VITE VENDUTE. IL GRANDE BUSINESS DELLA TRATTA DELLE DONNE

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) ha pubblicato il Rapporto sulla Tratta di esseri umani attraverso la rotta del Mediterraneo centrale.

Al di la dei dati e dei numeri, che segnalano la forte crescita del fenomeno della tratta di esseri umani, l’aspetto più interessante di questo Rapporto sta nella capacità di raccontare questo particolare tipo di migrazione partendo dall’origine del viaggio ricostruita attraverso i racconti raccolti dagli operatori dell’OIM che operano negli Hotspot italiani.

Il Rapporto OIM descrive il fenomeno della tratta unicamente a scopo di sfruttamento sessuale nel contesto italiano.

Fondamentali e determinanti, nella comprensione dello sviluppo di questa tragica forma di riduzione in schiavitù, sono i vari anelli della catena che decidono le sorti di una persona, quasi sempre donna e sempre più spesso minore: la famiglia e il contesto di origine (di solito villaggi sperduti dove la scolarizzazione non esiste); i riti voodoo (in nigeriano “juju”) ai quali sono sottoposte le vittime per suggellare l’impegno alla restituzione di una somma in denaro; i Boga, gli accompagnatori, veri e propri trafficanti di persone; i connection man, gli organizzatori dei viaggi dalla Nigeria all’Italia passando per la Libia; le Madame, che gestiscono le vittime di tratta una volta giunte a destinazione garantendo la restituzione dei soldi attraverso la prostituzione; la Libia, terra di nessuno ormai sfuggita ad ogni controllo, dove le donne vengono stipate il quelli che chiamano ghetti, luoghi nei quali attendono il momento dell’imbarco sul lapalapa, il gommone.

Dai racconti dei migranti emerge l’immagine di una Libia sprofondata nel caos, dove violenze e abusi sono sempre più frequenti e gruppi armati trovano nel traffico di esseri umani una fonte di finanziamento estremamente redditizia” è scritto nel Rapporto OIM.

E, ancora: “Spesso accade che, data la fiducia riposta nei trafficanti in quanto connazionali a cui si è spesso legate da vincoli di amicizia o parentela, le vittime di tratta non vogliano credere di trovarsi nelle condizioni descritte dall’informativa dell’OIM sui rischi connessi alla tratta di esseri umani, e non si percepiscano come vittime di un reato. È probabile che solo una volta incontrati i trafficanti e subiti gli abusi e lo sfruttamento, le vittime riescano a comprendere la veridicità delle informazioni ricevute allo sbarco, e acquisiscano la consapevolezza di essere vittime di un reato.

… Di conseguenza, il legame tra le vittime di tratta e i trafficanti costituisce un ostacolo maggiore alla loro identificazione tempestiva. Al momento del loro arrivo in Italia, come illustrato da alcune storie presentate in seguito, le vittime credono nei trafficanti più che in qualsiasi altra persona e provano per loro un forte sentimento di gratitudine, per avere permesso loro di arrivare in Europa, facendosi carico del costo del viaggio. Questo sentimento, apparentemente contraddittorio, le porta a credere incondizionatamente alle false informazioni che i trafficanti forniscono loro prima della partenza dai luoghi di origine o dalla Libia. Ad esempio le organizzazioni criminali invitano le vittime di tratta a dichiarare di essere maggiorenni anche quando sono minori, convincendole che qualora dichiarino la minore età saranno rimpatriate oppure che i centri per minori sono strutture di tipo carcerario.

L’impostazione metodologica con la quale è stato redatto il Rapporto offre interessantissimi spunti di riflessione e le storie riportate hanno la capacità di consentire una comprensione profonda quanto drammatica di questo assurdo, disumano, aberrante fenomeno.

Vi invitiamo alla lettura del Rapporto.