorare non sempre significa fare una vita dignitosa. «Tante famiglie non reggono l’aumento del costo della vita», ha detto il presidente Sergio Mattarella  

 

Ieri, giovedì, Uno maggio, Festa del Lavoro. Detta così, secondo quelli che scrivono bene, “Festa del lavoro” tout court, è un ossimoro. E’, cioè, una cosa e il contrario della stessa. In sintesi, la “festa del lavoro” (scritta a caratteri minuscoli, volutamente) è il lavoro che fa festa, non va a cercare più nessuno, come un tempo. Di lavoro ce n’è sempre di meno in giro. E quello che c’è è pagato male.

Non sappiamo nemmeno cosa le manifestazioni di Roma e Taranto, con il massimo rispetto per le idee messe in campo possano realmente fare nel segnalare un tema, il lavoro, che sta a cuore a tutti: quella tarantina ha uno spessore politico, quella romana è solo un avvicendamento di musica, la diretta Rai contiene qualsiasi tentativo di messaggio, criptico o palese che possa essere.

 

 

MATTARELLA: SALARI BASSI!

Il presidente della Repubblica, Segio Mattarella, ultimo Capo dello Stato a difesa della Costituzione, ha lanciato un monito sui salari bassi: come fa una famiglia monoreddito “a campare”, a sopravvivere ad una incessante ascesa dei prezzi sui beni primari. Qui si parla di carrello, di spesa alimentare, dunque di povertà, ma le prime pagine dei giornali scrivono di dazi su auto e tecnologia. Pazzesco. Ci vergogniamo anche un po’ a ricordarle certe cose, tante volte a qualcuno venisse in mente di considerare queste poche righe come qualunquismo o populismo: parole, sostanzialmente, da sbandierare al vento, come se volessimo fare scena. Invece, entriamo subito in partita, come si dice, in argomento.

L’altro giorno il Corriere di Torino, dorso del Corriere della sera, quotidiano magistralmente diretto da dieci anni precisi (dall’1 maggio del 2015) da Luciano Fontana, ha pubblicato un’intervista di Nicolò Fagone La Zita, a Giovanni, quarantotto anni, assunto a tempo indeterminato, milleduecento euro al mese. Praticamente “lavoratore povero”.

 

 

«LAVORO DALL’ETA’ DI 15 ANNI»

«Lavoro da quando ho quindici anni – racconta al giornalista del Corsera – la mia sfortuna è quella di essere un metalmeccanico, a Torino, nel 2025». Padre separato, contratto a tempo indeterminato, Giovanni rientra nella neocategoria “lavoratori poveri”. “Non cerca impiego”, scrive Fagone La Zita, perché Giovanni è assunto. Allo stesso tempo, pur volendo, “non fa gli straordinari perché mancano le commesse, la sua speranza è quella di finire il meno possibile in cassa integrazione”. Sarebbe un dramma nel dramma.

Secondo le statistiche Istat, Giovanni, come tanti altri suoi colleghi, rientra nella categoria degli “occupati”, anche se nell’Italia degli stipendi bloccati da venti anni lavorare non sempre significa fare una vita dignitosa, come invece previsto dalla Costituzione. «Tante famiglie – ha detto nei giorni scorsi Mattarella – non reggono l’aumento del costo della vita; i salari insufficienti sono una grande questione per l’Italia».

 

 

MILLEDUECENTO EURO AL MESE!

«Oggi – spiega Giovanni – guadagno circa milleduecento euro al mese, ma tra affitto, mutuo e mantenimento del bambino se ne vanno settecentocinquanta euro: di euro ne restano appena quattrocentocinquanta, per pagare le bollette, per fare la spesa e sostenere i costi quotidiani: arrivo a malapena a metà mese: non mi rivolgo agli amici per orgoglio; l’ultima volta ho chiesto aiuto a mio padre, ottantacinque anni; vive in Sicilia, quella stessa terra  che ho lasciato affascinato da un futuro migliore».

