Enzo Garinei, scomparso a novantasei anni, una vita dedicata al “tavolaccio”

«Amo questa terra, gli occhi delle donne del Sud», ci aveva confessato anni fa in una lunga intervista rilasciata a “Costruiamo” dal grande attore romano, una statura umana straordinaria. «Palcoscenico, cinema e tv: Pietro, mio fratello, e Sandro Giovannini, star del “Sistina” e delle commedie musicali. Gino Bramieri, un grande. Totò e le due anime, attore e principe». Non aveva paura dell’età. «Vivo alla giornata, penso a Peppino, Fabrizi, Taranto, Modugno e Manfredi che “lassù” stanno allestendo lo spettacolo più bello del mondo».

Claudio Frascella

E’ scomparso Enzo Garinei, uno dei volti più noti dello spettacolo. Aveva novantasei anni, mi piace immaginare che non ne avvertisse il peso. L’ultima volta che lo avevo sentito, due anni fa, mi aveva dato questa impressione. Benedico la tecnologia moderna. Quando mi permettevo di indirizzargli un augurio, come nel caso della sua ultima grande interpretazione, la voce di Dio fuori campo in “Aggiungi un posto a tavola”, spesso inconsapevolmente mi richiamava. Questione di tastini, che non finirò mai di ringraziare. Sentire la sua voce, soprattutto il suo tono era musica per chiunque amasse lo spettacolo. «Mi scusi, mi è scappata la telefonata: giacché ci sono, glielo dico a voce: grazie, grazie, grazie, tre volte grazie per i suoi messaggi di stima, mi riempiono il cuore di gioia». Quell’inatteso colloquio aveva avuto il potere di illuminarmi la giornata, e si scusava anche, pensavo. Un inimitabile gentleman sul palco e nella vita. L’ultimo incontro risale a un po’ di anni fa. Lo avevo conosciuto nel foyer dell’Orfeo, durante una conferenza stampa. Nell’occasione lo avevo invitato a raggiungermi a Publiradio, l’emittente che dirigevo, per parlare in diretta di qualsiasi cosa avesse fatto. Raggiunse il piazzale Bestat in taxi. Diciannovesimo piano, fu accolto dai sorrisi di Paolo D’Andria e Gisberto Nicoletti, radiofonici di lungo corso. Questo, per dire, che la sua infinita attività aveva avuto il potere di affascinare generazioni.

SIGNORI SI NASCE…

Novantasei anni e non sentirli, mi piace ancora immaginare. Settanta e più spesi sulle tavole dei palcoscenici italiani. Tra un impegno e l’altro: il cinema, i film con Totò, poi Sordi, Celentano, Pozzetto, Tomas Milian, Bud Spencer e Terence Hill; la rivista e le commedie brillanti; la tv con Bramieri e Vianello. Spalla ideale, generoso comprimario, fratello di Pietro, della Premiata ditta “Garinei e Giovannini”, come dire la commedia musicale italiana (Rinaldo in campo, Rugantino, Aggiungi un posto a tavola). Enzo Garinei era uno che amava il teatro e questo angolo d’Italia.

«Il teatro è galantuomo», attaccò l’ultima volta che ci sentimmo per sbaglio, parlando del lavoro che tanto gli aveva dato in fatto di soddisfazioni professionali. Affascinato dalla Puglia, confessava che il lavoro, complicato dal covid da oltre un anno, «è stato sempre ripagato dall’affetto del pubblico». Anche doppiatore, tono riconoscibile e familiare, è stato la voce fuori campo (“Dio”) nell’ultima edizione di “Aggiungi un posto a tavola”. Così, approfittai e gli chiesi un’intervista per “Costruiamo Insieme”, la cooperativa che sul suo sito dà spazio a storie straordinarie, da qualsiasi punto queste si leggano. E se la storia di Enzo Garinei non è straordinaria…

Di episodi, anche legati al nostro territorio me ne aveva raccontato più di uno. «Brindisi, aeroporto. Quella sera in scena a Casarano, non sapevamo come risolvere il problema di spostamento: telefono in albergo, al “Silver”, per chiedere informazioni. Risponde un signore gentile, che mi rassicura in un attimo. In aeroporto, poco dopo, arriva un’auto. A bordo del mezzo, proprio l’uomo della reception, che aveva appena staccato dal lavoro. Dunque, nessun taxi da chiamare, accompagna personalmente in albergo me e i miei colleghi. Non c’è alcun verso di fermarsi in una stazione di servizio perché io possa ricambiare un gesto così gentile, non so con un “pieno”».

Un bel gesto. «Non finisce qui, all’indomani lo stesso signore ci riaccompagna in aeroporto. Cosa volete che vi dica: benedico questo lavoro, la gente che va a teatro, che quasi come un debito di riconoscenza compie gesti così affettuosi. “Il nostro è solo un modo per ricambiare quanto ha fatto e farà per noi”, mi dicono spesso, e io vado fiero di tutto questo».

