Una storia, due testimoni
«E’ tornata la guerra», ha pensato Ismail, libanese in Italia con la famiglia. «Dopo l’esplosione mi sono accorto che avevo sangue a una mano, niente di grave», dice Roberto, militare pugliese. «A casa mia stanno tutti bene, purtroppo un collega di mio fratello ci ha rimesso la vita: era rimasto al porto per fare straordinario», aggiunge il primo. «Soccorsi tempestivi, un sospiro di sollievo misto a orgoglio: vedere arrivare la colonna del contingente italiano Unifil», racconta l’italiano.
Oltre 140 morti, più di 5.000 feriti, 300mila circa gli sfollati, centinaia i dispersi. Sono i numeri preoccupanti che vedono il Libano lottare contro macerie e disperazione. La paura è un bagaglio a mano. «Niente da fare, quando qualcuno ti dice che nel tuo Paese c’è stata una forte esplosione, il primo pensiero corre a un attentato, che poi è l’anticipazione di una nuova guerra». La tragedia di Beirut, dove due esplosioni hanno demolito la capitale del Libano, uccidendo centinaia di persone e ferendone migliaia, come si diceva, viaggia come sempre sul filo della paura.
«E’ tornata la guerra – il primo pensiero di Ismail, cittadino libanese, in Italia insieme con la famiglia – non se ne esce più: è il nostro destino, ovunque andiamo, ci portiamo questo scomodo bagaglio che non molliamo un istante, personalmente da quando ero piccolo: la paura».
In Libano, familiari e amici. «E’ stato un parente ad inviarmi un video con le due esplosioni – racconta – immagini impressionanti, la prima sensazione che avverti è di una città letteralmente rasa al suolo e che nessuno si sia salvato: poi preghi, speri, che i danni siano contenuti; le immagini raccontano di qualcosa che non esiste più, i bollettini rispetto a quanto vedi sarebbero più incoraggianti: si parla di decine di morti e centinaia di feriti; purtroppo non è così, le note che sentiamo e le immagini che osserviamo successivamente nei notiziari italiani e stranieri che intercettiamo qui in Italia, diventano impietosi con il passare delle ore: i morti sono diventati centinaia, i feriti migliaia, incalcolabile il numero dei dispersi, almeno trecentomila gli sfollati».
ATTENTATO O DISGRAZIA…
L’asticella di sangue si alza. E non è ancora dato sapere se si sia trattato di un attentato o una disgrazia dovuta alla negligenza di chi ha sottovalutato l’enorme pericolo rappresentato da 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio sequestrate anni fa e stipate “temporaneamente” negli hangar del porto. Come convivere con una bomba ad orologeria.
«In tutto quel caos, con le notizie che si inseguono per ore – riprende il racconto drammatico del quarantenne libanese – mi è giunta una foto di casa mia, distante dal porto diversi chilometri: l’onda d’urto non l’ha risparmiata, sono andati in frantumi i vetri delle finestre, ma l’appartamento fortunatamente non ha subito altri danni».
Una notizia buona, una cattiva, che gonfia il cuore di dolore. «Un collega di mio fratello ci ha rimesso la vita: lavorava nel porto di Beirut, cuore del disastro, per un fatale scherzo del destino non è più con noi: l’orario di lavoro prevede l’uscita alle cinque, dunque insieme – come tutti i giorni – avrebbero avuto il tempo necessario per allontanarsi e raggiungere casa; sullo sfortunato collega di mio fratello, causa uno straordinario, si è abbattuta la sciagura: hanno rinvenuto il cadavere del poveretto fra le macerie!».
Il Libano è già assalito da una grave crisi economico-sociale a causa di una storia fatta di massacri. «Non si hanno notizie certe – riflette Ismail – ma ho una paura tremenda, che sotto non ci sia stata solo una grave leggerezza nel sottovalutare il pericolo delle centinaia di tonnellate di nitrato d’ammonio, ma un attentato».
Ismail dà l’interpretazione che hanno dato tutti, subito. Come fosse Hiroshima. «Quando ho visto le prime immagini ho pensato a una bomba atomica, l’esplosione di un “fungo”: mai vista una cosa simile prima di quel momento. Nato quarant’anni fa – aggiunge – guerre ne ho già viste, purtroppo: la mia preoccupazione e il mio pensiero vanno al mio Paese, che vive una crisi economica: dove troveranno i soldi per garantire la ripresa? Dove sono gli ospedali e i presìdi sanitari per garantire alle decine di migliaia di feriti un’assistenza? Tutto in frantumi, in pochi istanti!».
SOCCORSI ITALIANI TEMPESTIVI
«Un boato fortissimo, difficile da spiegare, il resto è accaduto in fretta; subito dopo l’esplosione, c’è stato un attimo si smarrimento perché l’evento era del tutto imprevisto, fortunatamente stiamo tutti bene: purtroppo non si può dire lo stesso di migliaia di persone, fra morti e feriti». E’ la dichiarazione a caldo di Roberto, militare pugliese, familiari a Bitonto. Pare abbia riportato ferite lievi. Un braccio fasciato, racconta. «Qualche istante dopo l’esplosione mi sono accorto che avevo sangue a una mano, niente di preoccupante; quanto preoccupa, invece, è la situazione della popolazione libanese; noi, in qualche modo, l’abbiamo vissuta, ma siamo stati davvero fortunati, mentre tante altre persone non ce l’hanno fatta».
Era una normale giornata di lavoro, Roberto, caporalmaggiore, e i colleghi operavano nella massima serenità. «Purtroppo è arrivata questa esplosione, inaspettata e improvvisa – riprende – siamo stati fortunati, ma siamo stati anche bravi nel restare uniti e lucidi nell’affrontare l’accaduto». Nessuno si aspettava che dopo quella cortina di fumo, sarebbero seguite due forti esplosioni che avrebbero raso al suolo la città.
«Soccorsi tempestivi, rispetto all’impraticabilità delle strade, poi, da italiano, un sospiro di sollievo misto a orgoglio: vedere arrivare la colonna del contingente italiano Unifil che prestava soccorso alle vittime e assistere all’alba una volta rientrati alla base, momento che ha segnato l’inizio di un nuovo giorno». Con la speranza che sia anche l’alba di una rinascita.