In Sicilia, Giovanni ci tornerebbe pure, ma vuole stare accanto al figlio di undici anni e al quale non vuol far mancare nulla». Riflessione e chiusura circa l’intervista che può essere consultata interamente sul sito torino.corriere.it .«Gas, luce, beni alimentari, assicurazione, benzina: tutto è aumentato a ritmi insostenibili; non credo si tornerà indietro: mi sento abbandonato dalla politica, nessuno mi rappresenta davvero». 

Spagna, blackout da paura

«Non è un attacco da parte di qualche hacker», scongiura subito il capo del governo

Lunedì per ore un Paese fuori controllo. Tutto, per fortuna viene ripristinato in poche ore. Il primo ministro, Pedro Sánchez, apre una commissione d’inchiesta. La luce tornata al 99,9%, non è stato nemmeno un evento meteo, assicurano. La situazione va normalizzandosi, ma ci sono ancora ritardi e disagi per i voli, sulle strade e nella rete ferroviaria. A breve se ne saprà di più

 

Provate per un istante, in questo momento, a chiudere gli occhi. Buio. E pensate che la luce mancherà solo per qualche istante. Che la cosa interessa relativamente nella vostra zona e che amici, parenti, conoscenti non molto distanti da voi, non abbiano subito l’interruzione dell’erogazione elettrica. E, invece, venite a conoscenza che non è solo casa vostra, il posto di lavoro, il negozio, l’attività, quel tratto di strada nel quale in quel momento vi trovate, ad aver subito il blackout. «Questione di minuti – vi dite, qualche istante dopo vi ripetete – poi tutto torna normale, come prima: non è il caso di allarmarsi, non è la prima volta che succedono cose simili…».

Eppure succede che internet vada a pallino, lo stesso gli strumenti di comunicazione, i cellulari che dipendono anche da piattaforme digitali, i telefonini che si stanno scaricando e di lì a poco non daranno più segni di vita. Un incubo. Sembra un momento di “Die hard – Vivere o morire”, film di circa vent’anni fa. Protagonista Bruce Willis che deve risolvere un caso estremo: un hacker, leader di un gruppo di terroristi vuole mandare a farsi benedire l’intero sistema di sicurezza degli Stati Uniti. Certo, pura fantasia, ma la finzione lunedì sfiora in modo così pesante la realtà. Dalla Spagna escludono in un “amen” che non è stata opera di hacker e questo, detto fuori dai denti, fa tirare un sospiro di sollievo. Non vorremmo nemmeno pensare a una cosa simile.

 

 

CAUSE NON ANCORA CHIARE

Nel momento in cui scriviamo, ancora non sono chiare le cause che hanno provocato il blackout di ore in Spagna. Gli ospedali vanno avanti con i generatori. Le attività sportive sono a rischio, cancellati i match al Master di Madrid. Uno dei primi lanci di Ansa dall’Italia raccontano un blackout senza precedenti in Spagna. Parziale in Portogallo e per alcuni minuti a sud della Francia. L’Italia, non viene sfiorata da questo giorno infausto. Il nostro Paese non registra criticità. Una cosa è certa, nonostante non siano ancora chiare le cause, non si esclude nulla, a cominciare da un attacco hacker. Effetto domino in Spagna: bloccati treni, metro e aerei. Si blocca anche internet, corrente elettrica inesistente. Gli ospedali, si diceva, e le emergenze proseguono grazie ai generatori (ma per quante ne avrebbero ancora?).

La Spagna ci mette appena cinque secondi, dicono, per trovarsi in ginocchio. Il primo ministro, Pedro Sánchez, apre una commissione d’inchiesta. La luce è tornata al 99,9%, non è stato cyberattacco o evento meteo, assicurano. La situazione va normalizzandosi, ma ci sono ancora ritardi e disagi per i voli, sulle strade e nella rete ferroviaria.

 

 

«NESSUN ALLARMISMO, GRACIAS…»

«Chi collega l’incidente che ha provocato il blackout generalizzato ieri in Spagna alla mancanza di energia nucleare, francamente sta mentendo o dimostrando la propria ignoranza», aggiunge Sanchez nel rispondere a quanti in queste ore critiche agitano questo dibattito. «La generazione di elettricità lunedì si è sconnessa – spiega il governo spagnolo – come quella delle altre fonti di energia, per cui l’energia nucleare non è stata più resiliente: sempre lunedì cinque centrali nucleari erano già ferme per decisione degli stessi operatori, che ritengono non siano competitive con i prezzi delle energie da altre fonti rinnovabili».

