Gabriele Cirilli, l’attore si è concesso a “Costruiamo Insieme”
«Sono favorevole ad ospitare i migranti. E’ importante il loro contributo in fatto di impegno. Due miei zii sono andati in Venezuela per costruirsi un futuro». E poi lo spettacolo. «Ho portato in giro “Mi piace”, ora giro con “La famiglia Addams”: i complimenti fanno piacere, ma anche le critiche, purché costruttive, aiutano. Il più bel complimento, quello di Lino Banfi, mi vede come suo erede»
«Sono totalmente per l’accoglienza! In famiglia due miei zii tanti anni fa sono partiti per il Venezuela, uno è rimasto lì, l’altro dopo una vita di lavoro e sacrifici, è tornato in Italia: chiunque può dare anche un modesto contributo al Paese ospitante, deve essere accolto». Gabriele Cirilli, artista a tutto tondo, protagonista di “Mi piace” e attualmente in tournée con “la famiglia Addams”, si pronuncia sul tema-immigrazione per esperienza indiretta. Con lui, oltre a parlare dello spettacolo all’interno della Stagione artistica in svolgimento al teatro Orfeo di Taranto, sostenuta dalla cooperativa “Costruiamo Insieme”, ci soffermiamo anche sull’accoglienza. Nello spettacolo del comico abruzzese, c’è una battuta, fra le altre, sul tema particolarmente a cuore alla nostra cooperativa sociale.
Dunque, sentiamo Cirilli. Partiamo dalle personali considerazioni su tv, cinema e teatro. Dovesse assegnare 1, 2, 3 “like”?
«E’ il teatro la mia passione, ti dà quel rapporto fisico che cinema e tv, per ovvie ragioni, non possono offrirti. Il teatro è magia, sensazione impagabile, è respirare, essere una cosa sola con il pubblico».
Cosa danno e tolgono tv e cinema.
«La tv dà popolarità, dunque una visibilità tale da renderti “commerciabile”: ti dà modo di spenderti per il teatro, la mia grande passione; il cinema è, invece, la possibilità di mostrare un altro tipo di talento, diverso evidentemente dal teatro e da altre forme di spettacolo: amo, inoltre, fare doppiaggio, ballare, cantare; provo a spendermi a 360%, all’americana».
Il successo in teatro.
«Tengo tanto alla Puglia, al Salento, Taranto; ogni volta che vengo da queste parti avverto grande calore e soddisfazione professionale. Tempo fa sono stato in Villa Peripato, un calore quasi irripetibile, se non fosse che con “Mi piace” ho registrato un’accoglienza a dir poco straordinaria».Non è uno spettacolo “one man show”.
«Infatti, è un “two man show” – sorride – considerando che al mio fianco ho Umberto Noto, grande attore, che consiglierei a molti colleghi, ma ora lavora con me e me lo tengo stretto: insomma, sul palco siamo in due, riusciamo perfettamente ad essere uno spalla dell’altro.
Lo spettacolo prende le mosse dal trasferimento da un cellulare all’altro delle applicazioni, il cosiddetto “back-up”, dal rischio di perdere documenti, foto e video: questo passaggio delicato lo compio in scena con un “tecnico”, Umberto appunto, così ne vengono fuori delle belle: video e foto sono gli spunti per monologhi, balletti, canzoni».
Anni fa insisteva su un aneddoto, nella sua Sulmona qualcuno ti rimproverava l’acconciatura.
«Non più – ride – da “…Ma come cazzo porti ‘sti capelli!” sono passato alla consegna delle “chiavi” da parte del sindaco: “Ciri’, spostami la macchina, dai!”. E’ una battuta, in realtà ormai i miei concittadini mi accolgono con grande affetto; mi sono attivato per l’Abruzzo, il minimo che potessi fare; sono stato in famiglia – questa regione è la mia famiglia – ho fatto spot per aiutare una terra falcidiata dal terremoto, ho promosso un Premio dedicato all’amore ispirato al poeta Ovidio Nasone».
Tormentoni, gioia e dolori, da “Come porti ‘sti capelli” a “Chi è Tatianaaa?”.
«Non li ho mollati, credo che quando qualcosa diventa in qualche modo “mitica” – lo dico con le debite proporzioni – devi avere anche il coraggio di lasciarla in un angolo: esempio – anche questo portato all’estremo, s’intende – se Mina si facesse vedere, sparirebbe di colpo tutto quel fascino misterioso del quale la più bella voce della nostra canzone si è ammantata in tutti questi anni; lo stesso “Tatiana”: ho provato a rivestirmi in occasione dei trent’anni di “Zelig”, me lo aveva chiesto Michelle Hunzinker: mi sono guardato allo specchio e mi sono detto “Nun se pò fa!”, quel personaggio che tanto mi ha dato, deve restare lì, nell’angolo della memoria, nel cuore di quanti, me compreso, lo hanno amato»
La scrittura dei testi.
«Ho una squadra di autori, Maria De Luca, produttrice dello spettacolo, Giorgio Ganzerli, Gianluca Giugliarelli e Alessio Tagliento: ci sono anch’io nel gruppo di lavoro che fa team, e quando si vince insieme è bello condividere soddisfazioni; poi la regia, Claudio Insegno, che firma anche “La famiglia Addams”, con la quale girerò a lungo; sua anche la regia del musical “Kinky boots”».Complimenti e critiche, nel bene e nel male.
«Ho avuto la fortuna di lavorare con tanti grandi dello spettacolo; bene, due settimane fa sfogliando “TV Sorrisi e canzoni” a un grande attore comico hanno chiesto chi vedesse come suo erede. E lui: “Gabriele Cirilli!”, chi mi ha lusingato così tanto è Lino Banfi; con lui ci ho fatto “Un medico in famiglia”, lì ho capito che mi apprezzava molto per le pause, per come gli porgevo le battute, per quella dose di improvvisazione, ma questa dichiarazione di stima mi ha veramente colpito.
Cose brutte. Critiche, se vuoi, apprezzamenti che all’inizio di questo lavoro possono provocarti dispiacere, ma se a freddo ci rifletti, le critiche – quando non sono pretestuose, offensive – possono darti una mano».
“Mi piace”, quasi un trattato di sociologia.
«Il “mi piace” non è solo mondo social, è una espressione che in un solo giorno ripetiamo mediamente venti volte; hanno compiuto uno studio: un bambino ride centotrenta volte al giorno, un adolescente sessanta al giorno, noi adulti solo quindici volte. Cosa può significare: dovremmo imparare a ridere di più, a dire più volte “mi pace”, è un’espressione che gratifica la persona alla quale è indirizzato; quando in teatro faccio il back-up e sullo schermo alle mie spalle appare una foto o un video, è come se esprimessi il mio personale “mi piace”: in sostanza, dovremmo esprimere più apprezzamenti piuttosto che critiche, costruire piuttosto che demolire».
Facciamo accoglienza, un accenno in apertura, un’esperienza vissuta da vicino.
«Due miei zii, Filippo e Augusto, tanti anni fa sono partiti per il Venezuela: il primo è rimasto lì, non l’ho mai conosciuto; l’altro, con il suo bagaglio di esperienza è tornato a casa, accolto dalla stima che una comunità riserva normalmente a chi ha vissuto una vita di grande impegno e sacrifici. Qual è, dunque, il mio punto di vista: se vai in un posto per dare un contributo al Paese che ti ospita, perché no, ben venga l’accoglienza, eccome: nel mio spettacolo c’è una battuta, “Favola per adulti, titolo: “L’Europa ci aiuterà nell’accoglienza dei migranti”».