Mike, nigeriano, trent’anni
Padre e fratello trucidati. Fuggito dal suo Paese, il suo destino era segnato. «Non c’è considerazione per chi chiede rispetto, ho lasciato mamma e sorella più giovane, quanto è rimasto della mia famiglia». Ha un sogno: fare il poliziotto locale, ha subito il fascino della divisa.
«Vorrei fare il vigile urbano!». Così, secco, Mike, risponde alla domanda sul sogno nel cassetto. Nessuno mai, prima di questo ragazzone nigeriano di trent’anni, aveva espresso un desiderio così singolare. Ora, nella sua Nigeria, il vigile è anche poliziotto, non solo un uomo in divisa assegnato alla direzione del traffico o impegnato a far rispettare il codice della strada a pedoni e automobilisti. «Il vigile!», ripete, anche stavolta deciso. «Girando in città ho visto agenti di Polizia locale indossare con eleganza la divisa, pensavo fossero militari, mi è stato spiegato invece che è un po’ come se lo fossero, ma il loro lavoro in particolare consiste nel presenziare vie e strade dove si registra una più alta concentrazione di auto, moto e passeggio, penso alle strade del centro cittadino».
Per essere da sei mesi in Italia, ospite della cooperativa “Costruiamo Insieme”, Mike comprende buona parte delle domande in italiano. Nei punti critici della chiacchierata, a tradurre ci pensa Allahssane junior, operatore della stessa cooperativa sociale. Sull’attività di “vigile urbano”, il giovane nigeriano, conferma di avere le idee chiare. «Fascino della divisa – osserva – il rispetto che hanno da parte dei cittadini, la disponibilità, il sorriso con cui danno indicazioni a chiunque chieda informazioni, che questo sia bianco, nero o giallo». E’ una cosa rimasta impressa a Mike, che un giorno si è rivolto a un agente di polizia locale per chiedere quale strada avesse dovuto fare per tornare dalla non molto lontana via D’Aquino alla sede di via Cavallotti.«Ancora non indossavano la divisa bianca, estiva mi dicono, come in questi giorni – ricorda – aspettai qualche istante, il tempo che facessero scorrere il traffico, e mi dettero con la massima calma tutte le indicazioni per tornare nel mio Centro di accoglienza». Tocchiamo un tasto. Avesse pelle bianca, Mike arrossirebbe, ma la sensazione è quella giusta, viso e occhi non tradiscono. Con la divisa cerca quel rispetto che a casa sua non ha mai avuto. «E’ la cosa che più ci manca – ammette – e cerchiamo dall’età della ragione; non è giusto che un tuo simile si serva della forza, di un coltello di una pistola per avere ragione di te: sono cristiano, siamo tutti fratelli, abbiamo gli stessi doveri ma anche gli stessi diritti; invece, fin da ragazzo ho dovuto fare i conti con la violenza e l’ingiustizia; se una divisa invita al rispetto, non c’è niente di male, forse è la strada giusta per recuperare un mio diritto».
Violenza e ingiustizia. «Imparate a spese mie – osserva, facendosi serio di colpo – in una inspiegabile guerra civile, non tanto per una lotta sui diritti, bensì sul potere, ho perso mio padre e mio fratello: assassinati a bruciapelo; a me sarebbe toccato lo stesso trattamento se non fossi riuscito a fuggire: restare davanti a quello che di fatto era un plotone di esecuzione, sarebbe stata la cosa più sciocca che avrei potuto fare; ricordo le urla di amici e mamma, “Scappa, Mike! Fuggi finché sei in tempo!”. Presi una direzione, non ricordo quale, e cominciai a scappare fin quando mi finì il fiato: non c’era più luce in cielo quando fermai la mia corsa; mentre correvo e acceleravo avevo negli occhi i volti ora sorridenti e spenti, di mio padre e mio fratello: quando eravamo felici, fra le nostre piccole cose, e come invece li avevo visti l’ultima volta, a terra, privi di vita con il viso coperto da sangue e polvere!».
Adesso Mike sente mamma e sorella, più giovane di lui. «Telefonate brevi – puntualizza – più lunghe costerebbero una fortuna, ma al momento me le faccio bastare: ci sentiamo, ci chiediamo “Come stai? Stai bene?” e una volta incassato il “Sì!” ci salutiamo, fine delle conversazioni».
Cosa faceva Mike a casa sua. «Studiavo, papà con mille sacrifici voleva che studiassi e diventassi un intellettuale, uno che non facesse la sua stessa vita nei campi, che però amavo frequentare con lui nel fine settimana, non appena lo studio delle scienze (un po’ come il nostro liceo, ndr) che svolgevo nella scuola secondaria me lo consentiva; andavo con lui, raccoglievo gli ortaggi che papà avrebbe poi rivenduto». Vigile urbano, ma in alternativa gli piacerebbe svolgere un altro lavoro. «Lavorare al mercato – dice fiero – ho una certa conoscenza di frutta e ortaggi, so distinguerne la bontà e, penso, di avere una certa pratica nella vendita, altro insegnamento che mio padre mi ha lasciato in eredità».
Cosa fa Mike, qui. «Ho frequentato il corso di alfabetizzazione curato da “Costruiamo Insieme”: adesso sono pronto a tornare fra i banchi a studiare materie a me non del tutto estranee, ma l’approccio con i libri sarà sicuramente diverso, già lo so… è il primo passo per l’integrazione, voglio frequentare la scuola di formazione e imparare a fare il meccanico, altra mia passione: quando pensiamo all’Italia nel nostro Paese spesso pensiamo alla Ferrari, sogniamo un giorno di vederne sfrecciare una sotto il nostro naso: non di salirci a bordo, vederla solamente, magari farci una foto…».
Il viaggio di Mike dopo quella fuga senza più fiato. «Arrivato in Libia, fortunato nell’avere incontrato gente a modo che mi ha fatto fare lavori di muratura, pulizia e giardinaggio per farmi guadagnare un po’ di soldi per pagare il viaggio per la libertà. Dopo tre mesi di sacrifici, anche saltando il pasto, i soldi giusti per imbarcarmi su un gommone: eravamo in centocinquanta, destinazione Sicilia; ci siamo arrivati su una nave militare italiana, il Cielo la benedica, dopo dodici ore di mare aperto senza più vedere all’orizzonte la Libia e l’Italia. Sbarcati in Sicilia, l’ultimo tratto in bus per Taranto; ora sto provando a ridisegnare il mio futuro: vigile, meccanico, uomo di fatica ai mercati generali, fruttivendolo, qualsiasi cosa possa fare è sicuramente meglio in confronto a botte, coltellate e fucilate. Cerco quel rispetto, anche minimo, che mi ha negato con dolore e sangue il mio Paese!».