Fosse un sondaggio, non ci sarebbe partita, visto l’argomento. I ragazzi extracomunitari che frequentano il Centro di accoglienza straordinaria (CAS) “Cavallotti”, non hanno dubbi su sport, squadra e calciatore preferito. Praticamente un plebiscito: calcio, Juventus, Paulo Dybala.

Qualcuno manifesta la propria fede sportiva addirittura indossando una maglia bianconera. Che abbia sul petto un vecchio sponsor poco importa, le strisce verticali sono inequivocabili. Altri l’accostamento low cost se lo fanno in casa: giubbottino nero, t-shirt bianca.

C’è chi segue il basket, indossa un cappellino con su “NY”. «L’ho comprato a Auchan – dice un ragazzo del Gambia – sedici euro; mi piace il basket…». Attimo di pausa, cambia subito registro. Mima una giocata che con la pallacanestro ha poco in comune. Quasi sferrasse un calcio a un pallone che non c’è. «Ma il football – parla inglese il tifoso che tradisce subito la sua preferenza sportiva – mi coinvolge tanto; anche io, come miei connazionali e amici tifo Juventus, dal giorno in cui ho messo piede in Italia; prima una certa simpatia per il bianconero, poi il tifo, fino a raccoglierci insieme ad ogni partita della squadra davanti alla tv per assistere al campionato: ci piaceva la squadra che giocava meglio delle altre, faceva sempre gol e aveva un giocatore fortissimo: Paulo Dybala».

IMG-20171008-WA0075E se non fosse stato sufficientemente chiaro, chiede a gesti penna e taccuino per scriverlo di getto. Caratteri rigorosamente stampatello: “Paulo Dybala”. Era chiaro anche prima, ma le cose meglio metterle per iscritto, non si sa mai. La cosa diverte. Ma era per mostrare che l’ammirazione sconfinata per l’attaccante argentino non era occasionale.

Domenica il campionato, mercoledì la Champion’s si ritrovano tutti insieme. Vedono le partite della Juventus e del loro beniamino. In serie A, dicono, non ci sia storia. «Quando ero a casa – conferma un nigeriano – nel villaggio in cui abitavo capitava di seguire partite di calcio inglese, spagnolo e italiano: non c’era campionato più entusiasmante, però, di quello vostro; che ora sentiamo anche nostro». Vostro, nostro. Usa gli aggettivi con discrezione, quasi impegnasse per qualche istante il bilancino del farmacista. Come fosse chissà quale forma di appropriazione indebita. Qualsiasi cosa dia gioia, invece, appartiene a tutti, indistintamente. Una esultanza non ha maglia, né colori. «La Juventus – riprende – le vinceva tutte, faceva tanti gol in ogni partita: una volta arrivato in Italia, quella che era simpatia è diventata una passione; così oggi tifo bianconero e Dybala, un giocatore immenso». L’ultimo concetto lo sostanzia con un po’ di fantasia: disegna nel vuoto un cerchio immaginario. Lo scopo è il voler esprimere la grandezza applicata alla tecnica calcistica dell’argentino. Come il suo amico ospite del CAS di via Cavallotti a Taranto, ha reso perfettamente l’idea.

Milan, Inter e Napoli. Un tempo si sarebbe detto «percentuali bulgare». Insomma, non richiamano identica passione. Anzi, per dirla con il sondaggio estemporaneo, sarebbero “non pervenute”. Non sono più i tempi di Van Basten, Ronaldo e Maradona, comprensibile tifare per i più bravi di oggi.

«Una volta a settimana ci incontriamo – dice un ivoriano – e vediamo insieme le partite: è raro che la Juventus perda, così siamo tutti più contenti, è la più forte di tutte». A uno di loro scappano insieme battuta, pacca amichevole e slogan di un carosello televisivo: «Ti piace vincere facile!». L’espressione accompagnata da un largo sorriso, mostra un momento di gioia e una riflessione. «Forse è proprio così – si fa serio uno degli juventini più convinti – siamo talmente stanchi di soffrire per molti altri motivi che non ci va di fabbricarci delusioni proprio con il calcio, che poi è un gioco e dura giusto il tempo di una partita a settimana».