Faisal, italiano di origine pakistana, fede musulmana e persecuzioni

«Qualcuno confonde l’Islam con l’Isis. Una continuazione, miei compagni di classe ad accogliermi intonando canzoni a sfottò. Professori diplomatici, non volevano mettersi in contrasto con i genitori dei più perfidi. I miei migliori amici: tutti italiani, ma in qualsiasi parte del mondo c’è sempre una mamma che sta mettendo al mondo dei cretini…»

 

«C’è un razzismo che continua a ferire più di altre forme di discriminazione; e accade nonostante la sospensione delle lezioni, a causa del covid, fatte fino a pochi giorni fa via internet: il colore della pelle c’entra, qualche mio compagno con cui ho un buon rapporto, mi racconta di altri compagni di classe che, però, non riescono proprio a mandare giù il fatto che con loro studi un ragazzo di fede islamica: messaggi con il cellulare, social e mail lo testimoniano…».

Faisal, diciassette anni, origine pakistana, nel nome un significato importante (“uno che ha forza”), è italiano. Lo manifesta con orgoglio, come fa con la sua religione, quella musulmana, che pratica per conto suo, di sicuro non quando è fra i banchi di scuola, se non altro per non dare ulteriori spunti ai soliti quattro bulli presenti in classe. E’ un atteggiamento esageratamente prudente, il suo. Non lo condividiamo, ma chi può sapere a cosa questo ragazzo italiano di origini pakistane di diciassette anni è stato sottoposto quotidianamente? Per farla breve: una cosa è consigliare, un’altra è vivere a contatto con coetanei che ti hanno eletto vittima preferita. «Essere cittadino italiano – dice Faisal – non mi ha messo al riparo da sfottò e ingiurie, anche pesanti: per questi quattro compagni di classe, io sono un musulmano, equazione è molto semplice: Islam uguale Isis; lo avranno spiegato, male, i loro genitori, tanto che gli stessi compagni che mi danno contro si sono sentiti autorizzati dai ragionamenti dei loro parenti a farmi battute, spesso insopportabili: meglio sorvolare, la mia è una religione di pace e non di guerra».

 

LUOGHI COMUNI…

Proviamo ad entrare in questi luoghi comuni. «Quando arrivavo a scuola, dunque prima di entrare in classe, c’era qualcuno che cantava una canzoncina che non conoscevo: “Arriva la bomba, che scoppia e rimbomba…”; una cosa di cattivo gusto, mi sono documentato, era tutt’altro che una canzone sovversiva, ma per loro quella frase era la sintesi di una presa in giro, magari suggerita da qualcuno molto più grande di loro; ritornello di solito accompagnato da frasi come “Se devi proprio farti esplodere, fallo lontano da scuola!”, e giù risate, per me dolorose. Non tutti, per fortuna, ridevano, ma non volevano mettersi contro questi ragazzi che studiavano poco e in compenso davano tanto fastidio, in classe, nei corridoi, all’ingresso della scuola: sciocchi si nasce…».

Faisal, i professori. «Li capisco, ma non condivido: loro sono educatori, hanno studiato, hanno un livello culturale superiore alla media, ma in questi tre anni di lezioni non hanno mai ripresi questi discoli a dovere; non che volessi li sospendessero o facessero loro una paternale, ma nemmeno intervenire con un blando “Ragazzi, fate i bravi!”, “Volete smetterla?”, “Basta!”». Come consideravi il loro intervento, allora. «Un modo elegante per non entrare in conflitto con quello che può sembrare una cosa più grande di noi: razzismo e conflitto religioso; non sono nessuno per indicare una soluzione, sia chiaro, ma io una lezione nell’arco di un intero anno, a scuola, l’avrei fatta, alla presenza del dirigente scolastico e di tutti i genitori; senza colpevolizzare, ma spiegando razzismo e fede religiosa, invitando magari un teologo, un parroco che spesso mi ha spiegato e insegnato le tante similitudini esistenti fra cattolicesimo e religione islamica».

 

…E QUALCHE PATERNALE

Qualche professore sarà intervenuto più di altri, almeno. «Fra gli altri, uno solo, ha fatto un ragionamento paternale, che non fa una grinza, ma che non ha avuto grande successo se poi quei miei compagni ineducati hanno continuato a bersagliarmi come se niente fosse: ragazzi – ha detto l’insegnante – dovete stare insieme a lungo, vivere nel massimo  rispetto, la fede religiosa è una cosa seria, non è come quella calcistica; offendere i colori di una squadra è una sciocchezza enorme, farlo con la religione e un altro Dio, è un fatto gravissimo: si offende un credo, una preghiera, una tradizione, un popolo millenario. E il giorno dopo: “Arriva la bomba, che scoppia e rimbomba…”. Non so chi lo dicesse: la mamma dei cretini è sempre incinta…».

Italiano, orgoglioso di esserlo. «Ho tutti amici italiani – dice Faisal – e guai chi me li tocca, fortuna non sono tutti come quei due, tre compagni di classe, che però con il passare del tempo sono stati isolati: non so neppure se ne siano accorti; non dovrei dirlo, perché bisognerebbe essere sempre tolleranti, ma questo è un aspetto che oggi mi interessa relativamente. Sì, orgoglioso di essere italiano, ho visto i miei genitori felici per questa mia posizione anagrafica. Quando non hai la cittadinanza del Paese in cui sei ospite, italiana nel mio caso, può anche scapparti di infischiartene: quando, invece, sul tuo documento d’identità risulta che sei “cittadino italiano” a tutti gli effetti, allora la storia cambia, nella testa non scatta più quella molla del “chi se ne importa”, tutt’altro: lo dicono le carte, la lingua che parlo, la storia, l’educazione civica che ho studiato e mi ha insegnato il massimo rispetto per chiunque, di qualsiasi nazionalità, colore politico e fede religiosa sia…».