«Il sistema elettrico in Spagna – ha spiegato agli organi di stampa il premier – è robusto, come sta dimostrando la ripresa tanto rapida: nessun problema di rinnovabili, nessuna relazione con la mancanza di potenza nucleare; se avessimo avuto una maggiore dipendenza nucleare, la ripresa non sarebbe stata così veloce come quella che stiamo vedendo». Ora bisognerà verificare nei dettagli quanto accaduto in quei cinque secondi prima della caduta a catena del sistema elettrico, alle 12:33 di lunedì, dopo che “Rete Elettrica”, partecipata dallo Stato spagnolo, ha escluso ieri stesso un cyber attacco, mentre l’Amet ha scartato un fenomeno meteorologico anomalo.

 

 

«TUTTO E’ BENE…»

Dopo una notte intensa, il 99,95% della domanda di energia è stato ristabilito, ripristinato del tutto il 100% delle sottostazioni della rete di trasporti. Tutto, poco per volta, torna alla normalità. Nella notte, fra lunedì e ieri, sono stati riattivati i centri di produzione di energia e l’erogazione elettrica è stata ripristinata nella quasi totalità. Ospedali, centri sanitari e farmacie hanno ripreso la normale attività, come la maggioranza dei centri educativi, supermercati e banche, tutti aperti.

L’agenzia giornalistica ha comunicato con grande puntualità quanto accaduto. Le telecomunicazioni e la fibra ottica funzionano nel 90% territorio, ha riportato. Porti e aeroporti hanno ripreso a funzionare con assoluta normalità. Lunedì notte sono stati assistiti oltre trentacinquemila passeggeri, intrappolati nei treni. Gli operatori delle infrastrutture ferroviarie hanno lavorato senza tregua per ristabilire il prima possibile tutti i servizi di collegamento. Anche l’industria ha recuperato l’attività o spera di farlo in giornata, mentre il turismo, in vista del ponte festivo dell’Uno maggio non sarà colpito da disagi provocati dal massiccio blackout. Tutto è tornato alla normalità, ma quanta paura. Evidentemente non finisce qui, tanto che a partire dalle prossime ore il primo ministro fornirà ulteriori informazioni.

Di sole e d’azzurro…

Casamassima, la Città blu della Puglia

Borgo che lascia senza parole per la sua bellezza. Aggirarcisi è come circolare sul set di un film. Qui ci hanno girato anche fiction, perfino “Zorro”. E poi, Totò, un bel giorno, in uno dei suoi classici tirò in mezzo la cittadina in provincia di Bari. Visitate la chiesa di Santa Croce, il Monastero di Santa Chiara, i portali antichi. Bella tutto l’anno, ha un fascino speciale in primavera e autunno

 

Casamassima, provincia di Bari. Un borgo magico di colore blu. Lasciatevi guidare da una, due, cento suggestioni. Ma andiamo per ordine, breve introduzione. «Trombetta, Trombetta, questo nome non mi è nuovo…». Totò, inventore di battute rimaste scolpite nella storia del cinema e in quella di tutti i giorni, era inarrestabile. Battute delle quali il pubblico se ne impossessava a piene mani così da tramandarsele per decenni. Una di queste, ai più passata inosservata, riguarda il film “La banda degli onesti”, film nel quale il Principe della risata interpreta Totò, il portiere del palazzo nel quale i tre aspiranti falsari abitano. Sfogliando la posta da imbucare nella cassetta delle lettere degli inquilini, Totò menziona proprio la cittadina pugliese: “Altobelli… Casamassima”. Renato Altobelli, proiezionista di un cinema a Bari, successivamente fotografo di Casamassima, era un grande amico di Totò, così il Principe fece un doppio omaggio: ad Altobelli e a Casamassima.

Non si può dire fosse di casa da queste parti, ma Totò in Puglia, per esempio, a Cerignola, aveva già girato “Gambe d’oro”. Turi Vasile, regista siciliano, talmente legato alla nostra regione aveva voluto successivamente girare un film anche a Taranto, “Promesse di marinaio”, con Renato Salvatori e Antonio Cifariello, due belli del cinema di allora.

