Dodi Battaglia, ex Pooh, torna con “One Sky” duetto con Di Meola
«Al, origini avellinesi, l’ho conosciuto al compleanno di Zucchero. Improvvisammo un blues. Una festa collaborare con lui, è stato come se un calciatore in erba palleggiasse con Ronaldo. Prima i messaggi, poi il brano insieme. Infine un complimento, quando gli ho fatto ascoltare miei brani acustici: “Bravo, sembro io!”. E via emoticon, dai cuoricini alle chitarrine…»
E’ il leggendario chitarrista dei Pooh. Decine di milioni di dischi venduti, tre album solistici, due lauree, un nuovo progetto, “One sky”, duetto con Al Di Meola. Prima di entrare in argomento, Dodi Battaglia rivolge un pensiero a Stefano D’Orazio, “amico per sempre”, scomparso nei giorni scorsi.
«Non è uno dei momenti più smaglianti, io e i miei “amici per sempre” abbiamo una ferita che ci farà male per chissà quanto tempo ancora; credo, però, che la volontà di Stefano fosse quella che noi tutti, anche in una simile circostanza, continuassimo a mantenere il sorriso: Stefano ci aveva insegnato anche questo, così credo non ci sia modo più bello come ricordarlo con la nostra musica».
E veniamo a “One sky”. Dove si incontrano prima fisicamente e poi tecnicamente il pop rock di Battaglia e il jazz di Di Meola?
«Avviene per caso. Primo incontro, fortuito, durante un compleanno di Zucchero, festeggiava gli anni insieme con Gino Paoli; ci ritrovammo come Sorapis (Battaglia, Vandelli, Maggi, Zanotti, Torpedine, gruppo musicale di amici del quale è leader lo stesso Fornaciari, ndr) a suonare su un palcoscenico: in platea c’era Di Meola, in quel periodo in tournée in Italia; Zucchero mi si avvicinò, mi indicò Al e con lui concordammo un blues: ci divertimmo un sacco…».Ma la scintilla scoccò molti anni dopo.
«Dopo circa venti anni, un amico che vive in Sardegna avanzò la proposta: ti piacerebbe fare qualcosa con Di Meola? Risposta scontata, la mia: come chiedere a un ragazzino che gioca al calcio di fare due palleggi con Ronaldo. Avevo in mente sei note essenziali, “One sky, one world, one you…”, uno stesso cielo, uno stesso mondo, una stessa donna: questa l’idea messa in musica; ho inviato ad Al i primi provini, gli sono subito piaciuti: in un momento di lockdown, io nel mio studio a Bologna, lui nel suo, in New Jersey, abbiamo cominciato a scambiarci idee e messaggi fino a quando non è venuta fuori “One sky”; curiosità: come spesso accade a noi italiani, il brano ha registrato un certo successo prima all’estero, in particolare Stati Uniti, Inghilterra e Germania; di questo risultato sono orgoglioso come musicista, ma soprattutto come italiano: forse è il caso di cominciare a far passare il concetto che oltre a Leonardo, Michelangelo, Verdi, Puccini, Ferrari, Pavarotti e Bocelli – i primi nomi che mi vengono in mente – gli italiani siano capaci di produrre ancora arte, per giunta in un momento così grave quanto inatteso…».
Se dicessi “Friday night in San Francisco – Di Meola, De Lucia, Mc Laughlin”, un concerto che risale a quarant’anni fa?
«Ricordo perfettamente il concerto e una persona, non distante da me e te – te, in poche parole… – che mi regalò un fantastico “nastro”…».
Ricordi anche questo?
«Mi regalasti un’audiocassetta, quasi fosse una reliquia, una straordinaria anteprima: in compagnia di quell’album viaggiai tutta un’estate. E, a proposito di Di Meola, è stato proprio lui ad anticiparmi un progetto che risale a quel tour: ha ritrovato le registrazioni di quei concerti nel corso dei quali ogni sera insieme con De Lucia e Mc Laughlin suonava brani sempre diversi; aspettiamoci che di qui a poco esca un nuovo album che, verosimilmente, si intitolerà “Saturday night in San Francisco”: sentendo parlare di questo progetto legato a quei concerti mi è venuta in mente quella sera…».Di Meola, De Lucia, Mc Laughlin, tre mostri sacri della chitarra.
