Scomparso dieci anni fa, sbuca un delizioso inedito
Merito dei figli Alessandro e Sara, che concedono la “prima assoluta” al “Maradona”, una volta San Paolo. Un’emozione per cinquantamila spettatori. Non si contano gli applausi. Lo stesso gli aneddoti legati alla sua lunga storia. Grande musica, grandi emozioni, tanta educazione e tanto rispetto. Napoli Centrale, Massimo Troisi, Tullio De Piscopo, un concerto a Maricentro poi programmato per “Mister Fantasy”, trasmissione-cult di Raiuno
«Camminerai ed io sarò davanti al tuo respiro, insieme». E’ l’inizio di “Again”, brano inedito di Pino Daniele. E’ una domenica di calcio, a Napoli, così si suggella il fortissimo legame tra Pino Daniele e il San Paolo, come si chiamava lo stadio di Napoli ai tempi del grande cantautore scomparso dieci anni fa.
Questo brano, “Again”, ritrovato già cantato e mixato da Pino Daniele e dai figli Alessandro e Sara, è stato programmato dall’impianto audio dello stadio dove Pino si esibì in concerto per regalare una nuova emozione ai cinquantamila tifosi napoletani che sono lì per assistere a una partita casalinga della squadra allenata da Antonio Conte. La squadra azzurra gli farà onore.
Quando si parla di Pino, non è un caso che a quanti lo hanno amato tornano in mente episodi, aneddoti. La sua storia passa dalla Puglia, ma anche da queste parti, da Taranto. La sua è una storia che comincia presto, nessuno sa dove la sua passione per la musica e la chitarra potranno condurlo. Intanto macina chilometri, poi si vedrà.
GLI INIZI…
Va su è giù per l’Italia. Nonostante le sue prime canzoni siano scritte e cantate in napoletano. Pino, fin da giovane ama spettinare i giochi, ha scelto il dialetto per dire da che parte lui sta. Evidenti le tracce di Napoli Centrale, esperienza che più di altre, parole sue, lo formerà come artista. Quarantasette anni fa, le prime sue cose, i suoi primi dischi. “Terra mia”, il primo album, poi i concerti. Primo incontro con l’artista di “Je so’ pazzo” all’Hotel Imperiale, in via Pitagora a Taranto. Alle spalle le già popolari “Napule è” e “’Na tazzulella e’ cafè”. Gli tocca la Villa Peripato, concerto all’interno della Festa dell’Unità. Quel piccolo albergo di fronte alla location che lo ospiterà un paio di ore dopo, è l’ideale.
«Era sotto la doccia, scende subito», dice il portiere. Niente telefono in camera, solo il citofono. Pochi istanti dopo, arriva Pino, capelli ancora bagnati. Addosso un accappatoio amaranto, in una mano un asciugamano dello stesso colore. Lo sfrega forte sulla sua chioma, ancora nera, ancora bagnata.
«Scusate se sto ancora così, sono arrivato tardi, fra poco faccio le prove, devo recuperare tempo…». Gentile, mette una sottile fretta. Appunti stesi su un foglietto. Sono le domande da porgli, troppe, superiori al numero sindacale. La curiosità di accendere il primo riflettore sul carattere e la musica di questo giovane artista è tanta. Sorride Pino, ciondola il capo, accelera mano e asciugamano sui capelli, come se con quel gesto volesse accelerare. «Tutte quelle domande? Azz, e quando ci sbrighiamo? Jamme, va…». Prima cominciamo, prima finiamo.
SILENZIO, PARLA PINO…
Tutto sta nello spaccare subito i giochi. Parte il “Nagra”. «La mia esperienza più bella, quella con Napoli Centrale; conoscere Mario Musella e suonare con James Senese è stata proprio ‘na bella storia; poi, ma non lo dico perché sto in Puglia, mi piacciono le canzoni di Matteo Salvatore, trovo affascinante il suo mondo».
Estate ’82, sceglie la Puglia, Taranto, Maricentro. Ha già suonato e suonerà ancora in città: Villa Peripato, già detto, poi Mazzola, Iacovone, Circolo Ilva, Tursport e Ippodromo Paolo VI. Nel casermone di Maricentro registra il concerto “Bella ‘mbriana”. E’ uno special per Mister Fantasy, trasmissione-culto di Raiuno. Carlo Massarini, Luzzatto Fegiz e così via. Con lui, cappellone larghe falde e sax, c’è anche Gato Barbieri. Altro regalo all’artista napoletano nel frattempo diventato immenso. Nel pomeriggio, Pino confessa la sua fuìtina da Napoli. «Amo la mia città, i quartieri spagnoli che hanno ispirato le mie prime canzoni, ma non posso più viverci: ti cercano, ti acchiappano, ti fermano, ti invitano, ci restano male se non vai a una festa: così rischi di diventare l’icona di te stesso, non potevo più lavorare; così, non senza dispiacere, ho scelto Roma, una dimensione diversa: lì di cantanti e attori ne vedono a decine ogni giorno; sei solo la figurina di un album: esco con mia moglie, i figli, nun te caca nisciuno…».