 

 

CITTA’, BLU E IRRESISTIBILE

Dunque, Casamassima, città blu della Puglia. Qui ci hanno girato anche “Il segno di Zorro” (‘62), “Ricchi di fantasia” con Castellitto e la Ferilli, ma anche fiction Rai. Ma questa, come si dice, è un’altra storia. E’ un borgo dove le case sono davvero azzurre, colorate perché così ha voluto la storia tanto da averne fatto una cittadina viva sui muri e nei vicoli, tanto da sembrare un posto appena uscito da un sogno. Se ne è occupato anche l’autorevole sito “travel.thewom.it” (provate a visitarlo, informazioni senza fine…). Casamassima è la famosa Città blu: case azzurre, vicoli storici e una leggenda, questo borgo regala un’esperienza unica e autentica. Ideale per una gita slow tra colori, silenzi e tradizione, scrive la redazione del sito.

Casamassima, circa ventimila abitanti, sorge ai piedi delle Murge. Confina con Turi, Adelfia, Sammichele di Bari, Acquaviva delle Fonti, Noicattaro, Valenzano, Capurso, Cellamare e Rutigliano. Borgo antico, medievale, sviluppandosi a partire dall’Ottavo secolo attorno ad una torre normanna, poi ampliata, fino a trasformarsi in un castello.

 

 

TUTTO NASCE DA UNA LEGGENDA

Ma perché “paese azzurro”, dirà qualcuno. Ad una epidemia di peste si moltiplicarono leggende, fino a che una di queste racconta come il borgo antico diventò tutto azzurro. Il paese aveva superato il pericolo del contagio e doveva così onorare il voto che nel frattempo aveva fatto il signore di Casamassima, Michele Vaaz alla Madonna, che aveva preservato il borgo dall’epidemia mortale diffusasi in tutto il territorio. Per riconoscenza il duca Vaaz avrebbe ordinato di dipingere il caseggiato a calce viva aggiungendo il colore azzurro del manto della Madonna, oggi raffigurata sotto l’arco di via Santa Chiara.

Passeggiare per Casamassima è un’esperienza molto interessante. Oltre al centro storico dipinto di blu, ci sono chiese barocche, palazzi storici e piccole botteghe dove si respira ancora l’aria di paese. Fra i siti che travel.thewom.it segnala: la Chiesa di Santa Croce, con i suoi stucchi e decorazioni preziose; il Monastero di Santa Chiara, oggi sede culturale e spazio espositivo; i portali antichi, segni nobiliari e agricoli di una comunità legata alla terra. Casamassima, bella tutto l’anno – scrive travel.thewom.it – ha un fascino speciale in primavera e autunno, quando la luce esalta i toni del blu sulle facciate. Ogni stagione ha il suo ritmo, e il borgo è perfetto per una gita fuori porta slow. Infine, suggerimento da raccogliere senza farvelo ripetre una seconda volta: se ami la fotografia, porta con te una buona lente: il gioco di luci tra le vie strette e il contrasto tra cielo e muri blu regalano scatti incredibili.

«Il mio cuore batte per Baggio»

Bottio, cardiochirurgo, l’uomo dei record

Padovano, tifoso del Lanerossi, innamorato del Divin codino, esercita al Policlinico di Bari. «Per raggiungere un primato occorre essere una squadra, ognuno deve fare il suo». Affascinato dalla Puglia, bellezza, tavola, vini. «Prima i pazienti prenotavano al Nord, oggi operiamo più di quanto non facciano “su”: tre trapianti in un solo giorno, il nostro primato»

 

La notizia risale all’inizio dell’anno. A riprenderla è l’agenzia Ansa. Fa il paio con quella di un paio di anni fa. La prima riguarda tre trapianti di cuore in 24 ore. Eseguiti al Policlinico di bari, secondo quanto comunica la struttura sanitaria in una nota, evidenziando che «la maratona per la vita è partita la sera di giovedì 23 gennaio dall’ospedale universitario barese e si è conclusa poco dopo mezzanotte del giorno successivo. Gestisce gli interventi l’equipe cardiochirurgica dell’unità operativa guidata dal professor Tomaso Bottio, che si è occupata tanto delle operazioni di prelievo a Bari, Torino e Milano, quanto dei trapianti di cuore nel blocco operatorio di Asclepios.