«Anche se tre chitarristi “acustici”, insieme hanno rivoluzionato la tecnica della chitarra. In passato, la chitarra aveva avuto il suo momento magico con Beatles e Rolling Stones, ma questo strumento si è sviluppato nel mondo grazie a questi tre miti della “sei corde”; in mezzo a tutto questo, non dimenticherei un certo Jimi Hendrix che non tanto in prosa quanto in musica “disse” un bel giorno: “Signori, la chitarra si suona così…”».
Breve aneddoto con Di Meola.
«Uno scambio di file, fra questi i brani del mio album acustico “D’assolo”: a lui sono piaciuti talmente tanto – sorride Battaglia – che complimentandosi mi ha detto: “Bravo, sembro io!”».
Battaglia, che album sarà il prossimo?
«Parte da “One sky”, ma l’dea è il realizzare un lavoro che non abbia riferimenti precisi, se non la voglia di fare qualcosa di diverso e importante al tempo stesso, come a dire – ad opera finita – “Ascolta che bella cosa ho fatto!”: qualcosa che unisca insieme emozione a soddisfazione. Chi fa questo mestiere detesta la noia e si spende solo per le cose che lo intrigano, lo gratificano. L’album raccoglierà canzoni meno strumentali di “One sky”, con un approccio pop, ma con momenti importanti dal punto di vista strumentale: “soli”, parti melodiche, chitarristiche, insomma il sunto del mio modo di suonare. Il successo internazionale che sta avendo “One sky”, inoltre, mi sta dando la carica giusta per affrontare la realizzazione di questo album che uscirà nei primi mesi del prossimo anno».Cento milioni di dischi venduti, due lauree, titoli onorifici. C’è qualcosa che ti emoziona ancora?
«Vivo di musica da quando avevo cinque anni. Vengo da una famiglia di musicisti, mastico le sette note come fossero tortellini: vivo a Bologna, a cinquanta metri da casa mia abita Vasco, a cento Carboni, più avanti Cremonini, per fare dei nomi, come a dire che nella mia terra musica ed emozioni vanno a braccetto; faccio musica per mestiere e questo puoi farlo così a lungo solo se hai entusiasmo. E’ una “conditio sine qua non”, una condizione essenziale. Pensa, una volta, prima di un concerto, sono andato a salutare in camerino un artista molto noto; gli rivolsi il mio cordiale “in bocca al lupo”, quando mi sentii rispondere: “Grazie, vado, faccio questa “marchetta” e torno!”. In quel momento non so cosa gli avrei fatto: chi fa questo lavoro deve avere rispetto per l’arte che il Cielo gli ha donato e per il pubblico che si emoziona, applaude; un concerto per cento, mille, diecimila persone ogni sera è un momento straordinario mai uguale a se stesso, un corpo a corpo, un dare e avere emozioni. Altro che marchetta, se ci penso ancora…».
Per finire, “One sky” ha unito due mondi diversi, quello tuo e quello di Al Di Meola, cosa pensi vi abbia avvicinato?
«Forse non tutti sanno che Al è di origine campana, di un paese in provincia di Avellino; credo che ad una certa età, quella mia e quella sua, si senta il bisogno di tornare alle proprie radici: a me spesso capita di recarmi nella parrocchia in cui sono cresciuto per riappropriarmi delle emozioni di una volta; mi rivedo come ero, rispetto a come sono e come sto per diventare: non si vive in bilico fra adesso e il futuro. Per Al penso sia stata l’occasione per riavvicinarsi al suo passato, alla sua italianità: lui è un musicista jazz, americano, distaccato da certe nostre abitudini; bene, da quando abbiamo iniziato questo rapporto professionale, oggi molto amichevole, mi riempie di emoticon con chitarrine e cuoricini; mi ha scritto una cosa molto bella su Stefano, a proposito del bene che io e D’Orazio ci volevamo; penso faccia parte del suo lato italiano, quello più umano. Ecco cosa mi ha regalato e spero mi regali questa grande avventura che è la musica. C’è tanto ancora da emozionarsi».