Saikou, guineano, meno di venti anni, una vita da orfano
«Formarne una al più presto, avere figli, stringerli e trasmettere loro il calore e l’affetto che a me è mancato. La prigionia, le botte, poi la fuga verso la libertà. Qui ho trovato accoglienza, un corso da saldatore e un lavoro saltuario di magazziniere»
«Picchiato perché non avevo soldi con cui pagarmi la libertà». E’ successo anche questo a Saikou, guineano, meno di venti anni, passato attraverso una fuga, una cattura e tre mesi di carcere. «Non si trattava di militari – ci spiega – ma una banda di civili che fa business con la disperazione della gente; armati all’inverosimile minacciavano me e altri nelle mie stesse condizioni: vietato fissarli negli occhi, chiedere anche con il solo sguardo un po’ di pietà: puntuale arrivava un calcione, ovunque capitasse, o un colpo in testa, con il calcio di un fucile o una pistola: ricordo che non si fermavano se prima non vedevano il sangue; quello, per loro, era evidentemente il segno che la punizione aveva avuto il suo doloroso effetto».
Ma Saikou è un osso duro. «Per quello che ho passato nonostante la mia giovane età, non mi scomponevo più di tanto; avevo messo in preventivo tutto, anche la vita, dopo tutto quello mi era successo». «Non ho papà, né mamma, il progetto di una nuova vita lontano da casa, l’ho presa da solo, avevo sedici anni: un giorno prima che andasse ad aprire una piccola attività commerciale di borse e scarpe, fermai mio fratello Moumo, appena più grande di me, è lui il resto della mia famiglia; “vado via!” gli dissi, non è più possibile restare qui, “non è vita quella che facciamo, non ce la facciamo a sopravvivere, da oggi sarò una bocca in meno da sfamare, vedrai ci rivedremo e vivremo meglio quello che ci resterà da vivere”; è questo il mio scopo nella vita, amo l’Italia, un Paese rispettoso e accogliente, mi sta offrendo tanto, ma nessuno può immaginare quanto sarei felice anche di tornare a casa, quella che è più un’idea di casa, piuttosto che un buco nel quale vivere, dormire, far crescere figli…”».
Riconoscente all’Italia. «A vita, anche se sinceramente non sapevo in realtà quale fosse il valore del respiro, della carne, che ti hanno donato i tuoi genitori mettendoti al mondo; cominci ad accorgertene – mi hanno spiegato – all’età della ragione, che poi sarebbe quando cominci a comprendere cosa si il bello e il brutto, le cose da fare e le cose da non fare; quando ero in Guinea, quelle volte che capitava di mangiare speravo che la fame mi assalisse il più tardi possibile, pregavo il Cielo perché quello che avevo mangiato potesse tenermi in piedi un giorno intero. E ora che ho conosciuto nuova gente, compagni di lavoro – anche se saltuari, non importa – ho un’altra prospettiva; se oggi mi chiedono cosa siano per me i valori importanti della vita, so rispondere…».
Saikou prova a spiegarcene qualcuno, nella vita c’è sempre da imparare. Si dice che il più non conosca il meno. «Il dono della vita, prima di ogni cosa, volersi bene, rispettare il proprio corpo, non farsi del male e molti sanno a cosa alludo; rispetto significa avere la fortuna di non avere malattie, mente altri – sfortunati – lottano per sopravvivere un giorno in più; la famiglia, detto da me che non ne ho mai avuta una nella quale crescere, è la cosa che più ti avvicina al senso della vita: io non ne ho mai avuta una, così la famiglia è la cosa che più di altre dà un senso compiuto a quello per il quale veniamo al mondo: l’amore; amare i genitori che ti hanno dato la vita e la difendono a costo di rimetterci la propria; conoscere una donna, amarla e sentire che è la persona giusta con cui fare insieme un lungo tratto della tua esistenza; i figli, che sono la proiezione dei tuoi ideali, il sangue del tuo sangue».
Parliamo ora dell’Italia. «Mi ritengo fortunato – dice Saikou – sono entrato nel Centro di accoglienza “Costruiamo Insieme”, finalmente sono tornato fra i banchi di scuola, a sentire il profumo del sapere, quei fogli che se li porti al naso ti trasmettono emozione: da piccolo volevo fare il professore, uno di quelli che insegnano tanto, forse perché avendo perso da giovanissimo papà e mamma, non ho avuto chi mi insegnasse qualcosa…». Dettagli che spesso sfuggono a chi è distratto. “Ho frequentato il “Pacinotti”, incontrato insegnanti molto e, soprattutto, molto pazienti; nel giro di un anno ho imparato le frasi e le espressioni più utili a vivere nella vostra società; penso di aver fatto progressi, ma non sono soddisfatti: i miei professori mi hanno suggerito di sforzarmi nel parlare italiano; “Prima sbaglierai otto parole su dieci, poi cinque, finalmente una…”, mi hanno detto, e così è stato: piccolo segreto, questo l’ho imparato subito, accompagnare le frasi in un italiano anche se approssimativo aiutandomi con i gesti, gli italiani sono bravi».
Pensa anche al lavoro. «Da quando sono in Italia, ho in mente una sola cosa: cosa fare per ricambiare l’ospitalità che mi hanno dato gli italiani; studio, ho fatto un corso da saldatore e, magari, un giorno qualche impresa edilizia mi chiamerà per qualche giorno; nel frattempo, saltuariamente, faccio il magazziniere in un’attività commerciale in provincia di Taranto, ho compagni di lavoro splendidi, loro mi hanno fatto sentire subito cosa significhi vivere in armonia, venire la voglia di costruire una famiglia».
«Non ho ancora vent’anni, forse perché non ho mai avuto una famiglia – se non mio fratello Moumo, che sento spesso – ho voglia di formarne una al più presto, avere uno, due figli, stringerli e trasmettere loro il calore e l’affetto che a me è mancato, spero che questo avvenga il più presto possibile».