«Condurre a termine tre trapianti di cuore in un arco di tempo così breve – aveva spiegato Bottio – è il risultato di un grande lavoro di squadra; deve esserci una perfetta sinergia tra cardiochirurghi, anestesisti, perfusionisti, infermieri e operatori di sala; solo questo ha reso possibile arrivare alla fine di questa maratona». Orgoglioso il direttore generale Antonio Sanguedolce. «Il Policlinico di Bari si conferma un centro di riferimento nazionale per la cardiochirurgia e i trapianti di cuore».

 

 

PIU’ MERIDIONALISTA DI TUTTI

Bottio, padovano, da quattro anni trasferito al Sud per dirigere l’Unità di cardiochirurgia del policlinico barese, confessa: «Sono diventato più meridionalista di tutti». Premessa plausibile, prima di spiegare come sia possibile raggiungere risultati così alti, nonostante al Sud il numero dei donatori sia molto basso. “Tanto per chiarire – scriveva un paio di anni fa il quotidiano l’Avvenire – la Lombardia ha 350 donatori l’anno, ma fa meno trapianti della Puglia con un centro solo”. «Se c’è la disponibilità degli operatori ad andare a prendere l’organo – aveva dichiarato allo stesso giornale Bottio – ovunque si trovi, si possono raggiungere questi risultati; su cinquantacinque trapianti, ventitré appartengono a donatori del Nord, sedici fuori dalla Puglia e tre dall’estero: ciò vuol dire che quest’anno abbiamo preso un aereo quarantadue volte». Bottio spiega che il percorso per arrivare alla sala operatoria e salvare la vita a un paziente non è affatto semplice.

«Per definire un organo idoneo – dice – vengono eseguiti diversi esami sulla funzionalità, la presenza di infezioni virali e batteriche e stabilire così il livello di rischio; poi l’organo viene accettato anche relativamente alle condizioni del proprio ricevente: se si ha un paziente di settant’anni va bene un organo di un donatore coetaneo, ma se il ricevente ne ha 36 posso accettare un organo di un settantenne solo se il mio paziente rischia di morire nelle successive ventiquattro ore». In questi casi, velocità e disponibilità segnano la differenza tra la vita e la morte. Come spesso accadeva in passato, era il Nord la meta di quanti necessitavano un trapianto. Oggi, ma diciamo anche da qualche anno, il numero di preferenze si è capovolto. «In passato la maggior parte degli utenti del Sud preferiva farsi inserire in lista per trapianto di organo nei centri del Nord che avevano un più alto volume di trapianto del cuore; ora riusciamo a trapiantare molto rapidamente gli utenti che mettiamo in lista ogni anno».

 

 

SUD, CHE PASSIONE

Il suo percorso di chirurgo lo ha spiegato nei giorni scorsi a Gianni Messa, giornalista di Repubblica in un ampio servizio per l’edizione di Bari. «Arrivo da associato nel gennaio del 2022, poi nell’estate del 2023 Milano va in pensione e io divento il facente funzione fino a un nuovo concorso, nel 2024, e la nomina a professore ordinario». Una compagna da 15 anni. E una bimba di sei. «Vivono a Padova: Jonida medico a Venezia; faccio il pendolare una volta al mese, anche se mi sono ripromesso di salire più spesso perché meritano entrambe la giusta attenzione».

Benvenuto al Sud. «Conoscevo la Puglia dai libri di storia dell’arte e dal vivo il Salento, ma non ero mai stato a Bari. Il primo impatto l’ho avuto con lo stadio San Nicola, l’astronave di Renzo Piano: una bella sorpresa». Gli chiedono della sua passione calcistica. «La stessa di quando ero un giovane ultrà: il Lanerossi Vicenza, quello del grandissimo Roberto Baggio». Ancora Puglia. «Ho scoperto paesi bellissimi – conclude Bottio – a cominciare da Sammichele di Bari con il suo centro storico, e piatti incredibilmente buoni, due vini su tutti: la verdeca fra i bianchi e il primitivo fra i rossi; poi c’è la signora che mi assiste per le pulizie che ogni tanto mi porta i suoi fagioli, i ceci o riso patate e cozze». Un classico.