A SPASSO PER TARANTO

Garinei, ama passeggiare per le strade delle nostre città. «In provincia ci sto da dio; se il teatro non è molto distante dall’albergo in cui alloggio, esco e faccio lunghe passeggiate: amo guardare le vetrine, entrare in un bar, fare colazione e scambiare due chiacchiere con la gente; poi gli occhi delle donne di qui non li trovi tanto facilmente in giro: esprimono bellezza e solarità».

Attaccare con un argomento è un’impresa. Da dove cominciare? Proviamo con Totò. «Il mio debutto nel cinema risale a “Totò le Moko”, poi tanti altri film. Ho interpretato anche una gag che molti ricorderanno in “Totò cerca moglie”: io con la mia fidanzata e i suoi genitori, praticamente miopi, tutti con occhiali e lenti spesse. Quando Totò partiva con le sue proverbiali improvvisazioni le risate scappavano anche durante le riprese, già un primo segnale di quello che sarebbe diventato un film di successo. Una grande scuola la sua. Con Totò dovevi stare sempre in campana, ti rovesciava un copione come un guanto e dovevi seguirlo con mestiere».

Totò e il Principe de Curtis, dicono che fossero diversi. «Grande attore sulla scena, uomo riservato nel privato, lontano da pettegolezzi quando appendeva al chiodo bombetta e marsina. Un esempio su tutti: non si è mai saputo per chi avesse scritto “Malafemmena”, se per sedurre Silvana Pampanini o per perdonare la moglie Franca Faldini per la sofferenza che gli aveva provocato prima di cedere alla sua corte spietata. A Cinecittà, accompagnato dal suo autista, non appena metteva piede sul set e indossava gli abiti di scena, Totò diventava un altro: si trasformava nel grande attore comico che tutti conosciamo. Parlo al presente, perché Totò vive nelle cose che ha fatto».

Direttore artistico del “Sistina”, a Roma, nella capitale aveva aperto una scuola di recitazione (“Ribalte”). «Un tempo arrivavano folate di ragazzi e ragazze. Mi auguro tornino a credere nel teatro, perché è da lì che parte tutto. I miei ragazzi me li trovo ovunque, sono cresciuti professionalmente, diventati star del teatro e della tv. Quando li incontro faccio loro sempre la stessa raccomandazione: se fate la tv ma amate il teatro, dovete decidervi, il contatto con il pubblico è fondamentale: tornate a misurarvi con “il tavolaccio”».

VECCHIA GUARDIA

Quando i giornalisti pongono più o meno le stesse domande. «Penso di essere uno dei superstiti di una vecchia guardia. Capisco il lavoro dei cronisti. Ripeto spesso, e lo dico sinceramente, non ho paura della morte: tanti colleghi mi hanno solo preceduto. Gli stessi Pietro Garinei, mio fratello, e Sandro Giovannini, il mio grande amico Gino Bramieri. Penso a Totò e Peppino, Fabrizi e Taranto, Modugno e Manfredi. Penso che “lassù” stanno allestendo lo spettacolo più bello del mondo. Per quanto mi riguarda, faccio programmi a scadenza solo per il giorno dopo, per il domani; il dopodomani lo vedo già un po’ più distante».

Gino Bramieri. «Gino, un fratello. Grandissimo attore, uomo di enorme statura. L’ho assistito nel suo ultimo tratto di vita, nel ’96, con la morte nel cuore: il Premio alla carriera a lui intitolato, consegnatomi a Taranto dal direttore artistico Renato Forte, è uno dei riconoscimenti che conservo con maggiore affetto. Di premi ne ho vinti, molto importanti anche, ma Gino… Gino è una cosa difficile da spiegare».

A lui lo univa e lo divideva la passione per il calcio. «Lui tifoso dell’Inter, io della Lazio. Ricordo nel ’64 lo spareggio Bologna-Inter per lo scudetto. Andammo all’Olimpico insieme: io, lui e Pietro, mio fratello. Purtroppo per lui, vinse il Bologna 2-0. Io, non la davo a vedere, ma tifavo più che per il Bologna, per Fulvio Bernardini, allenatore dei rossoblù, ma romano come me. Bernardini era stato calciatore della Roma, ma nel passato anche della “mia” Lazio. Alla sconfitta Gino reagì lanciandomi un’occhiataccia, come a dire: “anche tu…”».

Una delle ultime commedie portate in scena a teatro, “Facciamo l’amore” di Arthur Miller. Compagni di viaggio, fra gli altri, Gianluca Guidi e Lorenza Mario. «Non lo dico per piaggeria: sono stati splendidi. Fra le proposte che mi sono piovute addosso generosamente, con un pizzico di sano egoismo ho sempre scelto la più indicata per me: il lavoro, lo spessore del personaggio, ma soprattutto loro, i miei compagni di viaggio. Guidi è un attore brillante, un regista sapiente e generoso, la Mario una showgirl completa. Quella commedia si apriva con un mio lungo monologo, che mi aveva dato grandi soddisfazioni. Ma, attenzione, non sono un monologhista, amo il botta e risposta, il dialogo serrato, incalzare e attendere. Spalla si nasce e io, modestamente, lo nacqui…».