Taranto, il Natale, le luminarie
Sarmad e Ali, Broulaye e Raju, quattro ragazzi fra le tradizioni cittadine. «Belle le tradizioni, abbiamo sentito la banda musicale, assaggiato i dolci tradizionali. Cerchiamo lavoro, riceviamo rispetto…»
Due pakistani, un maliano e un bengalese. Sarmad e Ali, Broulaye e Raju, arrivano da lontano questi quattro ragazzi ospiti del Centro di accoglienza “Costruiamo Insieme”. Fra le strade di Taranto si sono mossi già con una certa disinvoltura, poche volte affondando il colpo, cioè facendo lunghe passeggiate nelle vie del centro. Un paio di loro, però, Sarmad, pakistano, e Broulaye, maliano, sanno come muoversi fra le strade che collegano via Cavallotti, sede della cooperativa sociale, con piazza Immacolata, meta della passeggiata. I due ragazzi, in particolare, hanno spirito di iniziativa, raccontano di avere svolto attività in un ristorante, ma anche di essere degli assi nella pulizia delle cozze, i mitili tarantini così celebrati in Italia e all’estero per la loro proverbiale bontà. Campioncini, Sarmad e Broulaye, che possono entrare in competizione con i ragazzi tarantini che in Città vecchia, spiegano gli stessi due, sono delle vere macchinette, come fossero in una catena di montaggio.
«Abbiamo fatto due passi, visto le luci che illuminano le strade – dicono i due più disposti alle relazioni, gli altri due mostrano più discrezione, una modalità che rispettiamo – sappiamo perfettamente come in Italia, ma particolarmente a Taranto, si vivono le festività natalizie: lo scorso 22 novembre, giorno di Santa Cecilia, quando in città si entra nel vivo del Natale, abbiamo ascoltato la banda musicale venuta a suonare alle prime luci del mattino proprio davanti alla sede di “Costruiamo Insieme” in via Cavallotti; non conoscevamo ancora questa usanza, ma gli operatori ci hanno spiegato che questa sta diventando una consuetudine».BANDA E PETTOLE…
Gli operatori hanno illustrato a larghi tratti le usanze popolari, fra queste il Santo Natale, i rituali, come la banda musicale, le pettole (pallottole di pasta lievitata fritte nell’olio), l’albero di Natale. «In pochi giorni – dice Broulaye, fede musulmana – ho imparato i riti del posto; c’è l’abitudine – mi è stato spiegato – di fare il presepio, simbolo cattolico, ma anche l’albero, simbolo protestante; le due cose convivono perfettamente, vedo, è infatti da queste cose che noi tutti, fratelli, dovremmo trarre insegnamento: si può convivere nel rispetto reciproco; io sono musulmano, ma ho grande rispetto per i cattolici, il credo di molti miei fratelli che pregano il loro dio; lo stesso i ragazzi di fede cattolica, hanno grande rispetto per la mia fede religiosa: questa convivenza ci ha insegnato la parola rispetto, le nostre non sono fedi intransigenti, ognuno prega e celebra i riti come desidera».
E veniamo alle luminarie. «Avevo visto una lunga strada illuminata – dice Sarmad, riferendosi a via Di Palma – così ero curioso di conoscere ciò che stava accadendo nel resto di Taranto, per questo ci siamo organizzati e chiesto di essere accompagnati ad assistere a quanto avevano inaugurato nei giorni scorsi per fare entrare cittadini e turisti nel Natale tarantino, quasi avessero di colpo acceso il cuore dei tarantini».
Venerdì 22 novembre, Santa Cecilia, le bande musicali alle prime luci dell’alba hanno aperto la strada alla tradizione. Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, alle 18.00, il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, l’assessore alla Cultura e alle Tradizioni popolari, Fabiano Marti, hanno ospitato il presidente della Regione, Michele Emiliano, all’accensione delle luminarie in piazza Immacolata, cuore del Borgo cittadino. E’ stato un successo, un’esplosione di colori e applausi, con centinaia di foto e selfie che i tarantini, non solo loro, hanno cominciato un attimo dopo a far circolare sui social e, dunque, in tutto il mondo, indirizzandoli a parenti e amici, vicini e lontani.
Così le foto dei nostri ragazzi hanno preso la strada social di Pakistan, Mali, Bangladesh. Broulaye è il più intraprendente. Lo si capisce da come si mette in posa, stira la maglietta bianca sotto la maglia per mettersi in favore di macchina fotografica. Ne avrà viste foto di star del rap e di star dello spettacolo con giubbotto sistemato e volto sorridente. LUCI, VERI GIOIELLI
Infatti, “Brou”, così lo chiama Sarmad, sorride. Non solo si presta allo scatto, si raccomanda affinché le foto appena fatte possano in qualche modo tornargli sul suo cellulare per girarle ad amici e parenti. «Belle le…luminarie? – si interroga e domanda – si dice così, vero? Sono gioiellini. Anche in queste cose occorre essere bravi, sicuramente dietro a queste piccole opere d’arte c’è il lavoro di più di un artigiano, un lavoro di vera ingegneria, le luci colorate, la forma di ciascun soggetto…».
E, intanto, i ragazzi si prestano a fare foto, a immortalare questo momento. E non importa che qualcuno, quasi con aria di sfida, passi davanti all’obbiettivo mentre vengono scattate foto. I ragazzi lo hanno notato. Sarmad ha prontezza di riflessi disarmante. Sentite come dice la sua. «La maggior parte dei tarantini – spiega – sono ospitali, magari anche uno che quasi ci sfida, come se avessimo invaso casa, se ci conoscesse un po’ meglio cambierebbe idea: le cose accadono poco per volta e non importa che, a pelle, qualcuno di noi stia sulla punta del naso di qualcuno, noi venuti da lontano qui a Taranto, ma parlo anche per conto di miei connazionali che risiedono in altre parti d’Italia, ma anche nel resto d’Europa, ci siamo sentiti di casa, forse la prima parola che abbiamo subito dimenticato è “ospiti”».
A proposito del sentirsi, o meno, ospiti. «Non ci sentiamo ospiti – conclude Sarmad – vogliamo sentirci utili al Paese che ci ha accolti, riconoscenti alle strutture nelle quali viviamo, “Costruiamo Insieme” per intenderci, per questo non stiamo fermi un attimo; quando ci svegliamo al mattino abbiamo un chiodo fisso, andare in giro a cercare lavoro; è il primo passo, ma noto con piacere e una certa emozione, che anche quanti non possono offrirci lavoro ci danno qualcosa che per noi ha valore immenso: il rispetto».