Addio Francesco, papa degli ultimi

Lunedì mattina la scomparsa del pontefice

«Dio è con i migranti», sosteneva Sua Santità. «Il Signore è con loro, non con quelli che li respingono: lui stesso attraversa il mare e il deserto; non rimane a distanza, ne condivide il dramma ed è lì con loro, soffre con loro, piange e spera con loro»

 

Addio Francesco, papa degli ultimi. Il pontefice è morto lunedì mattina, a causa di un collasso cardiocircolatorio. “Il campione di tutti”, “Tanto Padre”, “Campione del mondo”. Tre titoli, ad effetto, da tre quotidiani sportivi. L’addio del papa balza agli occhi di tutti noi, per la sua popolarità, non solo da tifoso di calcio, ma perché amava “allenarsi” con il calcio che considerava metafora universale.

Ci piace partire da una rubrica di ieri, in “prima”, a cura del giornalista-scrittore Luigi Garlando, che ricorda la storica intervista rilasciata dal Pontefice alla Gazzetta dello sport nel 2021. «La Chiesa perde la guida – scriveva ieri Garlando – la Storia un gigante di umanità che, con scomoda intransigenza evangelica, è stato vero Francesco: Papa degli ultimi». Trascendente, ma anche fisico. «Se insulti mia mamma, ti do un pugno». Legato alla terra dal sangue contadino degli avi piemontesi; vicino al popolo e alle sue passioni, tipo lo sport, non oppio, ma palestra di spiritualità.

 

 

DIO E’ CON I MIGRANTI

In più occasioni, papa Francesco aveva detto: «Dio è con i migranti, respingerli è peccato grave». Era tornato su un tema che gli stava particolarmente a cuore in più occasioni, chiedendo giustizia per loro, facendo il possibile per unire gli sforzi contro i trafficanti di esseri umani. «Per accompagnare il popolo nel cammino della libertà – aveva detto papa Francesco – Dio stesso attraversa il mare e il deserto; non rimane a distanza, no, condivide il dramma dei migranti, è lì con loro, soffre con loro, piange e spera con loro: il Signore è con i migranti, non con quelli che li respingono».

Il Pontefice aveva aggiunto, non senza sdegno, che c’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti. E questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave. «Il mare nostrum – aveva aggiunto – luogo di comunicazione fra popoli e civiltà, è diventato un cimitero, e la tragedia è che molti, la maggior parte di questi morti, potevano essere salvati; non dimentichiamo ciò che dice la Bibbia: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai”».

 

 

«L’ITALIA HA BISOGNO DI LORO»

«In quei mari e in quei deserti mortali, i migranti di oggi non dovrebbero esserci, e ce ne sono purtroppo», aveva ricordato Francesco. «Ma non è attraverso leggi più restrittive, non è con la militarizzazione delle frontiere, non è con i respingimenti che otterremo questo risultato». Il papa aveva esortato a trovare una soluzione, per esempio, «provando ad ampliare le vie di accesso sicure e regolari per i migranti, facilitando il rifugio per chi scappa da guerre, violenze, persecuzioni e da tante calamità; lo otterremo favorendo in ogni modo una governance globale delle migrazioni fondata sulla giustizia, sulla fratellanza e sulla solidarietà». «E – aveva aggiunto – unendo le forze per combattere la tratta di esseri umani, per fermare i criminali trafficanti che senza pietà sfruttano la miseria altrui».

Figlio di migranti italiani emigrati in Argentina, papa Francesco aveva definito i migranti come “maestri di speranza”, ricordando l’esperienza migratoria della propria famiglia e il valore della speranza e della tenacia che accomuna i migranti di tutte le epoche. «A casa abbiamo sempre vissuto quel senso di andare lì per fare l’America, per progredire», aveva detto Sua Santità. Un’esperienza che considerava universale. «Ogni migrante parte sperando di trovare altrove il pane quotidiano», come affermava San Giovanni Battista Scalabrini, il patrono dei migranti.