Confronto fra report USA e italiano

Ripreso da un quotidiano, uno studio spiega che la situazione negli Stati Uniti è da monitorare costantemente. Meglio in Italia, dove i campioni analizzati indicano che il nostro Paese è sulla strada giusta. Cifre e percentuali, i frutti sottoposti a sollecitazioni e cavie che “rispondono” con alterazioni metaboliche.

Un resoconto medico pubblicato di recente, condotto per gli Stati Uniti da un pool di studiosi, riguardo la presenza di residui di pesticidi in frutta e verdura, e simile al report pubblicato come ogni anno da Legambiente (Pesticidi nel Piatto), si presta a confronti fra la situazione italiana e quella statunitense.

L’inchiesta condotta negli Stati Uniti (ripresa dal “ilfattoquotidiano”), ha lo scopo di stilare, da un lato l’elenco dei vegetali più contaminati (lo studio Ewg raccomanda l’acquisto di “biologici”), dall’altro la lista dei quindici cibi (frutta e verdura) con meno residui. Fra i peggiori dodici si trovano alimenti di largo consumo. Fra questi: fragole, spinaci, mele, uva, pesche, ciliegie, pere, pomodori, patate; fra i quindici meno contaminati: piselli surgelati, cipolle, melanzane, asparagi, kiwi, cavoli.

In totale nell’indagine eseguita negli States solo il 30% dei campioni di frutta e verdura analizzati risulta senza residui. Situazione migliore in Italia: su 9.939 campioni analizzati (non solo vegetali) la percentuale senza residui è esattamente il doppio: 61%.

Volendo limitare il confronto a frutta e verdura, in Italia la verdura è senza residui nel 64% dei casi e la frutta nel 36%. Degno di nota il fatto che, su 134 campioni da agricoltura biologica, uno solo (pera) è risultato contaminato da fluopicolide, a conferma che gli alimenti biologici sono indubbiamente più sicuri. Di particolare rilievo il multiresiduo, presente nella maggior parte dei campioni Usa, con un record nei cavoli verdi in quanto presente in oltre il 90%; in Italia il multiresiduo si riscontra nel 40% della frutta e nel 15% delle verdure.

Problema del multiresiduo. Già in passato erano stati riportati i dati di uno studio che aveva valutato su cavie l’azione di un cocktail di sei pesticidi (compreso clorpirifos), ciascuno “nei limiti di legge”. Le cavie, che avevano ricevuto piccole, quotidiane dosi di pesticidi avevano presentato profonde alterazioni metaboliche, in particolare steatosi epatica, tendenza all’obesità, intolleranza al glucosio con effetto diabetogeno, alterazione del microbiota intestinale, con effetti più marcati nei maschi.

Uno studio recente, invece, ha dimostrato come l’esposizione cronica anche al solo clorpirifos (noto per compromettere il neurosviluppo) danneggi gravemente anche il microbiota, comportando alterazione della barriera intestinale, aumento del passaggio di lipopolisaccaridi nel corpo con conseguente infiammazione cronica, aumento del rischio di insulino-resistenza, diabete e obesità.

Vera epidemia a livello globale è diventata l’obesità. Con una incidenza del 10,7% in Cina, nel 12,8% in Unione europea e del 30,4% in Usa. Gli autori dello studio concludono che l’uso diffuso di pesticidi può contribuire all’epidemia mondiale di obesità, con effetti addirittura superiori a quelli genetici e a quelli di una dieta ricca di grassi. Ai rischi da pesticidi si aggiungono ovviamente quelli per l’esposizione a tutti gli altri inquinanti con cui veniamo in contatto in quanto presenti nell’aria, nel vestiario, negli oggetti di uso comune e fra cui destano particolare preoccupazione gli “interferenti endocrini” cui appartengono anche molti pesticidi.

Risultati recentemente pubblicati e provenienti dal grande progetto europeo Heal (Health Environment Alliance), hanno confermato come in particolare l’esposizione prenatale a tali agenti sia correlata a eventi avversi specie sullo sviluppo sessuale, neurologico, sul metabolismo e sulla crescita. Denunciata inoltre con particolare vigore dai ricercatori l’assoluta inadeguatezza dell’attuale legislazione nel valutare e proteggere la salute umana dagli interferenti endocrini, perché ad esempio sostanze diverse ricadono sotto normative diverse, si valuta l’azione del singolo inquinante e non l’azione sinergica, si trascura l’azione sugli organismi in accrescimento.

Si conferma ancora una volta la scelta vincente il cominciare a proteggere la salute fin dalle prime fasi della vita, privilegiando un’alimentazione biologica in gravidanza.