«SI STA ESERCITANDO»
Quando lo incontri, che sia Lecce, piuttosto che Brindisi o Bari, la storia è sempre la stessa. «Si sta esercitando alla chitarra», anticipa uno dei suoi collaboratori. «Un po’ di pazienza, ma non appena finisce di suonare, può bussare…». Toc toc, «Chi è?». Amici. «Avanti! Scusate, mi stavo allenando in un passaggio…». Si scusa, Pino, un insegnamento per gli artisti piccoli piccoli, educazione e rispetto non si comprano. Si allenava almeno dal ’77, da quando lo incontrammo la prima volta. «Non mi accontento di essere l’unico a poter cantare le mie canzoni, voglio diventare un grande chitarrista, comunque affinare una tecnica che penso sia già a buon punto», confessò. Un perfezionista, un metodico. E un buono. Scrisse con Fabio Concato, “Canzone per Laura”. Al collega regalò una delle sue chitarre più preziose. In un altro momento, ce lo confessò lo stesso autore di “Domenica bestiale”. «Gli dissi “Ti piace? Che aspetti, pigliatélla, prenditela, se no ci ripenso”».Aveva un cuore grande così, Pino. Talmente grande da giocargli brutti scherzi. Per il suo amico Massimo Troisi non aveva solo scritto “Quando” e “Qualcosa arriverà” per farne colonne sonore di film di successo. Condivise “O’ ssaje comme fa’ ‘o core”. In quest’ultima canzone, Pino suona e canta, Troisi recita. «Con Massimo ci unisce il cuore, siamo due generosi, ma ogni tanto questo muscolo, piccolo come un pugno chiuso ci fa piglia’ paura». L’attore accusa spesso problemi cardiaci, Pino ha appena subito una delicata operazione, proprio nello stesso ospedale in cui era già stato operato Troisi. «Per un po’ devo limitarmi a fare dischi», ci raccontò Pino. Chiamava ancora così ostinandosi gli album che da tempo erano diventati cd. L’operazione gli aveva abbassato il volume della voce. «Concerti non ne posso fare, in questo momento devo stare a riposo, posso limitarmi ad entrare in studio: dalle corde della chitarra sono passato ad esercitare le corde vocali, devo tornare a lavorare sulla voce, applicarmi con pazienza per ottenere il massimo con il minimo sforzo».
PINO, IL RITORNO
Tornò ai concerti, partendo da un’atmosfera acustica, lanciato in un unpluggedromano firmato dalla sua nuova casa discografica, la CGD. Aveva da poco lasciato la Emi. C’era qualcosa che lo contrariava. «Non condivido le compilation, artifici di discografici che non rispettano il tuo lavoro: pubblicano raccolte che non hanno capo né coda, come “il meglio di…”: ma chi lo dice che quello sia il meglio, poi le raccolte d’amore, non mi ci far pensare che è meglio…».
A proposito d’amore, un’altra volta con Pino. Con lui il figlio Alessandro. Gli faceva da personal manager. “Ale”, discreto, educato all’inverosimile, niente a che fare con altri figli d’arte. «Sono un cantautore», giustificò Pino, «quando stavo a Napoli raccontavo vicoli, disagio, storie e personaggi, ora che sono innamorato scrivo canzoni d’amore». Un’astuzia, un colpo di tacco, Pino. «…Beh, quello me l’ha insegnato Maradona, un fuoriclasse!», sorrise quella volta. Certo, Diego, ma anche Pino, in quanto a classe, ne aveva da vendere.
«RICOMINCIO DA TRENTA»
Infine, “Ricomincio da trenta”, un triplo album dedicato fin dal titolo al suo amico Massimo Troisi. Perché, diceva, «Come fai a dimenticare Massimo, uno con un cuore grande accussì!». Un omaggio anche alla sua storia, ai musicisti che avevano suonato con lui in “Vai mo”, album spartiacque fra quello che Pino era stato e quello che sarebbe diventato: Tullio De Piscopo, James Senese, Tony Esposito, Rino Zurzolo e Joe Amoruso.
Tutta n’ata storia, invece, il concerto in piazza Plebiscito. Ancora con il supergruppo. Manifesto pronto, tutti i nomi confermati. Fra questi, Tullio De Piscopo. Uno degli organizzatori vuole sincerarsi sulla presenza del batterista, De Piscopo assicura. «Sono in ospedale a Milano, faccio un’operazione alla cistifellea e torno!». Pino non se la beve, Tullio, compagno di concerti e dischi, non avrebbe mai fatto ricorso a una simile giustificazione: un intervento alla cistifellea è una passeggiata di salute rispetto a quello che in realtà ha il batterista: un tumore. Pino, che ha fiuto, si mette in treno e va a Milano. Parla con il primario, la sua testa sbuca in corsia, si rivolge a Tullio. «’O sapevo, che nun era ‘a cistifellea! Ti puoi mettere nel taschino mille artisti, ma no Pinuccio tuo: ti conosco troppo bene!». Infine. «Rimettiti subito, senza di te non faccio niente: un leone come te piglia a pàcchere ‘sta malattia, torna presto a casa». Intervento delicato, perfettamente riuscito. E Tullio: «Grazie a Pino, al suo incoraggiamento, ho ritrovato la forza e riabbracciato la mia famiglia, i miei nipoti!».